Risvegli
Quella mattina di settembre, mi ero alzata alle alle 5 precise. La proverbiale suoneria anni ottanta delle mie tre sveglie ripetute a distanza chirurgica di soli tre minuti l’una dall’altra, aveva spazzato via in un attimo un sogno leggero, impalpabile, di cui non ricordavo nemmeno più l’ambientazione e i personaggi che lo popolassero, lasciandomene addosso però ancora l’odore, la sensazione di qualcosa di vissuto chissà quando e con chi.
Mi spostavo lenta tra le due stanze del mio appartamento, persa nel vagheggiare dentro il limbo morbido delle cose incompiute, con un interrogativo ossessivamente incalzante che nemmeno la mia solita dose di caffé a miscela tostata avrebbe potuto dissolvere.
Lasciai sconfitta la mia tazza nel lavello di alluminio freddo, e appoggiandomi alla spianatoia di legno chiaro di betulla, sbirciai come ogni mattina da dietro la piccola tenda della cucina il mondo che si stava svegliando con me: le flebili luci d’arancia bionda dei lampioni del vialetto, iniziavano a sembrare note stonate nella melodia di Helsinki all’alba; i suoi colori pastello freddo dell’aurora sembravano inondare la città di una luce eterea, come proveniente da un altro pianeta, colorando l’orizzonte visibile, tra le fronde degli abeti, di un celeste e un lilla delicati ma tremendamente gelidi, tali da far apparire quella luce così sgraziatamente calda, fuori posto. Sono sicura che non fossi la sola a pregare, nel segreto della mia cucina, che la fotocellula li facesse spegnere immediatamente.
Imboccai il vialetto di casa con passo spedito, con il mio zainetto carico di tutto quello che mi serviva per i servizi di pulizia: il panno in microfibra blu per il bagno, quello rosso per la cucina, quello verde per le camere, quello arancio per il salotto ed infine quello giallo per le saune. Perché ad Helsinki, senza una sauna in casa, praticamente non puoi vivere. Così mi aveva detto Jyssi, una sera tracannando la sua terza birra Karhu al doppio malto: aveva tirato una sorsata che avrebbe strozzato chiunque, poi aveva sbattuto soddisfatto il boccale sul pianale di marmo e guardandomi con aria greve aveva detto:
<< Perché la sauna? Ma cavolo, Dany, non puoi vivere senza qua: nasci e dopo tre mesi tua madre ti porta in sauna, se hai il raffreddore vai in sauna, se hai il mal di testa vai in sauna, vuoi scopare? La porti in sauna. Non riesci a dormire? 10 minuti di sauna e sei cotto. Praticamente il 20% della nostra vita si svolge li, e se non ce l’hai, ce n’è grazie a Dio una in comune nel seminterrato. E’ un diritto, cazzo.>>
Non mi ero sentita in quell’occasione di replicare che fosse un loro punto di vista; mi ero limitata ad annuire in silenzio. Per me che da sempre soffro di pressione bassa, si trattava di un mero supplizio sociale a cui di tanto in tanto dovevo sottopormi per non sembrare la straniera di turno, sebbene passassi la maggior parte del tempo chiusa in quel loculo caldo in cui l’odore del legno pervade ogni centimetro cubo dei tuoi polmoni, a contare i minuti che mi separavano dall’aria fresca, la libertà, lo spazio aperto, i gradi sotto lo zero.
Le saune, che mi piacessero o meno, erano una costante, ma preferivo di gran lunga pulirle che utilizzarle.
La sauna della casa a vetri era grande come il mio appartamento. Dalle foto del soggiorno avevo contato almeno tre bambini oltre ai due coniugi, ma lo spazio sarebbe bastato per una squadra di calcio.
Aprii l’ennesima porta a vetri e mi infilai nella zona relax inondando l’ambiente d’acqua e lisoformio. L’odore inconfondibile del detersivo sul legno secco creava un profumo così denso e avvolgente, che ancora oggi rimane per me l’unico vero profumo di pulito.
Ascoltavo musica nelle cuffiette e strofinavo le pedane lasciando che le braccia, con i loro movimenti ripetitivi, conosciuti e precisi, spegnessero i pensieri, le parole non dette, o quelle di troppo: le immagini della discussione della sera precedente con Filippo si ripetevano come un loop nella mia mente; non voleva capirmi. Si ostinava ad urlarmi contro che fossi una delle classiche italiane che vanno all’estero e si lamentano. Già, lavoravo solo io però, cucinavo, pulivo a casa e pulivo a casa degli altri, dalle 5 di mattina. E lui salvava il mondo con la sua presenza. Non si sentiva mai fuori posto lui. Io si, costantemente.
Forse era proprio questo il problema di base nella nostra relazione. O forse era solo un gran bastardo manipolatore. Jyssi mi avrebbe sicuramente consigliato di farmi una sauna per schiarirmi a dovere le idee.
Bello ma è collegato alla serie o è separato?