
Sfogati, ma al Sicuro
Serie: Erebo
- Episodio 1: Sfogati, ma al Sicuro
STAGIONE 1
“La terapia è costosa. Un mattone costa meno”: questo era lo slogan dell’Agenzia “Sfogati, ma al Sicuro”, per chi non aveva abbastanza risorse per permettersi un cervello nuovo o un riparatore cognitivo a impulsi trans-sinaptici. Nulla era fuori dal loro controllo se ti sapevano rinchiuso in una stanza a distruggere ciò che avevano allestito per te. C’erano le dovute garanzie, in fondo. Promettevano un servizio tutto incluso e tu non dovevi pensare a nulla. All’ingresso venivi munito di martello, frusta, chiavi inglesi, ascia, manganello, ferri di cavallo, piatti e un casco. Attrezzi per lo più superati, paleolitici, ma che, tutto sommato, aiutavano il cliente a far emergere il troglodita assopito in lui. Alcuni sceglievano di pagare un extra per farsi imbottire di polistirolo e gomma. Una precauzione nel caso, per la troppa foga, decidessi di infliggerti del male. I più ricchi pagavano per indossare le tute CatharX – progettazione hi-tech con supporto sonoro, vibrazioni a risposta emotiva e stimolazione neuro-sensoriale, ma alcuni, se non tutti, mollavano in fretta quell’effimera certezza, strappandosi di dosso tutto per assecondare istinti più animaleschi.
Con il proprio ticket in mano, stropicciato e annerito, Nathan si era finalmente deciso a non buttare all’aria quel suo prezioso investimento, forse nella speranza che, alla clinica della Rabbia, potesse trovare una nuova distrazione. Fu la sorella a consigliargli la terapia, da molti ritenuta valida. Lui non ci credeva molto. Si era ormai disilluso, soprattutto quando NeuroKom controllava la maggior parte delle sue filiali e, tra queste, sicuramente, se eri abbastanza fortunato, trovavi il servizio adeguato senza la necessità di muoverti da casa. Potevi elaborare piani di conquista e massacri, seduto comodamente sul gabinetto con in mano la rivista di Silvia Avana che, per la cronaca, era già stata sostituita e clonata. Nonostante tutto era riuscito a recuperarne il numero di serie dell’appuntamento, dopo aver fatto cadere il ticket almeno una decina di volte, arrostito insieme ai suoi waffle, imbevuto nel latte, masticato e sputato. La data si era sbiadita e, per miracolo, era riuscito a ripercorrere con la memoria il giorno in cui Olivia gliene parlò. Mentre attraversava la vena principale del Sector R, rimproverava se stesso per non aver rivenduto quel biglietto per una nuova dose di Hades.
Gli alti palazzi che costeggiavano la strada erano un monumento alla decadenza. Luci al neon, droni volanti, enormi inserzioni pubblicitarie rendevano la città ancor più opprimente. I suoi stivali, placcati di nero e ormai consumati, scivolavano sull’asfalto come una nave alla deriva. Un passo anticipava quello successivo, trascinandosi. In bocca aveva ancora il sapore amaro della Nebula – droga che creava illusioni visive, acustiche e tattili. La sera precedente ne aveva fatto ampio uso e nella mente solo il vuoto. Tutto sommato, pensava, era molto meno automa rispetto ai quei molti passanti a cui non rivolgeva una sincera attenzione, ma che dall’andatura scostante rispecchiavano incosciamente il deterioramento di quella civiltà ormai al collasso. Lasciata a se stessa, in attesa della morte definitiva.
Si accese una nuova sigaretta prima di sistemarsi il colletto della giacca. Faceva particolarmente freddo quel giorno. I fumi dalle fabbriche si sollevavano come al solito. Demoni senza occhi e anima, così come quelle strade sature e ormai allo sbaraglio. I manutentori tamponavano una situazione comunque critica. Risultava inutile il loro sforzo di mantenere ordine e pulizia, ed era così ormai da anni. Piccoli robot programmati a svolgere compiti semplici, basilari. La maggior parte di loro si spegnevano durante le faccende quotidiane. Nessuno li veniva a recuperare se non dopo molto tempo, o dagli stessi loro simili, quando ormai le strade ne erano zeppe. Nathan ci passò sopra come nulla fosse, sbattendo la sigaretta con l’indice per liberarla dalla cenere. Tabacco che si depositò su un dei molti occhi spenti di quelle macchine a terra, una volta menti artificiali. Mentre attraversava la strada non gli sfuggi l’arrivo degli agenti dell’EternaGen. Cavalieri in divisa, arroganti e fanatici, a cavallo dei loro piccoli jet antigravitazionali senza tettuccio. Occhi velati da una maschera inquietante, stivali laccati di nero, e una stazza che superava i due metri. Scesero in fretta dalle loro navicelle, uno alla volta, in ordine, si buttavano senza paracadute atterrando scimmiescamente a terra. Si muovevano in sincrono, come orchestrine rotte ma determinate. “Hop-hop-hop”, battevano a voce alta, illudendosi di domare un tempo che qui era già morto. Come mettere un metronomo a un cadavere. Nathan passò oltre, quando ormai gli Eternalist recuperavano da terra i banchi di memoria estratti dai robot spenti. Svoltò l’angolo e sparì dalla loro vista, senza però riuscire a trattenente una smorfia di disgusto. Sembrava di assistere a un’autopsia dell’anima: i fili, tendini tesi sotto pelle sintetica; il banco di memoria, un cuore pulsante di dati ormai corrotti. Ciò lo portò a contenere un conato di vomito, distaccandosi dalla piazza quando ormai di loro vi era solo più l’odore del grasso e dello stagno.
Serie: Erebo
- Episodio 1: Sfogati, ma al Sicuro
Discussioni