Senza ombra

– Perché m’hai baciata? – disse lei.

Lo chiese con una naturalezza disarmante. Senza rabbia, senza risentimento.

– Perché?

Mentre chiedeva le pareva di sentire ancora le sue labbra, lì sul collo, e la mano che spostava i capelli. Un brivido l’attraversò.

Continuò – perché m’hai baciata, di sera in riva al fiume, tra luci terrene e le sorelle stelle, se già sapevi ch’era una finzione?

– perché l’hai fatto se già sapevi che dopo sarebbe stato silenzio? T’ ho fatto forse pena? Perché? Dimmi.

Lui abbassò lo sguardo e ripensò a quella manciata di ore passate insieme.

Lei continuò a chiedere. – Perché hai fermato il tempo per farmi fotografare l’arcobaleno? Le nuvole e l’iride celeste sono incantatori ma non illusionisti, perché? Perché hai lasciato che le foglie vibrassero nel cielo, perché hai mentito sotto quel verde e quel azzurro? Non sono forse i posti di chi si desidera? Non sono forse i colori della vita? O sei così ferito e disilluso, anestetizzato, assuefatto alla vita, da non goderne più le sfumature? Dimmi cos’è? E se così non fosse, può un uomo giocare, fingere in questa maniera? Dimmi di no per favore, fingi adesso ma dimmi di no. Son troppo vera e disarmata. Sono troppo fragile e presa, anzi persa tra quei minuti di bellezza.

Lui rimase ancora in silenzio, impietrito ma, alzò per un istante gli occhi incrociando quelli di lei. Fu terribile. Stessi occhi ma posto completamente differente. Lei non era più nel suo sguardo.

Le prese la mano, sembrò più piccola del solito, anche lei apparì più esile, più fragile di qualche mese prima. Trovò il coraggio di aprir bocca e disse – cos’è accaduto? Perché mi chiedi perché?

Lei lo guardò, non disse nulla e si tuffò sul suo petto, istintivamente lui l’abbracciò. Forte, come solo lui sapeva. Respirò ancora i suoi capelli e poi, poi il silenzio.

Nel frattempo l’acqua del fiume diventò rosa, ancora una volta.

Di nuovo il vento placido del calar del giorno, fece vibrare le foglie sulle loro teste, di nuovo apparve timida la prima stella.

L’acqua correva mite, ed i gabbiani stridevano per un boccone facendo la spola tra un turista e l’altro. Tutt’intorno riprendeva la vita serale. Si riaccendevano le lucine.

Ancora una volta si ritrovarono a danzare a testa in su mentre le stelle roteavano sulle punte dei loro nasi. Come qualche mese prima c’era la musica. Lui la guardò meglio, aveva un vestito strano, sì, era vestita d’arcobaleno ma tra le sue braccia sembrava più gracile, quasi effimera, come effimeri erano i suoi pensieri, le sue gioe, il suo parlare, si effimera come un riflesso. Guardò l’acqua, era così vicina ai loro piedi che sembrava stessero volteggiando su essa. Era mossa e non si distinguevano i riflessi. Sentì il cuore di lei, battere lieve, come lieve era il respiro.

– Ho bisogno di sapere- Con queste parole lei interruppe il silenzio.

Fermarono il roteare e si fissarono, lui fece come per dirle qualcosa ma le parole non uscirono. Cercava di parlare ma nulla, veniva fuori solo silenzio, come fosse afono. Iniziò ad agitarsi, il respiro si fece frequente come anche il battito.

Lei allora posò delicatamente l’orecchio in corrispondenza del cuore di lui, rallentò.

Chiusero gli occhi, continuarono a roteare tra i riflessi delle luci e le piccole stelle. Silenzio. Solo il pulsare del cuore e il respiro. Il vento lieve. Il tocco delle braccia, il calore delle mani, strette, una nell’altra. Il corpo di lei sempre più esile. Il suo profumo sempre più nella testa di lui. Alzò gli occhi per guardare le stelle, li rivolse verso l’acqua ancora una volta e ne rimase sorpreso. Il suo riflesso era lì, nitido, quasi fosse uno specchio, ma lei, lei dov’era?

Tornò a guardarla, lei era lì tra le sue braccia, sempre più esile.

Chiuse gli occhi, sentì una lacrima scendere, dapprima calda, poi salata.

Li riaprì, era inverno, il fiume era grigio, le foglie erano solo ricordi sui rami spogli e lei, lei ormai era un sibilo di vento, il ballo di una foglia residua, il calore di un raggio di sole, lei non aveva più ombra.

Restò ancora un po’ a guardare i gabbiani chiassosi e a rivivere la vita che in quel posto fu lieta.

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