Sola

è il 31 dicembre 2016, come ogni capodanno ho la testa nel water: la puntuale influenza stagionale mi torna a trovare e mi accompagna, mano nella mano, nel nuovo anno.

Sono nel letto, in TV, Peter Pan della Disney. Capitan Uncino, anche lui raffreddato, ha i piedi in ammollo e la coperta sulle spalle. Qualche stanza affianco, Carlo Conti con le sue veline in costume da bagno, annunciano l’arrivo del nuovo anno. Parenti e amici gridano e si baciano.

Quest’anno l’influenza è proprio quello che volevo, non mi dispiace rimanere a casa a fine anno ed è quasi un sollievo non dover organizzare nulla, rispondere ai messaggi, uscire di casa a mezzanotte, fare la fila per il parcheggio, lasciare i cappotti in macchina, correre per entrare il prima possibile nel locale e come al solito tremare nell’attesa. Ad ogni modo l’influenza sarebbe arrivata.

E’ da poco passata mezzanotte, mia mamma passa a controllare come stia e augurarmi buon anno. Mi addormento. Tra qualche giorno tornerò in Spagna, è l’anno del mio Erasmus. Sono già passati quattro mesi, ho concluso gli esami a dicembre e il prossimo mese sarà una vera e propria vacanza prima del secondo semestre.

A volte mi capita, quando trascorro molto tempo in compagnia, di voler rimanere da sola, rintanarmi e non voler dare conto a nessuno. Non in molti lo comprendono e di questo me ne faccio una colpa. Ogni volta però mi sento rigenerata. Penso che questo mese di libertà sarà la giusta occasione per mettermi ancora un po’ alla prova e riorganizzare tutti i miei pensieri. I mesi trascorsi sono stati una dose continua di adrenalina e prime volte. Voglio viaggiare da sola. Voglio viaggiare per la prima volta da sola.

Il mio punto di partenza è una piccola città nel centro della Spagna, Ciudad Real. E’ in una postazione strategica per raggiungere qualsiasi luogo in poco più di due ore, nord sud ovest est. Penso che tornare a casa senza essere passata per le città del flamenco, dei vestiti ampi e delle nacchere, sarebbe come non aver visto la vera Spagna. D’altronde, nell’immaginario comune, Spagna è Andalucia.

E’ il 10 gennaio, prendo il mio zaino e un po’ di coraggio. Non è il viaggio a spaventarmi ma il freddo ad aspettarmi sull’uscio. Il sole non è ancora sorto ma l’orologio dice che è già mattina. Ad aumentare l’adrenalina, è il mezzo del mio viaggio. Un BlaBlaCar, ma penso “sono due ore di viaggio, cosa potrà capitarmi”. Alla guida c’è Alberto, avrà l’età dei miei genitori. Si presenta, lavora in una sala giochi in città ma vive con la famiglia a Granada, dove è nato. Mi sembra un uomo a modo, e questo mi rende ancora più tranquilla. Da vero signore mi apre lo sportello anteriore, dietro siede un ragazzo, un musicista.

Alberto parla di qualsiasi cosa, sa cosa chiedere, sa come portare avanti la conversazione. Chiede di me, dei miei mesi in Spagna, dove abbia imparato a parlare spagnolo, se mi sono innamorata, se sono mai stata innamorata. Rispondo ma sono distratta, ho lo sguardo fuori dal finestrino al paesaggio attorno. Alberto ci spiega anche quale strada percorriamo, cosa vediamo attorno a noi, le città superate e le montagne attraversate. Man a mano il sole sale all’orizzonte e il ghiaccio in strada inizia a sciogliersi.

Sono arrivata, stazione ferroviaria di Cordoba. Sono le 10 del mattino, è una bella giornata di sole, il cappotto già non serve più. Salutandoci, si assicura che sappia dove dormire e mi parla dell’imperdibile Bar Santos, vicino la Mezquita.

Cordoba è una piccola città arroccata che conserva molto delle popolazioni del passato: la Mezquita araba, la Sinagoga ebrea, la Cattedrale cristiana. Sono impaziente, inizio a camminare, guardarmi attorno, prendo volantini, mi oriento sulla mappa. Non sono un’amante delle foto davanti ai monumenti e dei selfie davanti ai monumenti, soprattutto, ma questa volta sento la necessità di ricordarmene, di lasciare una traccia nella memoria del mio telefono oltre che nella mia. Prendo coraggio e chiedo di scattarmi una foto. Sono nel giardino degli aranci, sorrido. Sebbene sia poco più che mezzogiorno, decido di seguire il consiglio di Alberto e ordino dal Bar Santos un bocadillo con la tortilla, che per quanto banalmente sia un panino con la frittata, ha un sapore tutto nuovo. L’uovo non è completamente cotto, ma nemmeno crudo. Il suo liquido si lascia assorbire dal panino, anche lui soffice e caldo. Che orgasmo per le papille gustative.

Percorro ancora il castro antico, pian piano mi sposto verso le mura antiche e poi verso l’esterno, dove un po’ si rompe la magia di quel luogo incastonato nel passato. Non avendo mai viaggiato sola, non so come regolare i miei tempi, quante cose visitare, quanto soffermarmi su ciascuna. Non voglio correre, voglio osservare tutto con calma, ma non voglio nemmeno fermarmi, da sola. Mi hanno sempre insegnato a diffidare delle persone che siedono sole al ristorante, o vanno sole al mare. Risuona la tipica domanda di mia madre “ma con chi vai?”. Solo è chi non è capace di farsi amici, di stare in compagnia. Si vive in +2, come nei giochi di società.

Mi incammino verso la stazione degli autobus. Sono in anticipo, l’autobus non è ancora in posizione. Continuo a camminare, inizio a sentire paura, ansia per quello che potrebbe succedere: una ragazza, in una stazione, è buio, sono sola. L’autobus arriva, Sevilla è davanti a me.

E’ sera ormai, sono stanca e non ho voglia di camminare ma nemmeno prendere mezzi. La città non sembra piacermi, a questo punto devo lottare con me stessa per arrivare al B&B. E’ un piccolo appartamento tra le viuzze del centro, il proprietario mi da il benvenuto e mi spiega che sarà nella stanza affianco alla mia. Questo mi fa sobbalzare nonostante la mia camera abbia un codice di sicurezza per l’ingresso. Con un occhio mezzo aperto e un orecchio alla porta, mi addormento.

La città ha già un altro colore al mattino. E’ facile orientarsi e già al secondo giorno non ho più bisogno di Google Maps. Mi fermo a far colazione in un bar. E’ un tipico bar degli anni ’80, Italia come Spagna, lo stile si riconosce. Specchi su tutte le pareti che riflettono le luci gialle dei lampadari. Sorseggio la mia chocolate con churros mentre osservo il passeggio lento dello stradone che ho di fronte.

La città è piu grande di Cordoba, ma le influenze sono uguali e riconoscibili: la cattedrale cristiana, la giralda e l’alcazar arabi, il quartiere ebreo. Fa un gran caldo. I colori caldi tendenti all’ocra mi affascinano, la musica nasce all’improvviso ma naturale dai vicoli. Ballerini iniziano a cercarsi vorticosamente e i turisti ad accerchiarli. Mi lascio trascinare dalla curiosità come fossi su un piccolo gommone su un fiume tranquillo. Lascio che sia lui a decidere dove andare, cosa vedere, quando fermarmi.

La fretta, l’ansia, l’angoscia del giorno precedente, è scomparsa. Mi fermo in un giardino, mi siedo e godo del sole, sola e tranquilla. Non mi importa degli sguardi e dei pensieri che la gente probabilmente non mi rivolgerà.

Il proprietario di casa mi consiglia un locale dove ballano della musica tipica. Prima mi fermo a cenare in un piccolo locale per strada, siedo ad un tavolino esterno. Ordino delle polpette e mentre sorseggio una birra, un uomo inizia a parlarmi. Mi presenta il ragazzo accanto a lui, biondino, nordico probabilmente tedesco, avrà la mia età. Mi spiega che quel ragazzo come me, aveva deciso di viaggiare da solo ma non aveva voluto lasciarlo da solo per cena. D’altronde si cena sempre in compagnia. Continuiamo a parlare, si aggiunge un’altra ragazza e decidiamo di assistere insieme allo spettacolo. Il signore ci scatta una foto e mentre va via mi dice: “Una volta che si inizia a viaggiare da solo, è difficile smettere. Si parte soli per tornare in compagnia”.

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Discussioni

  1. Ciao Eleonora, con questo racconto mi hai riempito di nostalgia… Ho vissuto nel nord della Spagna per sei anni e me la porto dentro. I suoi sapori, i suoi odori, i suoi tempi. Confesso che vorrei tornarci, è il luogo in cui mi sono sentita più “comoda” e spero che la situazione attuale si risolva per poterla visitare ancora.

    1. mai come in questo periodo, mi ritornano alla mente tutti i ricordi del mio periodo spagnolo. come dici tu, quella sensazione di comodità e, nel mio caso, anche di libertà, è difficilmente replicabile. ma, a volte, penso sia bello cullarsi in questi ricordi e in quelle sensazioni. grazie per i commenti 🙂