Silenziosamente

Serie: La mia storia


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Inizio a raccontarti qualcosa di me

Quello di cui voglio parlarti prende spunto da un giorno importante. Mentre sistemavo le vecchie riprese della telecamera mi sono imbattuta in un video e all’improvviso mi è venuto in mente tutto di quel giorno. Era il giorno conclusivo del grest estivo del 2005, avevo 7 anni. In generale non ero molto entusiasta di andarci perché significava svegliarsi presto anche in estate, ma dopo la prima settimana facevo amicizia e alla fine era difficile salutare tutti e rivedersi l’anno dopo, infatti le amicizie che nascevano in quei due mesi erano piuttosto malinconiche ma anche molto sincere, non c’era un obbligo che l’anno dopo ci avrebbe portati lì di nuovo, andavamo con la piena consapevolezza che probabilmente sarebbero stati gli unici due mesi in cui avremmo attraversato a vicenda le vite degli altri e poi avremmo continuato le nostre strade. Passavo la maggior parte del tempo a fare quello che gli animatori programmavano per noi, rispettavo le regole dei giochi e stavo al mio posto. Un po’ come adesso.

Pensavo di essere una delle tante bambine da intrattenere, una delle bambine che gli animatori non vedeva l’ora di salutare per godersi i caldi pomeriggi di agosto.

E invece succede che quel giorno viene organizzata una festa per salutarci con tutti i bambini e le rispettive famiglie. Succede che siamo seduti tutti a terra con le gambe incrociate mentre l’animatore prende il microfono e dice “Oggi abbiamo un premio da dare. Mai una parola fuori posto. Sempre rispettosa dei compagni e degli animatori. Il suo carattere mite e pacato sarà utile nella sua vita e una fortuna per tutti quelli che avranno il piacere di passarle accanto, il premio per la più educata va ad Arianna”.

E io stentavo a crederci. Ripenso a me in quel momento con la tenerezza che una mamma può avere nei confronti della propria bambina, mi rivedo lì, con gli occhi sbarrati e le gambe incrociate, sorpresa e imbarazzata. Ricordo di essermi alzata, di aver guardato i miei genitori e di aver visto in loro uno sguardo che mai dimenticherò, e di aver ritirato il mio premio che consisteva in una fascia con una coccarda con su scritto “la più educata”.

Ti sembra tutto bello, intenso, vero? Solo che molte volte quello che si vede non è esattamente quello che è, anzi, il più delle volte l’esatto opposto.

Sai, quello che chiunque altro vede in questo video non è lo stesso che vedo io. Perché quello che vedo io è una bambina mite ed educata, sì, ma anche in sovrappeso. E ne approfitto per parlarti di questo, che è un grande buco nero con cui faccio i conti anche adesso.

Per i primi anni della mia vita tutto quello che ero si accostava sempre a “anche in sovrappeso” e quando ho iniziato a rendermene conto ho anche iniziato silenziosamente ad accettarlo, prima ancora di desiderare un cambiamento.

Ho accettato silenziosamente il fatto che andare a comprare i vestiti, da bambina, significava sudare ore e ore nei camerini con mia madre perché le cose che mi piacevano non erano mai giuste per me. E, semplicemente, dovevo farmene una ragione.

La pacatezza di cui parla l’animatore credo, invece, che fosse semplicemente silenzio. Ero molto riflessiva e silenziosa. E silenziosamente ho accettato la spontaneità dei bambini che dicono tutto senza alcun filtro. Ho accettato i loro commenti, li ho assimilati e adesso fanno parte di me, con nessun rancore e nessuna rabbia, ma con profondo dolore.

Ho silenziosamente accettato di dover fare la dieta sin da piccola. Ho accettato i morsi della fame, perché era quello il vero problema: avevo fame. Ma non solo di cibo, avevo fame di tutto. Di amore, di studio, di amicizia, di vita, senza però prendere niente.

Aspettavo, silenziosamente. Aspettavo i baci dei miei genitori, aspettavo le carezze, aspettavo un gesto di amicizia o di amore, senza mai chiederlo. Senza mai pretenderlo.

Un episodio che mi mette particolarmente tristezza e che non ho mai raccontato a nessuno è nitido nella mia mente: una mattina mi sono svegliata e mi sono accorta che non avevo più la pancia che tanto, silenziosamente, odiavo. Non ce l’avevo più semplicemente perché ero distesa a letto, ma questo io non lo sapevo. Mi sono alzata e sono corsa da mia mamma con le lacrime agli occhi dicendole che finalmente ero dimagrita.

E invece non era così. Non era così semplice e non era così immediato, anche questo, dopo averlo capito, l’ho accettato silenziosamente.

Ti racconto questa storia perché devi sapere che il mondo di oggi non è un mondo semplice. Perché per quanto cresciamo esiste sempre dentro di noi quel bambino che grida e scalpita e soffre e ci ricorda cosa siamo e perché. E dobbiamo rispettarlo, questo bambino, dobbiamo ascoltarlo perché è la nostra parte più intima. Quello che abbandoniamo quando impariamo a camminare. Quando smettiamo di essere presi in braccio. Perché noi andiamo via, ma lui rimane sempre lì, nella nostra parte più fragile.

E ti prego di credermi se ti dico che ho lottato e lotto ogni giorno per essere ciò che quella bambina che vinse il premio per la più educata vorrebbe che io fossi. E mi scuso profondamente con lei se in quel video, tuttora, non riesco a vedere solamente una bambina sorpresa di aver ricevuto un premio che non pensava di meritare, perché in fondo non avevo fatto altro che essere me stessa.

E’ vero che ai giorni nostri mostriamo solamente il meglio delle nostre vite, le emozioni forti, i posti mozzafiato, ma nella vita di ognuno di noi c’è anche tanto dolore e tanta sofferenza che nessuno può giudicare e commentare. E la vera fortuna è trovare qualcuno che possa sedersi vicino a te e ascoltare questa sofferenza, raccontandoti a sua volta la sua. E io ho avuto questa fortuna, ma di questo te ne parlerò in seguito.

Comunque quello che voglio dirti – e che ti consiglio – è di dialogare con questa parte più intima che, ti assicuro, esiste. E quando non la ascolti si fa viva in altri modi. Questo dialogo, infatti, che ho con lei, non si interrompe mai. Ammetto che non riesco sempre ad ascoltare ciò che dice, perché è un esercizio quotidiano -e, ti assicuro, molto doloroso- ma spesso, torno indietro nel tempo e apro quella porta. E trovo quella bambina di 7 anni con le gambe incrociate seduta in un angolo. Mi siedo vicino a lei e le prendo il viso tra le mani. Le dico che andrà tutto bene.

Qualcuno diceva che il ricordo della felicità non è più felicità, mentre il ricordo del dolore è ancora dolore. E per questo, per un istante ci guardiamo negli occhi, ci distendiamo e, con la pancia piatta, silenziosamente, piangiamo insieme.

Serie: La mia storia


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Discussioni

  1. Il titolo racchiude il cuore di questo racconto intimo. Nel silenzio proteggiamo la nostra natura più vera, cercando di non dare nell’occhio. A volte il mai esporsi, rimanere in secondo piano, accettare non è umiltà: è uno “spazio” in cui ci si limita ad essere osservatori. Molti buchi neri si formano nell’infanzia, credo che tapparli completamente sia una missione impossibile: è già molto riuscire a rintracciarne l’origine.

  2. L’iceberg è un frutto della Natura bellissimo, poiché possiede una metafora empirica: di questa montagna immersa si vede sola la cima, che rappresenta un 10% di tutta la struttura. L’iceberg sembra uno scoglio rialzato, ma quando ci sbatti contro l’impatto è 100 volte più forte. Allo stesso modo, la protagonista del racconto prende coscienza di questo fatto quando le viene attribuito un premio, per “La più educata” (nota: poteva essere questo il titolo). Un premio positivo che la società le ha attribuito, come a dire: “Ok, brava, sei una di noi, sei integrata nella nostra comunità.” Ma è proprio quando riceve il premio che il suo dramma scatta. La facciata di quella ragazza educata, che cerca di piacere a tutti, nasconde il realtà il dramma di un bodyshaming che si infligge da sola, trovandosi grassa e non in linea, presumo, con i canoni estetici delle altre bambine o della società in genere. L’aver toccato un successo, per la prima volta, non offre gioia: ma una riflessione sul senso di sottomissione, frustrazione, omertà auto inflitta nei confronti della società che ora l’ha approvato. Ma restano dei drammi non risolti, iceberg attavici da risolvere, scongelare. Il percorso è giusto, si soffre, il truck audiovisivo iniziale è un ulteriore strumento di tortura: da lettore mi piacerebbe vedere come si evolvono questi drammi nella protagonista, partendo da 7, e forse 17, 27, 37, 47. Ma sopratutto mi piacerebbe vedere come si adattano ed evolvono gli strumenti in grado di risolvere questo conflitto. Perché sono strumenti che servono a tutti.

  3. Ciao Arianna, come a @Asle anche a me questo secondo episodio e’ piaciuto anche piu’ del primo, che pure mi era piaciuto tanto. Grazie per condividere il tuo vissuto, e…. credo fortemente nell’effetto catartico dello scrivere.

  4. Molto bello, hai scritto con una naturalezza ed eleganza alcune riflessioni intime e delle ferite profonde che restano per sempre. Mi piace questo dialogo che intrattieni con il lettore, come con un vecchio amico. Al prossimo episodio!

  5. Ciao Arianna!
    Questo secondo episodio, mi è piaciuto anche più del primo.
    Ti faccio i miei complimenti!
    So che è molto difficile accettare se stessi e i propri difetti, ma la cosa più importante, (come racconti tu), che salva spessissimo da queste situazioni, è RACCONTARE agli altri cosa ci sta succedendo e quasi sempre si scopre che siamo un po’ tutti sulla stessa barca e che dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri per superare questi momenti.