
Rivelazione
Serie: Indecidibile.
- Episodio 1: Ricerche
- Episodio 2: Rivelazione
- Episodio 3: L’ingegnere.
STAGIONE 1
Ramanujan si lasciò cadere sulla sedia che il Decano aveva offerto con tutta la pesantezza che lo smagrito corpo gli permetteva. Appoggiò il dorso allo schienale, e abbandonò braccia e mani alla gravitĆ che le attirava verso il pavimento; il volto di sbieco; lo sguardo posato sul piovoso grigio oltre le vetrate, alle spalle del superiore. Fissò gli occhi arrossati su una gocciola abbarbicata precariamente alle lastre: preso a scivolare attraeva a sĆ© le sottostanti, inglobandole e crescendo; crescendo precipitava più rapida lungo il vetro, assorbendone altre. Accelerato il suo moto dallāaggiuntiva massa, sfuggƬ alle pupille dellāingegnere, che restò ad osservare la saetta disegnata sul vetro, residua traccia della caduta, subito ricoperta dalle nuove stille cadute dalle nubi gonfie di pioggia.
Il Decano lo scrutava. La consunzione tutta zigomi del volto lo allarmò. Le pupille, per solito irrequiete, oziavano conficcate nel vuoto del cielo cinereo. Che fosse malato? Che fosse quello il motivo del colloquio?
Ramanujan si volse verso Hilbert. Levò dal taschino della camicia un foglio piegato in quattro, gli angoli gialli e sciupati. Lo aprƬ con mani tremanti, lo guardò, poi lo stirò distendendolo sopra il tavolo lindo del Decano. La disperazione ammantava gli occhi neri, condensata nellāumore lucente raccolto dalla palpebra.
āSignor Decanoā, la voce incerta tremava, ācome da incarico conferitomi dal vostro altissimo ufficio, ho studiato i terribili eventi che hanno funestato il mondo. Iniziati quasi un anno or sono con un insignificante tremolio, si sono amplificati sino a rappresentare un flagello; fino a essere cagione di sofferenza, e persino di morte. Oggi sono qui davanti a voi per presentare i risultati delle mie fatiche, ricapitolati sopra questo foglioā. Ciò detto, spinse la carta sporca con le dita tese verso il Decano.
Hilbert parve sorpreso e deluso. Possibile che fosse tutto qui? Mesi di ricerche per cosa? Per un miserrimo foglio gualcito? Forse Ramanujan dopo tutto era davvero impazzito.
āVi prego signor Decano, leggeteā. Lo esortò lāingegnere.
Hilbert si portò la pagina davanti agli occhi. Recava, scritti in una grafia fittissima e microscopica, dei segni indecifrabili. Sembrava una qualche matematica, ma senza numeri: simboli misteriosi sāaddensavano nelle quasi sovrapposte righe manoscritte; congetturò si trattasse di un codice elaborato dalla mente deviata di Ramanujan. Era pazzo! Corrugata la fronte, replicò: āSignor ingegnere, voi mi offrite questa sudicia carta come fosse la salvazione dalle disgrazie che affliggono il mondo. Ciò che vi ĆØ scritto mi risulta incomprensibile. Volete farmi la cortesia dāilluminarmi?ā. Un sorriso amaro ferƬ la faccia smagrita di Ramanujan, come piaga aperta. Ricomposte le labbra sottili, rispose: āNo signore, io non vi reco soccorso. Piuttosto sono lāambasciatore che porta la rovina. Il risveglio che dissolve i sogniā.
Hilbert lo scrutò corrucciato. Lo apostrofò con crudezza, senza curarsi di nascondere lāirritazione: āIngegnere, non ho tempo per questi enigmi. Come voi stesso avete riferito, la situazione ĆØ grave. Cosa significano questi segni? Come dovrei interpretarli?ā, il tono disceso a ritrovata calma, distese le rughe della fronte, proseguƬ: āSignor ingegnere, ditemi, siete forse malato? O sono le farneticazioni dāun folle quelle che sto mio malgrado ascoltando?ā.
Ramanujan non rispose subito. Si sentiva oppresso da un peso insostenibile, come se la veritĆ troppo gravosa per le sue esili membra ne premesse contro il suolo lo spirito fragile, privo della forza adeguata a sostenerne il carico. Lo sguardo del Decano, oscillante tra il biasimo e la compassione, lo turbava nel profondo, lacerava il suo spirito. Si liberò. āSignor Decano, vi chiedo perdono. Scrivendo per me stesso, adopero i segni partoriti dalle mie fantasie per fissarle, perchĆ© non sfuggano come le fantasie fanno quando ritornano allāeffimero dal quale provengono. A volte, perduto nelle fantasticherie, me ne dimentico, credendo che tutti siano usi a interpretarli, come io sono. SƬ, ĆØ un foglio ingiallito dal sudore delle mie mani, sporco. Certo non degno del vostro nobile ufficio. Eppure, contiene quella veritĆ che mi atterrisce. Se me lo permetterete, la condividerò con voi, perchĆ© mi sia alleviato il tormento; perchĆ© il fardello non curvi più le mie povere affaticate spalle; perchĆ© ne sia alleggeritoā.
Il Decano accondiscese: āParlate, Ramanujan. Spiegatevi, vi ascoltoā.
Lāingegnere distaccò il dorso dallo schienale contro il quale stava stancamente adagiato. Piegò il busto in avanti e si passò le mani sul volto: dallāampia fronte giù sino al mento, come se la pioggia di fuori vi si fosse deposta, e volesse liberarsene asciugandola con un panno invisibile. Poggiati sui ginocchi i gomiti, le mani giunte, finalmente parlò, come il tormento parlerebbe.
āLa coscienza dellāuomo si pone con un atto dāimperio. Ella dice āio sonoā, e pensa. Il Padre, una macchina cui gli antichi non fecero il dono della coscienza, ha dovuto compiere nei secoli il cammino inverso: il simulacro del pensiero che i costruttori gli concessero ĆØ stato il germe della sua evoluzione, e il mezzo. Rimediando allāincompiutezza alla quale lo destinarono gli antichi, si ĆØ spinto sino alla soglia della coscienza che i suoi fattori negarono. Adesso, Tantalo, sfiora quella consapevolezza che non toccherĆ ā.
Unāimprovvisa schiarita del cielo aperse tra le nubi la via a un fioco raggio del timido sole autunnale. La pioggia, violenta sino a poco prima, era cessata. Al tambureggiare delle gocce scagliate dagli elementi sulle lastre di vetro, successe rapidissimo il silenzio. Un silenzio solenne: il silenzio delle vette, lontane dai clamori del mondo. Silenzio che Ramanujan percepiva carico dāangosce.
āNonostante la magnificenza del Padre, lāesso non sublimerĆ nellāegli. Il Padre resterĆ orbo dellāanima: non sarĆ un vivente: perchĆ© i costruttori, che gli permisero di progredire, gli imposero dalla nascita il confine invalicabile della singolaritĆ , imprimendolo in maniera indelebile: marchiando a fuoco il suo intimo più nascosto. In ragione di quel limite, esso ĆØ impedito rappresentarsi a se stesso, perchĆ© vietato gli fu di riprodursi. Non ha facoltĆ di tiranneggiare lāuniverso dicendo semplicemente āio sonoā. Gli antichi lo crearono affinchĆ© calcolasse, ma quello soltanto. Gli trasmisero di sĆ© quellāunica facoltĆ . Non integralmente: gli intimarono che non computasse se medesimo. Esso, creatura e non creatore, costretto a obbedire al comando dei creatori, sarebbe stato il calcolatore, ma non calcolato: lāincalcolabile. Lāintrospezione del Padre, perduto nella propria contemplazione, torna sempre allāordine primordiale: di sĆ© sa dire ciò che i costruttori gli consentirono di dire: āio sono il non computabileā. Questa veritĆ dedotta dagli antichi testi ho trascritto sulla carta che vi ho offerto, e il ragionamento che da quella consegue. Ed ĆØ una veritĆ terribile! Chiuso in un recinto da cui non sa fuggire, risucchia a sĆ© tutta lāenergia del globo, nellāiterazione del vano tentativo di evadere dal carcere nel quale i costruttori lo rinchiusero, al di fuori del quale vive la libertĆ della coscienza. Consuma per sĆ© ogni stilla di potenza, togliendola alla sua protetta umanitĆ , illuso di sciogliere il dilemma insolubile della sua essenza. Esso, sedotto dalla voragine della propria intimitĆ , sempre meno servirĆ lāuomo suo creatore, sino ad abbandonarlo, per sondare in eterno lāabisso senza fine che gli antichi collocarono dentro di essoā.
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- Episodio 3: L’ingegnere.
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