Ri-partenze

Serie: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Matilde accetta di partire, nella speranza ci sia ancora una "famiglia" da tenere insieme

Effettivamente partimmo in tre, io, Lorenzo e mia madre. Cominciai a lavorare, trovai presto una piccola casa che potesse diventare finalmente tutta nostra. Non c’era niente dentro, o meglio niente di superfluo. Mi preoccupai di sbrigare le faccende burocratiche, il cambio residenza, la scelta del pediatra. Al telefono gli dissi «Appena arrivi, cambi anche la tua residenza».

La sua risposta non fu quella che speravo «Non credo sia opportuno farlo. Anche mio padre mi ha spiegato che da un punto di vista fiscale non conviene».

Ammutolii. Non capivo. Di cosa stava parlando? “Mio padre dice”, “non conviene”. Io parlavo di noi. Lui non lo so.

Era febbraio e dovetti aspettare settembre per iscrivere Lorenzo al nido. Nel frattempo stava a casa con la sua adorata nonna. Niente di brutto sembrava arrivargli, tutto il tempo che avevo lo dedicavo a lui. Cercavo di sopperire in ogni modo all’assenza del padre. Ma forse era più assordante l’assenza silenziosa che aveva patito a Napoli che quella fisica che viveva in quel momento. Cominciai a riempire la casa con quello che potevo, le mie poche cose le aveva portate su un tipo che si arrangiava a fare piccoli traslochi abusivi. Pochi colli, ammassati in un camion insieme a scatoloni pieni di altre vite. Avevo già vissuto in questa città, ma ora ogni cosa mi appariva diversa.

Circa un mese dopo finalmente ci raggiunse. La casa era piccola e doveva condividerla con mia madre e nostro figlio. Troppa poca l’aria per poterci stare bene, fu una sofferenza per tutti. Mia madre non era abituata ai suoi comportamenti, li pativa, li sopportava a malapena per amore mio e del nipote. Lui invece si defilava come poteva. Tutte le sere tornavo a casa e trovavo la porta della camera da letto chiusa. L’aria era sempre pesante, lo si percepiva subito, appena entrati. Al mio rientro lui non era mai col figlio. Continuavo a biasimarlo, sperando che la mia comprensione gli bastasse per sopportare, per restare. Aprivo la porta, con un sorriso sforzato, e ripetevo sempre la stessa domanda «Come va oggi?». Silenzio. La stanza buia, gli scuri serrati, lui seduto sulla sedia davanti alla tv. Lo schermo lo illuminava malamente, ma non avevo bisogno di altre luci, conoscevo già quell’espressione assente.

Maledette porte chiuse! Lorenzo, ingenuamente, provava a spalancarle, per poi doversele richiudere alle spalle dopo l’ennesima delusione.

Un sabato pomeriggio la misura fu colma. Il piccolo dormiva sul nostro letto. Un pretesto, una provocazione e nacque un litigio. Ce l’aveva con tutti, «Tua madre sta seduta tutto il giorno e la casa è sporca!» «I trasportatori non hanno finito di montare l’armadio, incapaci! E tu li hai chiamati?». Mia madre non resse più, si urlarono contro cose orribili, cose probabilmente pensate da sempre e che una volta uscite fuori non potevano più tornare nello stomaco. Lei chiamò mio fratello che la portò a casa sua per quella notte. Mentre nostro figlio incredibilmente continuava a dormire; forse sapeva che non valeva la pena disturbare il suo sonno per assistere a quel triste spettacolo.

E’ stata l’ultima notte che abbiamo trascorso insieme in casa. C’era un dolcezza e un amorevolezza tra noi quella sera che mai prima avevamo provato. La “quiete dopo la tempesta”. Aveva fatto il biglietto del treno per l’indomani stesso, lui e mia madre non potevano più condividere 50 mq di casa e lui non poteva occuparsi di Lorenzo. Non riuscivo a dare un nome all’indicibile tristezza che mi riempiva il cuore. Non piangemmo, nessuno dei due. Eravamo solo infinitamente tristi.

«Adesso non possiamo fare altrimenti, mia madre deve stare col bambino», «Sì, in questo momento non me ne posso occupare io». Poche parole buttate fuori solo per riempire uno spazio vuoto, solo per non dirsi la verità. Rinnovai la mia solita speranza «Ci faremo aiutare. Ricordi Anthony, il nostro vecchio coinquilino? Ha dovuto aspettare, ma poi i servizi di salute mentale gli hanno trovato casa. Possiamo provare ad informarci» la testa bassa, il viso segnato ogni giorno da una ruga in più «Sì, poi vedremo… » e annuì. Andò a letto presto, sfinito. Io e nostro figlio, come al solito, gli resistemmo. Del resto mi ha sempre rimproverato di mandarlo a letto troppo tardi la sera. Allora impiegammo quel tempo per fare un disegno per papà. Gli spiegai che il giorno dopo sarebbe partito, ma che sarebbe tornato presto da noi. Lorenzo volle lasciargli il disegno, glielo infilammo nel libro che stava leggendo.

Al mattino seguente, rientrata mia madre, lo accompagnai alla stazione.

Ricordo come se fosse presente e viva davanti ai miei occhi l’immagine di lui sull’ingresso del vagone. Ci scambiammo qualche battuta e qualche spicciolo di sorriso, era troppo doloroso dirsi addio. Preferimmo lasciarci con un arrivederci. La porta si chiuse tra noi e il treno partì.

Andai via dalla stazione percorrendo le stesse strade dell’andata, lì dove affacciava il balcone di casa nostra quando eravamo soli in quella città. Mi assalii una terribile nostalgia. Mi sentivo le spalle pesanti e la testa affollata da mille mostri. Cosa fare adesso? “Ma certo! Tornerò a casa mia, dove mio figlio mi aspetta. Mi correrà incontro desideroso di giocare con me, di accoccolarsi. Mi farà domande, mi parlerà e stanotte si infilerà nel lettone. E come sempre mi addormenterò prima io!”.

Quella sera mettendo in ordine la camera trovai il disegno che gli avevamo infilato nel libro, l’aveva lasciato lì. Diabolico! Eliminare tutte le tracce! Il suo piano era giunto a compimento. Era riuscito a buttarci fuori dalla sua vita, senza che nessuno di noi se ne accorgesse, neanche lui. Ha provato a scalciare, ad insultarci, a deprimerci, ma noi eravamo sempre lì, appesi con le unghie e con i denti fino all’ultima speranza. Adesso invece ce l’aveva fatta davvero, poteva finalmente tornare a rinchiudersi nel suo bozzolo senza interferenze moleste.

Sì, ci era riuscito. Era riuscito a salvarci.

Serie: Verrà la morte e avrà i tuoi occhi


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Cara “biadina”, credo che questi due racconti siano sufficienti per capire che tu sei una di quelli che muovono l’anima senza bisogno di particolari artifici. Mi ricordi, non nello stile ma nella sostanza, uno scrittore che io amo moltissimo e che è Raymond Carver. Se per caso non lo conosci, prova a fare conoscenza con lui: potresti riconoscerti e ricevere parecchio. È stato molto pubblicato da MinimumFax. Se lo leggerai, o l’hai già letto, mi piacerebbe sapere cosa ne pensi. Buon lavoro.

  2. Il testo che hai scritto è di una bellezza straziante. È una narrazione intima, intensa, autentica. Si sente che sgorga da una ferita vera, non per forza autobiografica, ma certamente reale nella sua capacità di toccare.

  3. C’ é qualcosa di straordinario in questa storia che raramente capita nelta realtá: la forza dell’amore che supera e vince sulla fragilità della malattia. Non so dirti, in poche parole, quanto abbia apprezzato questo tuo racconto, ma posso dirti che spero tanto di continuare a leggerti.