Scopiamo?

Serie: Imprevisti


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Parlo di pandemia senza mai nominarla. Eravamo così prima di tutto questo?

L’appuntamento è per le 21:30 dopo porta San Frediano. Arrivo dopo due ore di misoginia sotto casa di Alessio, scende e cominciamo a camminare. Le vie del centro dopo trent’anni continuano a stupirmi ogni volta in modi diversi, i vicoli e le persone prendono vita mostrandomi lati nascosti e insoliti. Osservo le finestre aperte in Pizza Della Passera, i soffitti a cassettoni in via Maggio. Sento le chiacchere delle americane in Piazza de Pitti con in bocca ancora il sapore del black russian ordinato al Volume In Santo spirito. Le straniere ci superano a passo svelto tra una traversa e l’altra, io mi maledico per l’ennesimo attimo perso. Dovrei fermarne una a caso, sorridere e cominciare a parlare.

Per i non addetti ai lavori occorre una precisazione. Intrattenere donne per strada è un mestiere pericoloso, le regole sono ferree e cambiano a seconda di chi vi trovate davanti.

Se al primo saluto vi accorgente di parlare con una fiorentina l’unico modo di sopravvivere è simulare una morte improvvisa. No, non scherzo. In casi come questi le probabilità di ricevere un calcio rotante in pieno petto sono altissime quindi respirate, mantenete la calma e buttatevi a terra. Se avete fortuna penserà che avete un infarto e almeno eviterà di calpestarvi. Per riuscire a intrattenere un qualsiasi tipo di rapporto sociale con persone del genere serve quello che io definisco un “passe-partout”. I passe-partout sono di due tipi, avete bisogno di una amica che vi presenti o una qualsiasi attività velleitaria che faccia da tramite. A cosa faccio riferimento? Non fate gli ingenui avete già capito. Se volete scopare a Firenze dovete iscrivervi a un corso di improvvisazione, ballare la salsa o riscoprirvi giocolieri. Dovete cominciare a vestire come se l’lindy hop fosse una ragione di vita oppure mettere dei pantaloni larghi e rossi alla Polveriera in Santa Reparata, suonare una chitarra scordata con un cane di taglia grossa rigorosamente senza guinzaglio. L’identificazione in un qualsiasi tipo di gruppo qualifica ed è il pretesto di cui avete bisogno, a nessuno piacciono sul serio queste attività. Ma andiamo avanti.

Se dopo un breve scambio di parole vi accorgete di parlare con una fuorisede o ancora meglio una straniera, vi è andata bene. Almeno siete sicuri di uscire da questa storia illesi. Andate in pace il vademecum è finito.

Camminando in Via Dei Pepi mi passa davanti la cinese più brutta della storia, ha occhi occidentali e gambe storte e sottili. Una amica mi spiegherà che fanno delle operazioni e mettono colliri specifici per perdere i classici occhi a mandorla. In ogni caso ora è il mio momento non posso distrarmi. «ehi ciao!» Esordisco in inglese con il sorriso più falso a disposizione. Chi mi conosce sa che non sono in grado di fingere, in questo caso lo faccio consapevole di chi ho davanti. Le cinesi solitamente non rispondono, non guardano. Parlano e camminano come se avessero il timore di offendere il prossimo. Sono timide, guardinghe e immerse in qualche smartphone dalle dimensioni improbabili. Lei come da copione si blocca poi qualcosa va storto, parla. Sta per arrivarmi una palata di merda in faccia lo sento. È un fiume in piena e soprattutto ha molta paura, racconta di una amica sotto psicofarmaci che vuole suicidarsi persa per il centro e un ragazzo della prato bene che la insegue. La polizia non risponde.

Alessio mi guarda rassegnato, conosce il mio spirito da crocerossina. «Giulio per favore…» Ha già capito. Si allontana. Io mi incammino con la cinese per le strette vie del centro alla ricerca di non so chi e senza un preciso motivo. Ci spostiamo tra il duomo la stazione e viceversa. Alle due di mattina arriva il primo segno di vita, l’amica psicopatica invia dei selfie da un corridoio con pareti verde salvia, è l’ospedale. Sorride, ha in mano un fazzoletto e polsi sanguinanti con segni trasversali. La raggiungiamo correndo in Santa Maria Nuova e attendiamo pazienti all’ingresso insieme a qualche barbone, è tempo di Covid non si accettano visite. Passano altre ore e si fanno le otto di mattina. Improvvisamente Il mio telefono tuona furioso, è Alessio. Ha la sveglia presto perchè apre il negozio «Si ale.. e dire che volevo soltanto scopare invece siamo ancora in ospedale..» rispondo goliardicamente chiudendo la conversazione. Lo sa che mento, l’imprevisto è l’unica cosa di cui ho veramente bisogno il lunedì notte quando nemmeno gli spacciatori in San Lorenzo si manifestano. «va bene..» sento una voce dall’altoparlante ma non capisco subito. «va bene scopiamo» mi volto di scatto verso la cinese, sono stordito. Ha un italiano perfetto e la c aspirata. «sono dell’isolotto brutto cretino, insomma?!» Probabilmente ho davanti la figlia illegittima di La Pira, devo chiedere al barman del Volume di non servirmi più vodka. Fortunatamente ricordo che l’unico modo per sopravvivere a una fiorentina è la tanatosi e così faccio. Chiudo gli occhi, rimango immobile. Evito la scena dell’infarto solo perché siamo in ospedale e qualcuno potrebbe allertarsi. «forse ho sonno.» Mi limito a dire e questo è quanto. Un’ora dopo a svegliarmi non sarà uno sguardo femminile e vagamente occidentale ma il fiato marcio di un barbone. Sono integro, l’ho scampata anche questa volta. Buongiorno anche a te Firenze.

Serie: Imprevisti


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Discussioni

  1. Un racconto che corre veloce e che presenta -oltre il dramma o psicodramma per riuscire a intrattenere le fiorentine, anziché le americane vissuto dal protagonista-, una fotografia di luoghi che riconosco, essendo la mia città. Il finale è centrato, a mio avviso, un risveglio che si associa a quello di Firenze stessa.