Ricordati di non Dimenticare

Serie: Saṃsāra


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Vorrei che fosse amore, amore quello vero. La cosa che io sento e che mi fa, pensare a te. Vorrei poterti dire, che t'amo da morire, perché è soltanto questo che desideri da me.

Ciao amore mio, è da tanto che non mi faccio viva. E che ironia si porta appresso, questa esclamazione!

Si fa proprio beffa del sarcasmo, ma passiamo a cose più serie dato che il tempo che ho a disposizione va scemando.


Sono cresciuta, lo sai? Non so dirti precisamente quanti anni ho perché non capisco effettivamente quanto tempo sia passato, invece so per certo di aver finalmente imparato a pronunciare qualche parola. In maniera un po’ sconclusionata, si, eppure almeno posso esprimermi e farmi capire seppur con non poche difficoltà.


Riesco persino a camminare da sola, ci crederesti? Anche se fa molto ridere il come, cammino…!

Sembro praticamente una specie di ballerina ubriaca fradicia alla sua prima esibizione in un qualsiasi palazzetto di periferia durante la strana edizione regionale di qualche manifestazione sportiva dilettantistica.

Eppure ci ho messo tanto, ad imparare a camminare in questa maniera. Tutti gli adulti spesso intorno a me hanno fatto davvero di tutto, per incoraggiarmi, davvero. Ed io nel mentre che gli ascoltavo pensavo fra me e me a quanto avessi già camminato, nella mia vita. A quanti chilometri ho percorso ed ai continenti che ho attraversato e le città esotiche visitate insieme a te, amore mio. Avrei voluto urlare loro che quella, era la mia vera, unica e fantastica vita.


Ed è proprio con la parola unica, che qualcosa è scattato in me.


Avevo sempre creduto che non ce ne fossero altre, che uno nasce. E muore, no? Non è questo quello che ci insegnano fin da piccoli? Non sono proprio queste, le panzane che ci hanno sempre raccontato, finendo per convincerci?

Ebbene si, ora posso ben dire che mi sono sempre illusa, che le cose che sentivo in certi momenti venivano veramente da vecchi ricordi, o meglio… impronte indelebili scolpite nell’Anima, come se qualche Dio in preda all’eccitazione avesse scolpito nella pietra del burroso mondo con l’infuocato scalpello dell’amore. Mi sono illusa che quella condivisa da noi fosse la nostra unica vita, si. Proprio quella che ci hanno strappato via ad entrambi quel fatidico giorno, senza chiedere il permesso. Te lo ripeterò per sempre, amore mio. Mi manchi più di ogni altra cosa.+Ho provato a cercarti dappertutto, senza mai trovarti. Ho tentato mille volte, ho anche sussurrato il tuo nome in una lingua comprensibile alle sole divinità che beate ci guardano dall’alto ma niente, nessuna risposta. Eppure io lo so che sei là fuori da qualche parte, non posso sbagliarmi. Noi siamo come due diapason, che colpiti dal martelletto della vita vibriamo all’unisono riproducendo noi stessi, nel mentre che fagocitiamo la corretta disposizione delle nuove creazioni che cercano casa materiale nell’universo. La tua non la percepisco, è come lontanissima, non mi arriva. Eppure la sento, so che non si è spenta. È solo cambiata, si è trasformata e sono assolutamente consapevole della mia difficoltà nel sintonizzarmici.  Per questo, ti chiedo solo di vibrare. Vibra, più che puoi.

Pulsa con tutto te stesso e chissà… magari così facendo, un giorno riuscirò a percepirla meglio e a poterti contattare. Fino a quel momento, sappi che le mie corde sono pronte, per le tue dita. La tua arpa è sempre qui, sana e salva, in attesa che tu possa tornare a suonarvi le più sublimi melodie che essere umano abbia mai condiviso.


Ora devo andare, questa odierna vita mi strappa da Sara più che mai e ci sono molte cose che non capisco.

Vorrei imparare a scrivere, in modo che le lettere impresse sul foglio possano rimanere come testimonianza della mia verità, perché purtroppo… ci sono alcuni momenti dove vacillo, che strano dualismo! Più imparo a camminare meglio, più i miei ricordi si offuscano, perdo l’equilibrio interiore e mi dimentico chi sono. Ci metto un po’ a tornare in me, ho paura che questo nuovo corpo voglia dimenticare ogni cosa. Semplicemente perché deve, non perché io od esso lo desideriamo. Se non ha spazio per immagazzinare i nuovi dati, allora smette di andare avanti e si inceppa, non fluisce, smette di funzionare correttamente. . Ed io sono lì, nel limbo, palleggiata tra l’ardente desidero che questo veicolo umanoide muoia in modo che io possa finalmente scappare da esso, e il consapevole dovere di aiutarlo a fare spazio, spazio a tutto… tutto quello che riesce ad immagazzinare, assorbire, imparare.


Ma è solo una mera illusione, io non ho scelta. Non posso tornare indietro. Non sono più Sara, eppure lei è tutto ciò che ho. Tutto ciò che mi ha insegnato a vivere mi sembra come fosse una valigia. Un bagaglio, dirai, si.

Talmente compresso, che sta sempre più assumendo la forma di una pillola, segregata nel più profondo e misterioso anfratto di questo corpicino. Arriverà il momento che dovrò inghiottirla, e quello sarà il momento in cui la vecchia me cesserà totalmente di esistere. O almeno credo, non lo so… so solo che ora voglio scendere da quest’auto, io non ci volevo andare alla casa al lago dei nonni. Ci sono troppe zanzare, l’erba è alta ed incolta, troppi insetti… piango, ma nessuno mi ascolta. Nessuno sembra capire, e le lacrime finiscono il loro viaggio direttamente sulle labbra.


Che bella sensazione, dolce… ah, le lacrime!


Quasi non me ne ricordavo il sapore…

Serie: Saṃsāra


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