
Sognando, Alfredo (2/2)
Serie: Io sono, tu sei, egli no
- Episodio 1: Maledizione alle Muse
- Episodio 2: Sognando, Alfredo (1/2)
- Episodio 3: Sognando, Alfredo (2/2)
STAGIONE 1
Dato che quel giorno io e miei compagni eravamo stati destinati di guardia ad est del paese, dovevamo attraversare per intero metà del perimetro delle mura per riuscire a raggiungere la squadra che aveva lanciato l’allarme. Ripercorrere i sentieri già battuti all’alba, e non ritrovare le proprie orme.
Riuscii a lanciare uno sguardo alla porta monumentale che incorniciava lo stradone. I conci dell’arco c’erano ancora, tutti e quindici. Il concio di volta sorrideva ancora beffardo col suo mascherone scolpito nella pietra tenera delle nostra cave. Non sempre mostrava quella faccia. Non sempre ritrovavo lo stesso numero di conci ordinati al loro posto, ma erano sempre dispari, è chiaro.
«Finalmente siete arrivati. Quei bastardi sembrava che dormissero stamattina. E invece eccoli. Hanno già fatto prigionieri alcuni della nostra squadra», ci salutò concitato Philippe.
Quelle “p” sulla divisa, così riccamente ricamate, erano di certo opera delle mani abili di una delle tante madri delle nostre madri. Ne rimanevano poche ancora in paese. Quelle belve rapivano le nostre vecchie, e con loro l’arte di cucire i nomi sulle divise. Anche mia nonna era stata rapita l’anno scorso e da allora, ogni giorno, solo dopo aver finito i compiti, la mamma mi da il permesso di andarla a trovare.
L’omone baffuto dai folti capelli rossi che ci aveva accolto era a capo della squadra ovest. Stava già annotando sulla lavagna la strategia da adottare per riprendere i nostri compagni fatti prigionieri. Lo schema era abbastanza semplice. Una serie di triangolazioni ci avrebbe permesso di raggiungere la gabbia nemica senza essere visti.
La notte precedente la signorina Lucia ci aveva spiegato alla lavagna la tabellina del quattro. Armando era così entusiasta di averla già imparata senza bisogno di studiarla a casa. Io dovrei ancora ripassarla un po ma non so come riuscii facilmente a comprendere quegli astrusi calcoli trigonometrici che ci avrebbero portato alle spalle del nemico.
«Tutto chiaro?», ci interrogò Philippe prima di dare il via alle operazioni.
Nascoste dentro scatole di scudi fiammeggiavano le tipiche vesti rosse dei nostri nemici. Tra le fessure, rosseggiavano le braccia lunghe di esseri fatti di fuoco. Ucciderli senza sprecare una goccia della nostra preziosa acqua, era la missione di ognuno di quelli che ogni mattina varcavano la porta alla fine dello stradone. Lo sguardo beffardo del concio di volta a benedirci, e le nostre divise, col nome stampato sul petto, a proteggerci.
La strategia funzionò alla perfezione. Anche il nero della lavagna che aveva fatto da sfondo agli schemi del generale sembrava essersi materializzato sul terreno di scontro. Pozze nere e tronchi bruciati disegnavano un tappeto umido sotto un cielo che si faceva sempre più scuro col passare delle ore.
Il sole, se solo fosse stato visibile dietro il muro di nuvole, aveva già cominciato la sua discesa quando arrivammo all’accampamento nemico. Riacquistammo la posizione eretta dopo aver strisciato sul nero tappeto della foresta. Nero in volto, guardai Hans e Paol. Neri in volto loro guardarono me, e credo che soltanto al loro posto avrei visto anch’io quel mostro che mi stava afferrando da dietro.
«Alfredo dietro di te!», fu l’ultima cosa che mi gridarono prima di sparire dalla mia vista, e dalla mia vita.
La signorina Lucia non mi aveva mai messo in punizione all’angolo della classe. Remo passava con molta facilità da quel posto all’altro accanto al mio banco. Non era cattivo, solo un po indisciplinato.
Sto scrivendo col capo chino sulla scrivania della mia prigione. Stanotte il sole mi sveglierà dal sonno del mio letto, per andare a scuola, come quasi tutte le mattine.
Le truppe a Nord vennero in soccorso. Non avevo mai visto un solo soldato di quello che si diceva il miglior battaglione della repubblica. Nella mia disperazione, prima di svegliarmi dall’altro lato del mondo, lo vidi comparire dietro le sbarre. Una chiave in mano. “Mario” era il nome cucito sul petto.
E’ lì che l’ho incontrato.
(Questa lettera è pervenuta alla segreteria del tribunale all’interno di una busta anonima. Sul retro della busta un disegno infantile)
Serie: Io sono, tu sei, egli no
- Episodio 1: Maledizione alle Muse
- Episodio 2: Sognando, Alfredo (1/2)
- Episodio 3: Sognando, Alfredo (2/2)
Piano piano, credo di entrare nel costrutto che stai proponendo, o forse ne sto maturando uno mio… ma penso che vada bene uguale. Si comincia sciogliere qualche nodo, ritengo (… solo dopo aver finito i compiti, la mamma mi da il permesso di andarla a trovare), e lo stile mi piace; darei un’aggiustatina a certe parti come: “dovevamo attraversare per intero metà del perimetro delle mura…” mi suona male quel “per intero metà”, e poi non so se un perimetro si attraversa, forse si percorre? Ecco, direi che tu puoi migliorarlo ulteriormente. Grazie molte per la lettura
Che ne stia maturando uno tuo è anche meglio, perchè io che scrivo non ti voglio imporre nessun punto di vista. Sono i personaggi che parlano a me che scrivo quanto a te che leggi, e a volte nemmeno io li capisco. “per intero metà” suonava male anche a me quando ho riletto. Sono un ingegnere e 0,5 non è un numero intero. Grazie mille Paolo