Rabbia
La rabbia è l’incubo della vita. Sta invadendo il mio corpo e sotterrando le altre emozioni. Ho una rabbia dentro che non riesco a descrivere, mi fa sentire impotente e fuori posto.
Ogni giorno nel mio corpo scorre tanto dolore, cerca una via di fuga, un posto tra i tessuti per nascondersi, per aggrapparsi e non staccarsi più. Ma non riesco a gestirlo, ha preso il sopravvento. Confonde i miei stati d’animo.
Vedo il nero e il bianco, niente sfumature ne colori. Mi immobilizzo e mi perdo nel vuoto mentre solchi di lacrime mi scavano il viso. Il battito aumenta e il petto fa fatica a respirare. Faccio un sospiro profondo, anzi due, o quanti ne bastano per calmarmi. Stringo le ginocchia al petto chiudendomi nel mio guscio rotto. Mi stringo i polsi, stringo me stessa ancorata in un buco nero, un pizzicotto che riporta il mio corpo alla realtà. Sento questo dolore dentro che mi mangia l’anima e non so come liberarmene. Faccio un ultimo sospiro, dopodiché cessano le lacrime. Ed è li che subentra la rabbia. Questo senso di aggredire il mondo, di proteggere me stessa da tutto questo dolore attraverso l’esclusione, l’indifferenza, la rabbia e qualsiasi pensiero negativo.
Mi rendo conto che ciò mi causa solo del male, più di quanto ne abbia già. Mi trascina nelle piccole cose portandomi ad urlare e perdere il controllo.
Qui vedo il mostro che è in me; vedo il mostro di mio padre che picchia la bambina che ho rinchiuso dentro; vedo mia madre che mi urla contro per le cose più banali; vedo il mondo che pretende da me l’impossibile; vedo le persone che mi circondano e quanto io mi senta inferiore e sbagliata in confronto ad essi.
Ma forse, non sono poi così tanto diversa da loro, poiché questa rabbia ha deciso di penetrarmi trasformandomi in qualcosa che non sono, che non voglio essere. Mi ha mutato nel mostro dal quale sono sempre fuggita.
Mi arrabbio con gli altri, poi mi arrabbio con me per averlo fatto, per essere così sbagliata. Ho paura di diventare come loro, come tutti coloro che mi giudicano sempre, che mi trattano male senza un briciolo di pietà. Ho paura di sentirmi così per un tempo indeterminato. Come mi sento? Non ascoltata, incompresa, mai all’altezza, giudicata sempre. Potrei continuare ma non ne vale la pena, è inutile tanto quanto i tentavi verso la felicità. Una parola così piena, dalla quale però ne sono lontana. A volte sembra che per raggiungerla debba affrontare missioni nella giungla o scalare l’Everest. Per un briciolo di felicità la vita mi pone davanti palazzi interi e non semplici muretti, ostacoli e sacrifici. Metto da parte me stessa per avere quel grammo di felicità, mi illudo e poi scopro che era una menzogna, che svanisce come la durata di vita di una farfalla. A cosa serve distruggersi per essere drogati di felicità se il dolore è maggiore, se la risucchia? Sono un ipocrita perché sono già distrutta, mi sono già autodistrutta da tempo e quando qualcosa è rotto da molto tempo è difficile aggiustarlo.
Ti piace0 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Consiglio al personaggio di questo racconto di leggere o rileggere le Operette morali per sprofondare in un livello più basso di infelicità oppure se vuole risalire verso dimensioni più quiete leggere i Pensieri di Marco Aurelio ( tralasciando, naturalmente, le sue idee sulla religione e sul sesso).
Molto bello questo racconto. Espressione interiore di uno stato d’animo molto comune.
Brava