Rampe

Vestirmi, calarmi dentro gli abiti, il cappello no, รจ lui che scende su di me ed avvolge i miei pensieri, uscire. Strana serata con le auto che si rubano i parcheggi ed aspettano che nessuno le osservi per scambiarsi di posto, malefiche. Lo sentono, lo capiscono quando qualcuno le guarda ed allora stanno lรฌ apparentemente stanche. Talvolta, ma solo di lunedรฌ mattina oppure quando piove, circolano da sole confidando sul fatto che in tanti hanno perso l’abitudine di guardarsi intorno e cosรฌ intasano le strade, gli incroci e si piazzano nella corsia sbagliata delle rotonde.

La mia auto, di colore bianco come i miei pensieri ed i fazzoletti usa e getta, finge di assecondarmi mentre attraverso Cagliari, ho la lezione di recitazione tra quattro minuti. Certo quando giro il volante lei docile segue le mie indicazioni, svolta accelera, rallenta, si ferma, sono arrivato. Ma non ti puoi fidare, non appena ti distrai mentre cerchi di ricordare se collega ha la e aperta o chiusa oppure come si calcolano gli anni bisestili lei, di sua iniziativa, ti porta su un’altra strada che poi รจ quella che fai tutti i giorni ma in quel momento no! lรฌ non ci dovevi passare e lei ancora una volta ti ha fregato.

Arrivo, c’รจ giusto un parcheggio che mi guarda sornione con la sua bocca aperta, faccio finta di proseguire ed invece con una manovra repentina lo impegno con la mia auto. L’ho fregato ed รจ inutile che ora cerchi di accorciarsi, sono dentro e l’ho occupato. Sรฌ, mi pare di ricordare che a scadenza del millennio si salti l’anno bisestile.

Entriamo, รจ tutto come sempre, la scala, il freddo, perรฒ il duemila l’abbiamo fatto me lo ricordo bene, perchรฉ non lo si รจ saltato? Sono giร  tutti lรฌ che rapidi si inerpicano nella grande scala di rappresentanza, ampia, luminosa, invitante. Saliamo distanziati, ognuno con i suoi silenzi e la sua voglia di parlare. Il forte profumo dellโ€™improbabile salottino del primo piano mi annebbia i ricordi, il vecchio palazzo non si lascia invadere senza lottare, vado oltre. La seconda rampa di scale mi aspetta sorniona. Non ricordo se ho inserito lโ€™antifurto dellโ€™auto, la scala รจ stretta e ci costringe a strusciare lโ€™un lโ€™altro i nostri pensieri. Un anno รจ bisestile se il suo numero รจ divisibile per 4, con l’eccezione degli anni secolari (quelli divisibili per 100) che non sono divisibili per 400, sรฌ, mi pare che la regola sia questa, continuo a salire la terza rampa.

Il teatro รจ fatica ed impegno, non devo mollare ma la quarta rampa mi toglie il respiro ed allora mi aggrappo alle parole degli altri per non restare indietro. Fabrizio parla di numeri ed io conto i gradini fatti, non voglio pensare a quelli da fare, un gradino un respiro. Sento ansimare i miei pensieri, sono nella quinta rampa e non sono sicuro di farcela, chi riporterร  indietro la mia auto bianca? Devo rendere trenta euro a Francesca, no forse erano venticinque, sto perdendo il conto dei gradini. Ora sono due i respiri per gradino, ne ho fatti sette per tredici frustate del mio diaframma, me ne manca uno. Perdo sempre qualcosa, tempo, respiri, pensieri. Salgo la sesta rampa e cosรฌ come Proctor che si avvia al patibolo, prendo su di me le fatiche di tutti e resto indietro a riflettere sulle umane debolezze confuse con le mie gambe molli. Un ultimo atto respiratorio e sono in cima. Al muro un cartello mi avvisa che chi usa gli attrezzi li deve poi riporre senza lasciare nulla in giro. Sono preoccupato, lascio sempre i miei pensieri dappertutto, di solito li tengo nelle tasche dei pantaloni, confusi tra le chiavi dellโ€™auto e gli scontrini della colazione al caffรจ Barcellona, talvolta invece li scordo nel tavolo dei ricordi dove il maestrale la fa da padrone.

Finalmente siamo tutti nella sala prove, occupiamo lo spazio, incrociamo gli sguardi, alcune (le solite) mi evitano, la mia cuffia di scena le disorienta con tutti quei pensieri che mi colano sulla fronte e dietro le orecchie, insisto. Le pareti bianche ci osservano in silenzio indifferenti, la mia auto รจ sola, fuori, al freddo, paziente mi aspetta, spero non dia troppa confidenza alle utilitarie che si sa sono chiacchierone, invadenti ed appiccicose. Elio ci parla e noi lo ascoltiamo in religioso silenzio, per lo spettacolo ci lascia ampia scelta purchรฉ questa sia secondo il suo disegno e ci esorta a stare concentrati e collegati al testo con il pensiero. Collegati ha la e aperta o chiusa? Ancora una volta ho perso il filo del discorso. Ho intenzione di rifarmi e mi offro volontario per tenere la corda su cui Proctor, legato, lascia scorrere il suo orgoglio avanti ed indietro come le mie parole.

Le pareti, imperterrite, continuano ad ignorarci, meglio non fidarsi. Domani devo andare in libreria, in radio ho sentito alcuni brani letti da un racconto di Carlo Emilio Gadda, cosรฌ bello da sembrare surreale, comprerรฒ uno dei suoi libri.

Proctor con voce femminea finge di essere indeciso mentre io fingo di tenere senza sforzo la corda su cui scorre il pianto di Elizabeth ed il pianto delle mie mani si unisce al suo. La cuffia mi stringe fastidiosamente la fronte forse la dovrei togliere ma ho paura che i miei pensieri possano cadere per terra con gran rumore di vetri rotti e rovinare l’atmosfera di profondo raccoglimento in cui siamo immersi.

รˆ lโ€™ora, il tutto รจ compiuto e le corde riavvolte, la lezione รจ terminata. Ritorno al mio cappello lasciato sopra la panca, ha sofferto in silenzio in attesa di accogliermi con fiducia dentro di lui.

Guadagno lโ€™uscita lasciando scorrere le sei rampe indifferenti alle mie gambe molli, ho ancora negli occhi le luci incatenate al soffitto di travi e la corda di Elizabeth ancora mi lega al campanile attraverso una finestra sgangherata affacciata sulla notte della Marina.

Un saluto al Barcellona e la mia auto mi riaccoglie paziente, ha ingannato il tempo raccontando le mie storie strambe alle utilitarie. Vatti a fidare.

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