Racconto di Natale

Simply having a wonderful Christmas time !


Gli altoparlanti del centro commerciale trillavano implacabili, sostenendo l’acquisto sfrenato tipico delle festività natalizie.

«Senta, io ho letto Houellebecq, Nietzsche e pure Cioran» dissi all’uomo col gilet fosforescente nel parcheggio del centro commerciale.

«Ao, ma questo che c’entra?» replicò il parcheggiatore agevolando col braccio una Smart lilla che tentava di farsi largo fra le macchine in coda.

«C’entra perché ho le spalle larghe. Sono pronto a sostenere qualsiasi tipo di verità,» risposi.

«Venga, dotto’, occhio: attento alla svolta. Daje. Senti io c’ho da fa, ma che te serve?»

«Egregio signore, forse non ci siamo capiti,» dissi cercando di placare con la mano il gruppetto di sventurati alle mie spalle, che mi aveva eletto capobranco. «Senta. Abbiamo fatto gli acquisti, sfucilando gli stipendi di tre vite. Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare. Volete rilasciarci oppure no?»

«Ao parli semplice, io so’ ‘na persona semplice, che je serve?»

«Me serve che noi non riusciamo a trovare l’uscita di questo dannato parcheggiooo!» sbottai.

«E mo poteva dì subbito!»

«Ma se è un’ora che parlo!»

«E me sta a parlà de Ociciornie. Allora, lei me monta naa maghina. Poi prende dritto e gira a destra per l’uscita, qua, vede qua?» disse il posteggiatore disegnando un percorso immaginario con le mani.

A quel punto uno mi scansò imbruttendo al parcheggiatore: «No, a destra non si esce! Ci sono già passato cinque volte. Lei dà informazioni false! Si vergogni!»

«No, però calma. S’era detto che parlava uno solo. E quello ero io» replicai tornando al centro del capannello.

L’imbruttito mi guardò sollevando le spalle: «Ma lei tergiversa. Parla di cose strane, ‘nse capisce.»

«Senta scusi, ma lei che mestiere fa?» replicai aggrottando le ciglia.

«Sono tecnico informatico. Mbè?» rispose il tipo mettendo le mani sui fianchi.

«Ecco, io insegno. Allora fino a prova contraria il maestro di retorica qua sono io,» dissi riconquistando la fiducia del gruppetto «quindi faccia il bravo e torni nei ranghi.»

Nel frattempo, il parcheggiatore s’era dileguato.

Una signora sui settanta, con un cappellino di lana e una busta stracolma di cibo per gatti e giraffe, dette segni di cedimento.

«La signora si sente male. Portatela al distributore d’acqua e fatela bere. Io torno subito!» proclamai lanciandomi all’inseguimento del posteggiatore, che rinvenni intento a fumare, dietro un colonnino del tentacolare piano 3B settore 4.

«Senta lei, torni immediatamente al lavoro e ci faccia uscire da questo cunicolo!»

«Aridaje. Ma jo già detto: dovete monta’ sue maghine. Poi dritto e a destra…» disse roteando le mani come prima.

Tornai al gruppetto di prigionieri del parcheggio con la soluzione: «Signora, sta meglio? Allora, il custode mi ha garantito che dobbiamo fare dritto, destra, sinistra, poi rampa a destra e di nuovo sinistra. Questo ci permette di raggiungere il piano 1B settore 1…»

«Ovvero?» belò il gruppetto di prigionieri.

«Ovvero l’uscita,» tagliai corto, sfoderando il mio migliore sorriso.

Il gruppetto strinse i pugni in segno di vittoria, dandosi cordiali pacche sulle spalle ed elargendo anche qualche buon Natale. 

«Forza, si torna a casa, tutti alle macchine e seguitemi!» squillai invasato, indicando un imprecisato punto nel vuoto.

Le macchine ricolme di pacchetti natalizi si misero in moto, rendendo l’aria del parcheggio ancora più irrespirabile.

Dopo un’ora che giravo a vuoto, scesi dalla macchina e mi voltai allargando le braccia verso la fila indiana di macchine alle mie spalle.

«Qualcosa è andato storto?» disse il tecnico informatico affacciandosi dal finestrino della sua Toyota.

«Ma noo cosa va a pensare?» replicai ironico.

«Adesso siamo al piano 4 C settore 9!» ribatté l’informatico arrossendo per il nervoso.

Un tizio tatuato, due macchine più addietro, spegnendo la macchina urlò: «Ma per forza, dovevamo prendere la rampa in giù, e invece lei ha preso la rampa in su.»

«Signori, io devo tornare assolutamente a casa. Ho la giraffa col diabete, quella se non mangia sono guai» disse la settantenne visibilmente ancora in affanno.

Fui colto da un raptus. Abitualmente mi sarei occupato dei fatti miei. Ma l’idea di occuparmi di una giraffa diabetica – non chiedetemi perché – mi faceva Natale. «Signora, mi ascolti, lei vive in una villetta o in un palazzo?»

«Palazzo.»

«Bene, immagino ci sia un portiere.»

La signora annuì perplessa.

«Ecco, immagino anche che lei non sia rimasta totalmente a secco di mangime ma che ne abbia una scorta residuale a casa.»

«Certo, se mi succede qualcosa i miei animaletti devono potersi nutrire.»

«Benissimo. Allora chiami il portiere che avrà la copia delle chiavi dell’appartamento e lo mandi a nutrire gli animaletti. Poi voi» dissi al gruppo dei valorosi prigionieri del parcheggio «ho un’idea. Tra un paio d’ore il centro commerciale chiuderà.»

«E quindi?» replicarono in coro.

«E quindi aspettiamo che se ne vada il grosso delle macchine. Col parcheggio semivuoto trovare l’uscita sarà un gioco da ragazzi» sorrisi soddisfatto incrociando le braccia.

Ora, se fossimo in un film hollywoodiano, la reazione della gente sarebbe di giubilo e tripudio, le signore lancerebbero le buste della spesa in aria, partirebbe una musica piena d’entusiasmo, e cominceremmo a ballare tutti fra le macchine in un flash mob.

Ma la vita non è un musical. 

Dopo la mia affermazione calò un silenzio imbarazzante.

Le persone si osservarono smarrite, rientrando nelle macchine deluse, e anche un po’ imperfidite. 

Qualcuno mi dette del cialtrone, qualcun altro borbottò « ma ti rendi conto? questo ha pure studiato per dì ‘ste cazzate.»

«Mah, in che mani mettiamo i nostri studenti?» 

Una signora col dito puntato  mi si fece sotto dicendo: «Io ho dei bambini in macchina. Lei vuole la morte dei nostri figli!»

Dopodiché tutti accesero le auto e sparirono nelle rampe serpentiformi. Verso il nulla.

Rimasi lì. A bocca aperta, e un filo d’argento in più nei capelli.

Qualcosa tirò la manica del mio piumino.

Abbassai lo sguardo e vidi la signora della giraffa.

«Non se la prenda. La gente è fatta così.»

«Già.»

«Senta, io però ho apprezzato la sua idea. L’ho trovata molto creativa, sa?»

La ringraziai salutandola, ma la signora rimase lì.

«Mi dica…» chiesi incuriosito.

«Sì, vede…mio marito è morto già da sette anni.»

«Oh, signora, mi spiace.»

«E fra poco è Natale, e che imbarazzo…»

La invitai a proseguire.

«Ecco, sono anni che non bacio un uomo.»

La osservai colpito. Nonostante l’età avanzata era ancora piacente.

Mi sincerai che fossimo soli.

La afferrai e poi: «Dammi un po’ di zucchero, baby.»

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Discussioni

  1. Le tragicomiche ed estemporanee impennate di questo professore, autentico ibrido tra il disadattato ed il geniale, mi ricordano un controverso giovinastro noto per le inopportune derive psicotiche, la cui sommatoria ha trovato un’inattesa armonia in un adulto saggio

  2. E dire che questa storia, un po’ verità e un po’ leggenda (ma nei centri commerciali di Roma sotto Natale sfido chiunque a distinguere una leggenda da una tanto imbarazzante quanto poetica verità) l’ho ascoltata in anteprima dalla voce – a sua volta incredula e rassegnata – del narratore.
    Ma arrivato in fondo, al finale romantico del tutto imprevisto, ho definitivamente lasciato questo mondo come fece Crisippo…..