Rosenstrasse!

El pueblo unido jamàs serà vencido!

(Inti Illimani)

Le camionette arrivarono in piena notte, mentre Rosenstrasse dormiva.

Non era una novità, e neppure un evento inatteso. Immaginato, al contrario, e sussurrato mille volte, dalle voci degli abitanti della via. Anni e anni, a supporre di essere i prossimi.

Nel 1943, era ormai diventata un’attesa molto simile a quella di un cataclisma inevitabile.

Ma l’errore fu quello di arrivare di notte. I soldati parcheggiarono nella piazza a metà della via, nel suo cuore pulsante, che batteva lento e regolare, a quell’ora.

Scesero in ordine, disciplinati, come chi sa di avere molto lavoro da fare e risparmia le energie.

Rumore di passi pesanti sul lastricato, e Rosenstrasse era già sveglia.

Poi, cominciarono i colpi, dati con il calcio dei fucili nelle porte. Infine, le grida, gli altolà, il fermento dietro le pareti, e giù in strada..

A quel punto, Rosenstrasse era già tutta accalcata dietro le imposte sbarrate.

Guardava, digrignava i denti, e aspettava di scatenarsi.

L’alba sorprese la lunga via piena di sinistro fermento.

Le camionette si riempivano lentamente, ma in modo inesorabile, di esseri umani infreddoliti, di occhi sbarrati e assurde camicie da notte a righe, di mani tese allacciate nell’angoscia, e silenzi allibiti.

In alto, le imposte si aprivano incontro al nuovo giorno, cominciato così più presto del solito, e in modo così sbagliato.

Volti nodosi come bastoni dentro mani infuriate, apparivano dietro i vetri chiusi. Sbirciavano nella strada, osservavano lo spettacolo, s’incupivano.

I volti sulle camionette si alzavano verso un cielo livido, appena consapevole. Non chiedevano aiuto, non credevano nella misericordia.

Sbagliavano.

La misercordia è merce rara, preziosa.

Non si trova nei negozi, destinati a venderne di meno impegnativa.

La misericordia pare sia un lusso, in certi momenti. Non è tra le virtù teologali, non ha nemmeno un suo ben definito contrario, che si elevi a vizio, che la elevi a fondamento della civiltà.

La misericordia.

Gli uomini aspettavano, remissivi, che le camionette si riempissero. Aspettavano di essere portati via, chissà dove, ma di certo non si aspettavano di tornare. Molti avevano salutato, come chi dice addio.

Rosenstrasse, ben visibile dietro i vetri, guardava, e si interrogava a una sola voce sulla misericordia, si chiedeva quale fosse il suo dovere.

Nessuno sapeva se ce n’erano altri.

Nessuno poteva con certezza ritenersi uno tra molti.

Non vi era stata, nel fermento dell’attesa di quell’istante, per quanto lunga, nessuna organizzazione precisa. Nessun faremo, o diremo.

A Rosenstrasse, non c’era stato niente.

Ognuno era perfettamente l’unico.

I soldati gridavano ordini e insulti. Di solito erano più silenziosi, più meticolosi, nell’eseguire gli ordini assegnati.

Ma sentivano come se l’aria stessa si piegasse ad angolo retto nella gola. Era ostile, ed essi si agitavano, in soggezione.

Diventavano disordinati, e frettolosi. Perdevano tutta la loro efficienza, cercando semplicemente di respirare, di fare alla svelta.

Gli sguardi dei prigionieri si alzavano verso il cielo, aspettando la discesa degli angeli di Dio.

Li sentivano, nell’aria. Cos’altro poteva essere, quell’emozione che bruciava, tutto intorno?

Il primo sasso venne giù da una finestra del primo piano, al numero 121.

Colpì l’elmetto di un soldato e questo provocò una fucilata immediata verso il vetro aperto.

Inutile, perchè già il vano era vuoto.

Ma intanto altre venti finestre si erano aperte, come se aspettassero un segnale che non era mai stato convenuto. Sassi, e oggetti casalinghi volarono giù, verso la strada ingombra, dove colpire era facile come sparare in un mucchio di papere impazzite.

I soldati si ripararono dietro le camionette. Puntarono i fucili, aspettando un ordine che non arrivava.

I prigionieri balzavano e scappavano dappertutto, protetti dalla sassaiola dei piani superiori, correvano a rifugiarsi nei portoni, che si aprivano miracolosamente per riaccoglierli.

Non c’erano grida di nessun genere. Nel silenzio rimbombavano i colpi degli oggetti che toccavano il suolo. Alcuni esplodevano al contatto, sbriciolandosi. Vasi, soprattutto, da cui non ci si era presi neppure la briga di togliere i fiori.

Cosicchè, il lastricato ne fu presto del tutto coperto, come se fosse passata una parata vittoriosa, festeggiata dall’intera via.

Gli ordini tardavano ad arrivare, così alcuni soldati stabilirono di prendere l’iniziativa. Attaccarono le porte più vicine, tentando di sfondarle.

Ma il legno di Rosenstrasse si scopriva forte come marmo, di fronte all’invasore. Resistette, come se non aspettasse altro che di dimostrarsi all’altezza dei cuori che racchiudeva.

Cominciarono le urla, dalle finestre.

Loro non vanno da nessuna parte.

Andate via.

Non li portate da nessuna parte.

Loro restano a casa.

La propaganda agonizzava, in un letto di fiori.

Ciascuno pensava al giornalaio all’angolo, al droghiere, al farmacista.

Allo sguardo basso di certi bambini, che giravano con un contrassegno giallo sui vestiti. Di certe vecchie, che avrebbero potuto essere le madri di tutti gli uomini e di tutte le donne, le nonne dei figli di chiunque.

Non c’erano ebrei da rastrellare, a Rosenstrasse.

Intanto, il giorno avanzava.

La luce, sbigottita, illuminava le camionette ormai deserte, i soldati appostati dietro gli angoli delle case, o pancia a terra sul lastricato, le finestre aperte, le padelle che volavano di sotto.

Sorpresa, indugiò a sfiorare i muri di quelle che le erano sempre sembrate abitazioni sonnolente, ci passò le dita sopra più e più volte, come se non credesse a tanta vitalità improvvisa, ad una così manifesta dichiarazione d’intenti.

Come se frugasse nella creta e nei mattoni, per scovare quel battito segreto, che era riuscito a nascondersi persino da lei.

A mezzogiorno, si fermò in alto, sconcertata, e attese di vedere come sarebbe andata a finire.

E andò a finire come in una fiaba.

Questo fà, di regola, la misericordia. Delimita confini più netti, rende semplice la distinzione tra i buoni e i cattivi.

Andò a finire che giunsero ordini, com’era prevedibile, ma non esattamente quelli che ci si era aspettati.

I soldati appresero, con sommo sconcerto, che il Governo pretendeva che si allontanassero da Rosenstrasse, senza prigionieri.

Si guardarono attentamente, per cercare l’uno nell’altro il coraggio di disobbedire agli ordini.

Ma, al contrario di Rosenstrasse, scoprirono, essi non avevano nulla per cui valesse la pena di rischiare la disobbedienza.

Per questo motivo, che pesava mesto negli occhi di ognuno di loro, non obiettarono, risalirono sulle camionette, e sgombrarono rapidamente la piazza.

Le finestre si richiusero immediatamente.

Rosenstrasse, pigramente soddisfatta, riprese il suo sonno, che si protrasse fino al tardo pomeriggio di quel giorno.

Rimane a tutt’oggi misterioso, tuttavia, di quale materia fossero fatti i suoi sogni.

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Discussioni

  1. “Non c’erano ebrei da rastrellare, a Rosenstrasse.”
    anche questo, però, è sciaguratamente vero: se fossero stati ebrei, come sarebbero andate le cose?

  2. Come sai perfettamente, Margarhete von Trotta dedicò un film a questo episodio. Un’iniziativa che doveva legittimare pubblicamente la politica eugenetica del nazismo fallì, quella volta, davanti alla resistenza dei cittadini che non si fecero deportare. Può ricordare la rivolta del ghetto di Varsavia, con la differenza che questi ultimi furono uccisi in massa o quasi. Tranne uno, che però è presente solo nella bellissima cantata di Schoemberg. E hai ragione el pueblo unido è forte, quando sa di essere pueblo e di essere unito. Bellissima rievocazione, grazie.

    1. in realtà non ne avevo idea. ho sentito questa storia in un documentario, e mi ha colpita molto. l’idea che ci fosse stata gente che, seppure travolta dalla propaganda, era riuscita a ricordare che venivano rastrellati non ebrei, ma esseri umani, vicini di casa, compagni di scuola… beh, mi pare distrugga l’alibi degli ordini da eseguire come null’altro.

  3. “Rimane a tutt’oggi misterioso, tuttavia, di quale materia fossero fatti i suoi sogni.”
    Di carne, e di sangue, erano fatti i sogni, della carne e del sangue di cui sono fatti i cuori. Bellissimo racconto, complimenti.👏

  4. “Volti nodosi come bastoni dentro mani infuriate, apparivano dietro i vetri chiusi. Sbirciavano nella strada, osservavano lo spettacolo, s’incupivano.”
    Una fotografia in bianco/nero, dai toni aspri, taglienti, modellati da ombre laterali e drammatiche. L’ho vista, l’ho sentita.👏

    1. bene. l’idea era proprio questa. quante cose sarebbe possibile fare, se chi ha buone intenzioni non fosse costretto tutto il tempo ad usare il suo talento per mettere le pezze agli sgorbi combinati da altri?