Radici (2/2)

Serie: L'angoscia e l'ignoto


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Non so quale sia stato il punto di non ritorno. Scendere dall’auto, forse, oppure aver voluto prendere quella scorciatoia.

«Mamma?»

Immagino che il suono che sento dietro di me significhi questo. Immagino sia la voce di mio figlio. Ma più che una voce è un sibilo prolungato interrotto da crepitii, come colpi di tosse che sanno di muco e di sangue, quella tosse che brucia come se le pareti della laringe fossero rivestite di carta abrasiva.

Mi guardo intorno, per quanto riesco a fare. La mia unica possibilità è roteare gli occhi aiutandomi con un movimento minimo della testa, un po’ più a sinistra che a destra, un po’ più alto che in basso. C’è poca luce. Nuvole che preannunciano un temporale. Non può essere già sera.

«Mmmmmaaaaa…»

Snap!

Il rumore di un ramo secco che si spezza. Poi un urlo che non ha nulla di umano. Non può essere lui.

«Matteo!» Urlo a mia volta. Il suono proviene da me. Ma un terrore sottile si insinua nella mia anima. Non arriva dall’interno, come se ascoltassi una quelle registrazioni che ci fanno odiare il timbro della nostra voce.

– – –

«Come abbiamo fatto a passare da qui con la macchina?» È una domanda a cui non riuscivo a dare una risposta sensata. Ma non potevo tacere perché mio figlio si sarebbe accorto della mia paura. Mi ero voltata per cercare la strada che avevamo percorso pochi minuti prima. Un tappeto di foglie secche, ciuffi di erba, piante rampicanti che salivano sui tronchi degli alberi e tornavano a terra dopo averli colonizzati. E poi le radici affioranti dal terreno, alcune esili e pallide come spaghi, altre spesse e forti come tubi di ferro contorti. Avevo raggiunto il punto in cui segni lasciati dalle ruote si interrompevano, pochi metri dietro l’auto ferma. Forse il terreno è più morbido qui, avevo pensato. Per confermare la mia tesi avevo iniziato a calpestare con metodo la vegetazione intorno al confine tra il reale e l’impossibile.

«Cosa fai, mamma?» La voce di mio figlio tradiva il suo nervosismo.

«Niente di importante» avevo risposto offrendogli un sorriso che speravo potesse tranquillizzarlo. «Non so come abbiamo fatto a impantanarci qui. Hai una mamma imbranata alla guida.»

Avevo riportato lo sguardo in basso e per un attimo mi era sembrato che il terreno intorno a me ondeggiasse. Il sorriso che ancora animava il mio viso si era spento. Sotto le scarpe solo vegetazione intonsa e terreno compatto, come se mi fossi allontanata dall’automobile senza accorgermene I solchi tornavano visibili qualche metro verso il punto in cui avevo abbandonato l’auto. Mi ero accovacciata per evitare di cadere a terra. Il silenzio era violato solo da un suono che ricordava quello prodotto da un foglio quando viene accartocciato. Guardando verso l’origine di quel suono avevo visto come, in modo lento ma inesorabile, le ferite lasciate dalle ruote si stavano rimarginando. Non mi ero fermata a pensare come fosse possibile. Avevo trascinato Matteo verso quella che presumevo fosse la strada che avevamo percorso in auto. Volevo fuggire, volevo uscire da quell’incubo di rami e foglie e radici. Poi avrei usato il telefono per cercare aiuto. Forse.

Quando avevo perso la presa sul braccio di mio figlio lo avevo sentito gridare.

«Il piede! Mamma. Sono incastrato in una radice. Non riesco a muovere il piede!»

Avevo guardato a terra. Radici sottili e diafane gli imprigionavano una gamba all’altezza del polpaccio. Avevo spostato lo sguardo sui miei piedi. Filamenti esili e rosati simili a lunghi lombrichi sembravano inerpicarsi strisciando da terra lungo le mie gambe. Ero riuscita a trattenere un urlo, ma solo finché mi ero resa conto che stavo sbagliando. Perché avevo realizzato che quei vermi intorno alle mie gambe non stavano affatto salendo.

– – –

L’urlo dietro di me continua senza sosta. Penso che impazzirò se non smetterà subito. Ma prosegue, anche se si abbassa di intensità, senza neppure una pausa per riprendere fiato. Anche il suono sta cambiando, adesso è un fruscio, come quello che si può sentire da una radio non sintonizzata. Poi, di colpo, il silenzio assoluto. Il terrore mi spinge a osare. Con tutta la forza che riesco a esprimere tento di sollevare le braccia. Il dolore è immenso, ma riesco a percepire qualcosa all’estremità inferiore del mio campo visivo. Perché ho in mano un ramo? Tento di lanciarlo via scrollando le braccia. Lo vedo oscillare, ma non riesco a liberarmene. Urlo per esorcizzare il dolore prima di sentirne la nuova ondata e provo a sollevare ancora le braccia. Adesso vedo le mie… mani? Tento di piegare e distendere le dita. Dapprima non riesco, ma insisto finché sento di nuovo quel suono, quello schiocco, questa volta più vicino…

Snap!

E il dolore che come fuoco mi divora dall’interno. Le mie grida arrivano da lontano. Quel che resta dei miei occhi riesce ancora a vedere due… dita spezzate da cui colano lenti rivoli di qualcosa che potrebbe essere sangue, se non fosse per il colore sbagliato.

«Mmmmaaaaaaa!» Un lamento atroce.

Mamma. Matteo mi sta chiamando, ha bisogno di me. Non mi importa più del dolore. Nulla è più importante di mio figlio. Devo voltarmi. Tento ancora di ruotare la testa verso il mio bambino. Il rumore questa volta è assordante. Il dolore esplode oltre ogni limite.

«Mmmmmaaaaaaa!»

Snap!

Il mondo davanti a me inizia a vacillare. Tutto diventa buio.

Buio.

Notte.

Vento.

Il mio corpo ondeggia. Percepisco un fruscio di foglie mosse dal vento. Non vedo più nulla, ma intuisco la luce del giorno come una sensazione viscerale. Una sferzata più forte delle altre risveglia ancora un po’ del dolore che avevo provato… ieri? Ma è sopportabile. Penso che svanirà presto.

Mio figlio è ancora dietro di me, ne sono certa. Mi dispiace non poterlo vedere. Ma forse il vento, la luce e il tempo ci daranno forma fino a farci toccare.

Non abbiamo fretta.

Continua...

Serie: L'angoscia e l'ignoto


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Horror

Discussioni

  1. Hai scelto una fra le paure più ricorrenti nei pensieri di un genitore e ne hai fatto un racconto agghiacciante. Non solo senti che tuo figlio è in pericolo, ma lo sei tu stesso e quindi impossibilitato a soccorrerlo. Credo che peggio, per un genitore non possa esserci.
    E qui, entra in gioco il racconto, ben costruito e sviluppato attorno a questa paura.
    Mi pare di aver capito che si tratti di una scelta, come se tu stessi passando in rassegna le varie fobie dell’uomo. Davvero un buon lavoro.

    1. Le varie fobie dell’uomo. Quante volte ci vengono in mente pensieri da cancellare subito? Il bello di noi che sfidiamo le parole è che possiamo tenerli e renderli visibili. Poi possiamo cancellarli.
      Sì, hai ragione: credo anche io che questa sia una delle situazioni più terribili che può provare un genitore.
      Grazie Cristiana!

  2. Il cerchio si è chiuso molto bene, complimenti. Mi è piaciuto questo tuo racconto in cui l’orrore si fonde con la natura e, in particolare, con gli alberi e le loro radici. Mi ha riportato alla mente un mio stesso librick che avevo pubblicato qui, “L’orrore celato”, che ha sviluppi simili.