S’argia

Sulla strada statale 131 della Cagliari Sassari, detta anche Carlo Felice, dal nome del re (più felice di nome che di fatto), che la fece progettare, il sole batteva a picco. E picchiava anche sulle teste dei quattro passeggeri a bordo della Porsche bianca con la capote abbassata. Il sito Bernak.it aveva previsto temperature sull’isola che avrebbero sfiorato i 40 gradi. La lunga estate isolana, in quei giorni afosi, senza vento, senza alcun soffio di maestrale, aveva il sentore rovente dell’Africa, che toglieva il respiro.

«Che ne dite di una birretta? Ho la gola secca» aveva chiesto Betta alle due donne, dopo aver percorso un altro pezzo di strada.

Susi era d’accordo. «Possiamo fermarci al prossimo autogrill; ormai manca poco.»

E Gi’, col portafoglio in mano del passeggero semidisteso accanto a lei «Offre Cicci: pochi spicci per i nostri capricci».

«Veramente Cicci dorme, sogna “innocente” e non dice niente» era stata la battuta in rima di Susi.

«Appunto. Chi tace acconsente» aveva concluso Gi’.«Ora vi dico a quanto ammonta esattamente il misero capitale della marmotta, in moneta, monetina e banconota.»

Subito dopo, dal portafogli rovesciato sul sedile, era caduto un foglio A4, piegato in quattro, che sembrava la fattura di una ditta commerciale. Il logo stampato in alto, sul margine del foglio, era il disegno stilizzato di una gru, che Gi’ aveva già visto da qualche parte.

“Mon amour mon amour/ A piedi nudi vicino al mar/ a bailar a bailar…” Il cellulare di Gi’ aveva ripreso a suonare la solita canzone neo-melodica di Gigi D’Alessio.

«Pronto.»

«Gine’, apu agattau s’argia

«S’argia? Ma… vuoi dire il ragno, la vedova nera? Non dirmi che ti ha punto.»

«Macchè punto e punto a capo, seconda strofa. Sa macchina, apu agattau sa Spider.»

«Ah, ho capito. Hai trovato la Spider, il ragno. Era una battuta. Sei di buon umore, oggi, Peppi’. Ma questa Spider l’hanno incendiata?»

«Eja, Gine’, abruschiada cumenti a una pudda a schidoni.» (Si, Ginetta, arrostita come un pollo allo spiedo.)

«Peppi’ mi serve subito. Puoi portarla all’autogrill di Abbasanta, sulla 131, col carro-attrezzi della ditta?»

«Eh! Immui, immui, tronau e lampau.» (Eh! Subito, subito, tuono e lampo.) «Ita seu Mandracche?» (Cosa sono Mandrake?)

Pochi minuti dopo, Betta, Susi e Gi’, sedute al tavolino del bar, si concedevano la seconda pausa ristoro della giornata. Birra analcolica limonata per Susi. Scura, non filtrata, di Macchiareddu, per Gi’. Rossa e spumeggiante per Betta, esattamente come lei.

Tra un sorso e l’altro, Gi’ aveva riaperto il portafogli di Cicci, nella speranza di trovare, tra i vari scomparti, insieme alle carte di credito e il bancomat, anche qualche PIN. Sarebbe stato da imbecilli lasciare il codice segnato in un foglietto, ma sull’elevato QI del tizio col fondoschiena alla Brad, nessuna delle tre avrebbe scommesso, neanche la mezza birra, poco fresca, rimasta nel bicchiere.

Fra i tanti cartoncini aveva trovato una serie di biglietti da visita tutti uguali che svelavano, finalmente, la vera identità di Cicci: Francesco Pilloni – Aiuto scenografo – Cell. 399303993 – H24 per collaborazioni professionali. Insomma – aveva pensato Gi’ – apprendista scenografo poco impegnato; anzi disoccupato. Detto alla sarda “Unu motu ‘e famini.”(un morto di fame). Uno che, per campare, si era ridotto a organizzare furti d’auto. Era stata la conclusione immediata di Gi’, dopo aver letto il cartoncino sgualcito, giallo canarino.

Subito dopo aveva ripreso in mano la stessa fattura di prima, con il logo che sembrava abbastanza noto. All’improvviso aveva realizzato dove, quando e perché, aveva conosciuto quel simbolo. Che combinazione: era la stessa ditta dove Peppino, il suo caro cugino, insieme a molti altri dipendenti della Ama Rott & F. lli, lavorava come operaio specializzato nel recupero dei pezzi di ricambio che potevano essere ancora utili. Era lui che le aveva fornito lo specchietto retrovisore e il paraurti mancanti, prima di partire in vacanza, lei e Susi, con la Porsche.Vacanza finita prima di cominciare, anche a causa della loro ingenuità.

Che coincidenza. Il mondo è piccolo – aveva pensato Gi’. Da quel foglio si poteva intuire che Cicci era stato cliente anche lui dello sfasciacarrozze Ama Rott. A giudicare dall’importo indicato sulla fattura, si poteva pensare all’acquisto di qualche automobile conciata male.

Avrebbe atteso l’arrivo di Peppino, all’autogrill di Abbasanta, insieme alle sue compagne di viaggio. Suo cugino avrebbe chiarito il motivo di quella ricevuta di pagamento. Moriva dalla voglia di saperne di più.

Poche ore prima, quando lei e Susi erano salite in macchina, dopo aver finto di fare l’autostop, lui, seduto di fianco a Betta, era stato poco loquace. Le poche parole che aveva pronunciato, finché non l’avevano disteso sul sedile posteriore della macchina, a fare il “riposino”, aveva un accento strano. Il cognome, Pilloni, era tipico della loro zona. Il modo di parlare le dava l’impressione di uno che, dopo aver lasciato l’isola, si fosse trasferito al nord per due mesi, e avesse frequentato un corso accelerato di dizione, per perdere la cadenza, con scarse capacità di apprendimento. O magari, con un insegnante turco capace di parlare correntemente solo la sua lingua, aveva immaginato Gì, più dotata di fantasia che di senso pratico.

***

Dopo un altro giro di birre, offerte, a sua insaputa, da Cicci, le tre donne si erano avviate all’area del parcheggio in cui avevano lasciato l’auto.

«Ve l’avevo detto, io, che la birra calda fa male. Ci ha stordito e ora non riusciamo a ricordare neppure dove abbiamo lasciato la Porsche» aveva iniziato Susi.

«La birra non c’entra. Sono sicura che la macchina l’avevamo parcheggiata qui, vicino al palo. Non c’è da sbagliare. La Porsche è sparita, insieme a quel maledetto Pilloni del malaugurio» aveva continuato Gi’.

E Betta, con le mani sui fianchi e lo sguardo furioso aveva aggiunto «Quello si è svegliato e – come dite voi – se n’è “fuìu”*».

«Sarebbe più esatto dire “bobau”*» aveva puntualizzato Susi.

Era d’accordo anche Gi’«Su dimoniu ki d’a’ criau. Su pilloni s’è bobau.» (Diavolo che l’ha creato. L’uccello è volato.)

*”fuìu”: scappato

*”bobau”: volato.

PS: il riferimento all’uccello è dovuto al cognome del personaggio Francesco Pilloni, che in sardo campidanese significa uccello.

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Discussioni

  1. Ciao Maria Luisa, non so perchè ma ho l’impressione che il povero Pilloni non abbia mai rubato la famosa porsche: non in senso stretto, almeno. Non ho ancora chiara la faccenda, come sia nato quello che potrebbe essere un equivoco (e questo è un bene, perchè mi piacciono le sorprese), spero di riuscire a risolvere il mistero nei prossimi capitoli

    1. Ciao Micol, hai visto giusto sul povero Pilloni. Svelero` il colpevole nei prossimi episodi. Il motivo del furto solo in ultimo.
      Approfitto per chiederti come mai ho ricevuto la notifica di due nuove pubblicazioni tue, ma non le trovo. Sono forse in fase di revisione?
      Ciao Micol, grazie. Un abbraccio.

    1. Grazie Carlo, parole graditissime, come sempre , come ogni tuo commento, gentile e incoraggiante. Spero tu stia realizzando altre “storie”, vere e importanti per il prosieguo della tua vita reale. Quandi vorrai regalarci altri nuovi episodi, ispirati alle tue nuove esperienze, saranno sempre graditi.

  2. Gradevolissima continuazione di questa serie, e anch’io concordo: gli inserti in sardo sono gradevolissimi. Ma dimmi la verità, quanta fatica hai fatta a usare il termine birra e a non usare il nome della marca che comincia per I e finisce per A che è sinonimo di birra nella tua splendida regione?

    1. Grazie Nyam, il tuo commento e` stato molto gratificante. In realta` per quanto riguarda la birra I….a, abitando nel luogo in cui la producono e apprezzandola, in estate, soprattutto con la pizza, non ho saputo resistere alla tentazione di citarla senza nominarla. La birra scura di Macchiareddu scelta da Gi` e` proprio la I….a. Macchiareddu e` la zona industriale (del Comune di Assemini), in cui sorge la fabbrica, a 6 o 7 chilometri di distanza da casa mia.
      Ciao Nyam, attendo i tuoi nuovi racconti sugli sguardi che mi avevano catturato.

  3. Bravissima Maria Luisa, come sempre. Che bello l’uso delle espressioni dialettali nei dialoghi. Pare quasi che li accelerino. E poi, quel caldo estivo e le birre hanno su di me molto più effetto di una banalissima automobile che, tra l’altro si sono fatte fregare di nuovo! Continuo a divertirmi molto seguendo la tua serie. Alla prossima!

    1. Ciao Cristiana, ti ringrazio di cuore per queste tue parole. Ti confesso che inserire le frasi in sardo nei dialoghi mi ha creato non pochi conflitti tra me e me. Avevo il dubbio che alla fine, nonostante la traduzione, il racconto risultasse poco comprensibile.
      Un forte abbraccio.

  4. “La lunga estate isolana, in quei giorni afosi, senza vento, senza alcun soffio di maestrale, aveva il sentore rovente dell’Africa, che toglieva il respiro”
    Che meraviglia, mi ci vorrei immergere, in quel calore❤️