
SENZA PELLE
Elisa si sentì mancare le forze alla folata di aria rovente che la investì. Le era stato concesso di recuperare alcuni effetti personali di Sandro. Non aveva esitato a dire di sì. Nonostante il caldo torrido di agosto, si preparò per uscire di casa e raggiungere a piedi il palazzo dove abitava Sandro, distante due isolati.
La suola dei sandali si appiccicava all’asfalto limaccioso mentre camminava e pensava alle innumerevoli volte che aveva fatto quella strada con lui al suo fianco, negli ultimi anni. Passò di fronte al gelataio, chiuso a quell’ora del pomeriggio e ricordò quanto Sandro fosse goloso di gelato, quello al pistacchio era il suo preferito. E poi fece caso al silenzio denso che si era posato sopra ogni cosa, ai passi pesanti che echeggiavano lungo la strada deserta, alla solitudine che era diventata di colpo palpabile.
Sandro era per lei l’ultimo legame alla vita.
“Per favore, Signore! Ti prego, non portarmi via anche lui!”.
Al suono dei passi confondeva quello delle sue parole. Era una specie di mantra, una preghiera stentata, un grido strozzato.
Il sudore le scivolava lungo le tempie. Erano pochi metri quelli avrebbe dovuto percorrere, eppure ebbe la sensazione di dover attraversare lande di deserto inghiottite dalla canicola.
Quando raggiunse il portone, ci mise un po’ a mettere a fuoco il cognome sopra il campanello. Poi suonò.
“Chi è?”
“La signora Elisa”.
Non sentì risposta, il portone si aprì.
Sulla porta comparve una donna sulla quarantina, bionda, capelli sulla spalla. Il viso appariva familiare, i modi freddi e i gesti meccanici.
“Buongiorno, si accomodi. Le cose di Sandro che potrebbero interessarle sono di là”, indicò ad Elisa la strada e poi si ritirò in un’altra stanza.
Si sentivano rumori secchi di cose spostate, oggetti strattonati, con sgarbo, quasi con sfregio. Dalla porta finestra di un balcone si udivano voci provenire dalla strada. Qualcuno di sotto gridava a chi stava di sopra, di lanciargli qualcosa.
Elisa si sporse e intravide la scena. Notò delle mani infilare maglie, camicie, pantaloni in grandi sacchi neri dell’immondizia e richiuderli con dello spago sfilacciato.
Riconobbe la donna che le aveva aperto la porta, immaginò che potesse trattarsi della figlia di Sandro, ma non ebbe il coraggio di chiedere nulla. Era intenta ad aprire ante di mobili, cassetti, per svuotarli alla rinfusa, liberarsi di ogni cosa, di ogni suppellettile, di tutto ciò che fosse appartenuto a suo padre, con gesti furiosi.
“Di là, Signora! Entri pure nello studio…”, le si rivolse con un tono sgarbato non appena si fu accorta dello sguardo stranito con cui Elisa la stava fissando.
Nello studio il caldo era insopportabile. La penombra confondeva i profili delle cose e procurò ad Elisa un senso di vertigine.
Sulla parete di destra un’antica libreria in noce massello rendeva ancora più scuro l’ambiente. In fondo alla stanza Elisa scorse un cavalletto con una tela. Si avvicinò, mise a fuoco il soggetto del dipinto e lo riconobbe.
Si ricordò dell’ultima volta che era stata lì, in quella casa, in quello studio. Dello scaldavivande dove metteva il pranzo per lui che da mesi non si preparava più nemmeno da mangiare.
Stava lavorando a quel soggetto da mesi, con un accanimento che non gli aveva mai visto. Era diventato anche meno loquace del solito, meno affabile, più cupo.
Le disse solo che stava rappresentando se stesso su quella tela, o quello che rimaneva di lui, così le disse.
Adesso l’opera era finita, il soggetto realizzato, quel se stesso rappresentato, racchiuso tutto in una sagoma, come rattrappita in una macchia di colore scuro. Elisa ne rimase turbata. Non riconosceva il suo tratto. I suoi dipinti erano sempre stati molto colorati di tinte accese e vivaci. La figura umana che ora guardava, invece, era più simile ad un’ombra che alla consistenza fisica di un corpo vivo. Le braccia penzolavano lungo i contorni di quella macchia antropomorfa come arti sbrindellati.
In basso a destra, Elisa intravide una scritta in caratteri minuscoli. “Senza pelle”, firmato: Sandro Calisi.
Forse era stato il suo modo di chiedere aiuto e lei non aveva capito. Era sempre stata abituata alle sue attenzioni, alla cura che lui si era preso di lei nel corso degli anni. L’aveva sostenuta nelle circostanze più tragiche della sua vita: durante la malattia di suo marito Giulio e poi dopo la sua morte. Le era stato accanto quando Carlo, il suo nuovo compagno era morto di infarto l’anno prima.
A lui Elisa aveva sempre pensato come ad un appiglio, all’approdo dopo il naufragio. Cosa le era sfuggito di quell’uomo? Cosa non aveva colto della sua natura? Le sembrò di essere stata distratta dal suo dolore troppo a lungo per accorgersi di quello di Sandro. Solo nell’ultimo periodo, aveva alzato lo sguardo dalle sue ferite e si era accorta che qualcosa non andava in lui. Forse troppo tardi, per arrestare la caduta.
Si asciugò le gocce di sudore sulla fronte madida e si diede dell’ingorda, dell’insensibile, dell’egoista.
Avrebbe dovuto fare di più. Provare a parlare con la figlia, quella donna scontrosa che in quel momento si trovava nella stanza accanto, pronta a incenerire ogni traccia di quell’uomo che era stato suo padre. Avrebbe dovuto capire o provare a risanare la frattura fra loro due. E più di tutto avrebbe dovuto cercarne l’origine, ripercorrerne le tappe, come in un viaggio a ritroso nel tempo, alla ricerca di risposte, anche quando le domande avevano smesso di farle persino a se stessi. Perché poi la vita scorre, il tempo ci cambia, cristallizza gli attriti, trascina le incomprensioni in una specie di abitudine becera a lasciare le cose come stanno, per indolenza, per pudore, per orgoglio.
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Un testo scritto davvero molto bene. Al di là di tutto, è uno degli elementi che apprezzo di più, forse perché solo così si riesce a veicolare, in modo adeguato, il contenuto. Che in questo caso appare molto, molto interessante.
Mi trovo, di nuovo, allineato con il commento di @GiuliaGS94 che, mi sembra, si è avvicinata molto al segno per come la vedo io.
C’è un po’ di Dorian Gray qui, certo con le dovute differenze. Non parliamo della paura di invecchiare ma di malattia. E non di malattia fisica ma di un malessere profondo, intimo. È il male di vivere, quello impareggiabilmente descritto dal mio poeta preferito.
Complimenti per questo tuffo nel profondo. Come dicevo qualche giorno fa a una lettrice, è il “dentro” che mi interessa, completamente avulso dal “fuori”.
E non c’è modo più diretto per raggiungerlo se non far cadere la barriera della pelle, che nasconde il volto dell’anima.
Piaciuto tanto.
Grazie, Robert! Sono felice che sia stato colto il proposito di arrivare nel “profondo” delle storie, anche di quelle apparentemente più ordinarie e comuni.
Senza pelle come siamo? Il racconto sembra parlare di questo. Gli unici confini che restano in questo mondo sono quelli del corpo, perchè le sensazioni sono sempre contradditorie. Si vede che vuoi raccontare qualcosa di profondo, fallo, cerca di superare la barriera di essere giudicata e buttati a pieno in questa emozione (ps. sono io a scriverle, ma è la protagonista del racconto a comunicarmele a me)
Ci provo, Giulia! Davvero, ogni volta che mi avvicino alle storie e ai loro protagonisti. purtroppo non è facile superare la barriera del giudizio, come tu sai, il mondo editoriale è impietoso!
Un racconto apparentemente semplice e lineare, in realtà estremamente complesso da condurre e da srotolare. Ci sei riuscita molto bene. Insinui dubbi fin da subito nella mente del lettore, stimoli domande. Non tutte le risposte arrivano, ed è giusto così. Bravissima
Grazie, cara Cristiana!
“Perché poi la vita scorre, il tempo ci cambia, cristallizza gli attriti, trascina le incomprensioni in una specie di abitudine becera a lasciare le cose come stanno, per indolenza, per pudore, per orgoglio.” Bellissima frase. Una riflessione che condivido in pieno.
Ciao Grazia. Il titolo “Senza pelle”, mi ha ricordato un vecchio film di Alessandro D’Alatri del 94, con Kim Rossi Stuart e Anna Galiena. Mi era piaciuto moltissimo; quindi non potevo non leggere il tuo racconto. Una storia dal gusto un po’ amaro, anche la tua; una lezione di vita molto dura, da cui trarre insegnamento. Una narrazione ben curata nello stile. Una prosa intensa che cattura, lascia in sospeso e coinvolge il lettore fino all’ ultimo, senza troppi giri di parole, con una capacita` di sintesi degli elementi essendiali, precisi ed efficaci.
E’ un racconto che scopre i tendini emotivi sin da subito, ho molto apprezzato la personalizzazione propria di un proprio stato d’inquietudine e smarrimento, sono incuriosito nel vedere come riuscirai a dipanare una trama che dal punto di vista emotivo sembra molto complessa.
Ti ringrazio e sono in cerca di suggerimenti. A breve pubblicherò un altro episodio, spero che tu possa consigliarmi su come gestire questo groviglio emotivo che effettivamente non è semplice da dipanare. Grazie davvero!
Ciao Grazia, benvenuta in questa bella comunità di scrittura. Con questo racconto sei riuscita a comunicarmi un’angoscia sconfinata, prendilo come un complimento. Sono pochi i racconti che riescono a comunicarmi sensazioni così forti, e per me sono i migliori. Brava, bravissima.
Ma che bello!!!! Grazie davvero, ne sono felice!!!!