Scirocco su l’Avenue de l’Opéra

I giorni passavano, ma non cambiava niente.

Le aveva pensate tutte: il suicidio, una fuga, anche una strage, perché no… ma il macigno continuava ad essere lì, a premerle contro il petto, ad impedirle di condurre la sua vita come aveva fatto fino a quel momento. Come aveva fatto? Cosa le era passato per la testa? “Quando una persona nel corso della propria vita inciampa in un dubbio come questo, come ne viene fuori? Perché mai io, scema, ne sono uscita così, così da sconsiderata? Eppure non sono mai stata vista come una sconsiderata, né da me né da altri, anzi…”, questi pensieri si accalcavano nella sua mente lasciandola senza sonno e senza tregua. “Cosa posso fare?”: nell’impeto della disperazione aveva provato ad aprire la portafinestra del suo appartamento al quinto piano de l’Avenue de l’Opéra, dove abitava da quando era scappata dalla provincia palermitana. Seppur posto in zona centralissima e molto affollata, era un appartamentino tranquillo dal classico sapore parigino; situata nel piccolo salotto che affacciava proprio sulla grande Avenue, l’unica pecca dell’appartamento era proprio quella portafinestra, alla quale mancava il balcone: inservibile, inutilizzabile, aveva colpito Maria così tanto nella sua irrealtà che questa aveva deciso di concludere l’affare proprio per questo particolare (oltre all’innegabile luminosità che la portafinestra donava alla stanza). Pochi giorni prima, dunque, aveva spalancato le ante e si era affacciata, poco poco: Attila, gattone nero siciliano anche lui, l’aveva raggiunta sporgendo fuori il tartufo nero e i baffetti, che tremavano all’aria fredda. “Infame, se ci provo è anche colpa tua, levati”, ma Attila non ne voleva sapere di tornare al suo posto: le automobili, da lassù, sembravano tante piccole formichine e resistere alla tentazione di fissarle era troppo per lui. Maria capì che non ce l’avrebbe mai fatta a buttarsi così, dal quinto piano.. non con un gattone nero che faceva le fusa lì vicino. Rinfilò le ciabatte e chiuse la finestra, dopo aver rispedito Attila dentro casa con un calcio. “Ma tu guarda, non ho nemmeno più la possibilità di ammazzarmi..” bofonchiava mangiando una banana, mentre il felino offeso sculettando riprendeva posto sulla credenza “.. potrei scappare in un posto lontano.. l’Italia no, troppo vicina, la Sicilia anche peggio.. L’America non mi ispira, forse qualche Paese orientale, col velo non mi riconoscerà nessuno…” Le opzioni erano molte, ma era il coraggio a mancare. “Sono riuscita a fare una cosa del genere, e con quella ho concluso tutte le mie scorte di coraggio! Ma tu guarda… E tu smettila di fare le fusa!” Attila sembrava quasi sorridesse, sornione “Se scompaio dalla faccia della Terra non ti porterò certo con me, traditore omertoso!”, mentre Attila continuava a sghignazzare.

Dopo due settimane di clausura la situazione era diventata ingestibile: non c’era più niente da mangiare, non aveva neanche più le forze per pulire l’appartamentino ed aveva raggiunto un colorito che l’avvicinava molto ad un lenzuolo antico. Attila girava per casa in cerca di qualche insetto, fonte di proteine sicure, ma erano finiti anche quelli. Eliminata anche l’opzione strage (“Semplificherebbe di molto le cose, non dovrei spiegazioni a nessuno. Però ha bisogno di  troppa logistica, non ce la farei da sola..”) le rimase solo una cosa da fare: bardata come se il tempo si fosse fermato quattro mesi prima, a gennaio, aprì la porta di casa. “Augurami buona fortuna”, ma Attila guardava fuori dalla portafinestra. Maria arrivò nel corridoio principale, davanti la porta dell’ascensore, con la sciarpa che le copriva la metà inferiore del viso e il cappello la porzione restante, e premette il pulsante, incerta. Furono i tre minuti più lunghi della sua vita. Quando le porte si aprirono e lei poté finalmente appoggiarsi ad un angolino dell’ascensore, ben nascosta dalle luci centrali del soffitto, tirò un sospiro di sollievo: non aveva incontrato nessuno. Il tragitto fu perfetto (solitario) fino al secondo piano, dove improvvisamente l’ascensore si bloccò per far salire una signora anziana in uniforme completa, compresi dei begli occhiali con montatura di tartaruga e lenti a fondo di bottiglia, lenti che le fecero tirare un altro sospiro di sollievo, più silenzioso del primo però. Al piano terra si catapultò fuori dall’ascensore quando le porte non erano ancora completamente aperte, rischiando di farsi male, ma non importava: ce la stava facendo. L’incognito la faceva sentire più leggera e sicura, abbozzò anche un sorriso sotto la sciarpa spessa e le fecero quasi male gli zigomi: erano settimane che quei muscoli non si muovevano. Uscì di corsa dalla palazzina e subito fu sorpresa dalla forza dello Scirocco. Era caldo, piacevole anche se un pò violento, così violento che la spinse ad allentare un pò il nodo della sciarpa e sollevare il cappello per scoprire un minimo gli occhi, prima di attraversare la strada. Fece i primi due passi sull’asfalto caldo quando una folata più forte delle altre le portò via il berretto, non più ben assicurato sulla testa. Maria, disperata, tentò di riacciuffarlo il prima possibile mentre volava via. Non poteva andare così.. quando sentì qualcuno che fischiava e la chiamava per nome. “Marì! Marìì! Minchia quasi nun te arricanuscivu, si propriu bedda cu sta frinza!” Lei si girò di scatto con un vero, grande sorriso stavolta, si girò in tempo per vedere gli occhi impotenti del conducteur du tram, poco prima di essere investita. 

Cinque minuti dopo era stesa sull’asfalto caldo, la sciarpa era persa anch’essa e lo scirocco soffiava imperioso; si era radunato il classico capannello di curiosi “Fate spazio, fatela respirare!” intimava qualcuno, “C’è un dottore? Qualcuno chiami un medico!” “Povera ragazza, così bella poi..”

Ma Maria non sentiva più niente, guardava solo in alto, verso il suo Attila che sapeva la stesse guardando, e mormorò, prima di spirare con un sorriso: “Hai ragione Attila, in fondo questa frangetta non è niente male..”

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