Ripensamenti

Caro (Cristiano),

ti scrivo dopo aver riletto la lettera precedente che ti ho dedicato. Caro (Cristiano) sono cambiate tante cose e da un po’ di tempo ormai, ma io sto avendo solo ora il coraggio di chiamarti caro. Piango perché le cose che ti ho scritto le ho provate veramente, tutte quante e ad una ad una.

Sei il mio argomento preferito di scrittura. Da quando ti conosco (Cristiano) io ho iniziato a scrivere di nuovo: bigliettini, lettere, qualche parola sparsa. Ti ho dedicato questa ripresa, eri in ogni parola che decidevo di stendere nero su bianco. Mi hai ferito molto quando, alla fine della nostra storia, mi hai detto che non ti importava più delle parole che ti scrivevo, che un tempo forse sarebbero state bellissime per te ma che in quel momento non ti interessava più, come se quelle parole avessero dovuto convincerti a restare con me. Perché, non erano parole belle a prescindere? Fuori dal tempo, non erano belle frasi da sentirsi dedicare? Non lo so. Ho immaginato per un attimo prima che qualcuno vedesse quello che scrivo e te lo facesse leggere.

Io non riesco più a ricordarti affabile, emotivo, attento. Io ti ricordo solo come un pezzo di ghiaccio, arido, impassibile di fronte al mio dolore. Ti ho immaginato inerte a leggere queste parole e continuare la tua vita così, dal nulla, come se niente fosse successo.

Ho trovato il coraggio di parlare a qualcuno di queste lettere che ti scrivo. Quel qualcuno non sei più tu, è ovvio. E’ solo che, vedi, io non ti immagino con un’altra ma non per egoismo, è che io non riesco a pensarti così banale. Io ti penso innamorato, o forse io mi ci penso verso di te. Ogni volta che inizio a scriverti una lettera mi sento che potrei scrivere fiumi di parole, ma poi a poche battute mi interrompo.

La verità (Cristiano) è che mi manchi. E io ti cerco ovunque ma non ti trovo, e ti trovo solo qui, in queste pagine, e ti parlo così, perché almeno qui tu riesci ancora ad ascoltarmi. Sto piano piano sentendo affievolirsi la tua presenza, sento che il tacito gioco di finzione che era accordato tra di noi per cui tu saresti stato veramente dietro queste righe si sta sbiadendo e sento che ti definisco con i contorni di un personaggio che ho creato io stessa, con le mie parole, che esisti solo dal momento in cui io ho deciso di scriverti queste parole e non prima, non dopo di tutto questo. Ma se penso davvero a te dietro queste parole io piango davvero, perché ti vorrei tanto qui, qui nella mia vita intendo, anche solo da lontano.

[…]

L’indifferenza è il veleno della vita, il pesticida dell’entusiasmo. Adesso so di non essere indifferente, di avere tutto il mio universo che scorre in potenza dentro di me.

Non riesco a farlo esplodere.

E’ tutto racchiuso dentro un corpo forse troppo largo per la sua statura, ma di certo troppo stretto per contenere tutta la vasta immensità dei pensieri che lo compongono. Si sente un mugolìo costante in sottofondo, che tuttavia non è un gemito di bambino, un ronzìo di phon, un gorgoglìo di onde. E’ il suono metallico degli ingranaggi rotti di una mente che ormai funziona solo a metà. O a un quarto. O forse funziona tutta, cos’è un intero matematico? Dovrei considerare funzionante la parte che va avanti e produce, ordina di alzarsi dal letto, di dare almeno la parvenza di stare studiando e vivendo la vita giorno dopo giorno, o è viva anche la metà che sento più mia, quella legata al passato, quella che nella voluptas dolenti trova un piacere misterioso alla base della ragione stessa della sua esistenza? Selezione naturale vuole che ciò che risulta futile, svantaggioso, d’ostacolo per la sopravvivenza si perda tra le crepe di un tempo spietato e nazista che accoglie nel suo fluire solo gli esseri perfetti, migliori e travolge inesorabilmente lo zoppo che arranca a fatica, il matto che guarda un fiore, il depresso che non ce la fa.

La mia mente si è conformata nell’adattarsi all’utile e lasciare andare via il superfluo.

Se il sillogismo vuole che ciò sia vero, tu sei ancora parte utile della mia esistenza. Ripensare a te porta alla luce la tua presenza nella mia vita. Tutto resta però confinato nella mente malandata di un povero uomo solitario che guarda la vita passargli avanti e non riesce ad afferrarla o a intervenire nel suo essere. Perché non sei più tu ciò che afferro concretamente? Manca la presenza di (in) ogni sospiro di te.

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