SPIA E CONTROSPIA

Un uomo, detenuto in un carcere di massima sicurezza, sotto stretta vigilanza, riceve una breve nota dalla moglie. “Caro, spero tu stia bene, qui inizia a fare bel tempo, pensi sia il caso che cominci a piantare le patate nel giardino?” L’uomo le risponde “Cara, non toccare assolutamente il giardino, vi sono nascoste armi e refurtiva.” Dopo qualche tempo la moglie gli riscrive: “Caro, è piombata in casa nostra una squadra di poliziotti, Hanno rivoltato l’intero giardino ma non hanno trovato nulla.”

“Mia cara” risponde il detenuto “ora è tempo di piantare le patate.”

Quell’uomo ha fatto un uso, forse inconsapevole ma certo astuto, del pensiero laterale: il modo creativo di vedere le cose, l’epifania della folgorazione, la stimmate del genio.

Se vi è un ambiente dove l’uso del pensiero laterale è quasi una routine quotidiana quello è proprio l’ambiente dello spionaggio internazionale.

Il primo successo di John Le Carrè fu il libro “La spia che venne dal freddo”. Il protagonista è una spia inglese, Eric Leamas, caduta in disgrazia per una serie di operazioni malriuscite, che viene contattato dagli agenti della DDR e convinto a tradire.

Leamas, una volta a Berlino, rivela che nella Stasi, il temibile controspionaggio della Germania Est, vi è una talpa dei servizi segreti inglesi, che dagli indizi viene poi identificata in Mundt (figura in cui è facile riconoscere il personaggio storico Erich Mielke, che fu a capo della Stasi per buona parte del dopoguerra). Ma Mundt fa svolgere le sue indagini e scopre che qualcuno ha provveduto a saldare i conti scoperti del “traditore” e che la paga continuava ad essergli versata sul suo conto corrente bancario. Nel corso di un processo ricco di colpi di scena Mundt rivela le sue scoperte e allontana da se le accuse. Ma il gioco non è finito. Leamas è costernato e si rende conto che la sua defezione (organizzata per gettare in disgrazia Mundt) è stata scoperta per l’incapacità del MI5, e che Mundt è ora più forte che mai. Ma in realtà lo stesso Mundt, prima di liberarlo, gli rivela che l’operazione è stata organizzata, all’insaputa di Leamas, per screditarlo prima e riabilitarlo poi, allontanando per sempre i sospetti – fondati – su Mundt, che è davvero una talpa inglese infiltrata.

Come nelle gallerie di specchi dei luna-park, il gioco e il doppiogioco delle spie abbonda di immagini riflesse all’infinito cioè l’applicazione più classica e contorta del Pensiero Laterale allo stato puro. L’assurdità comica si raggiunse col caso di William Hooper, agente dello spionaggio britannico o della Germania nazista, (lo stesso Hooper non ne era sicuro). Hooper lavorava per il Servizio Segreto inglese, il SIS, in Olanda con un collega, Dalton, che era incaricato del rilascio dei passaporti ai profughi ebrei e che invece si lasciò tentare dalle grosse somme che gli ebrei erano disposti a pagare per un visto e iniziò a incassare bustarelle.

Hooper lo scoprì e ricattò Dalton. Dalton pagò ma successivamente si sparò un colpo alla testa. Gli inglesi vennero a sapere dell’intera storia e licenziarono Hooper, che passò a lavorare per l’Abwehr dei nazisti. Poco prima dello scoppio della guerra, però Hooper si presentò agli inglesi e confessò di aver lavorato per i nazisti e chiese di essere reingaggiato. Gli inglesi accettarono ma gli ordinarono di continuare a fare il doppio gioco e fingere di essere devoto all’Abwehr. Ma le complicazioni non sono finite. I tedeschi riuscirono a infiltrare nel SIS un altro agente che riferì che Hooper era tornato agli inglesi. Allora i tedeschi affrontarono Hooper e lo costrinsero a lavorare di nuovo per loro. Questo avrebbe dovuto significare che i britannici credevano che Hooper, in origine loro agente, fosse passato ai tedeschi, i quali avevano allora creduto che lavorasse per loro, quando in effetti era tornato dai britannici che adesso lo usavano come spia in campo germanico. In realtà, però Hooper lavorava di nuovo per i tedeschi, i quali si servivano di lui per spiare in campo inglese. È chiaro che al terzo cambio di bandiera nessuna spia si può ritenere davvero affidabile, e che i servizi segreti la usino solo per passare agli avversari informazioni false e fuorvianti.

Anche le semplici defezioni però sono fonte di sospetti e creano una serie di effetti collaterali la cui portata è sempre difficile da preventivare e complicata da gestire. Anatolij Golitsyn era una spia sovietica, Funzionario del KGB, che un giorno andò a suonare il campanello di casa del direttore della stazione CIA di Helsinki, Frank Friberg, chiedendo di defezionare. Fribeg si mise subito in allarme, perché i funzionari della CIA sanno che devono diffidare di coloro che piovono dal cielo, i “dangles” come vengono chiamati in gergo i transfughi non preannunciati. Però bastò poco per accertare che Golitsyn non era moneta falsa, perché la CIA stessa anni prima lo aveva adocchiato come possibile transfuga, e poi perché venne messo alla prova e riuscì a identificare tra documenti veri e falsi quelli che erano davvero della NATO. Ma quando Golitsyn iniziò a raccontare di agenti del KGB infiltrati ai massimi livelli nei servizi segreti occidentali iniziarono i problemi. Era vero o era una finta defezione per screditare funzionari onesti e fedeli? Inoltre per provare le sue dichiarazioni Golitsyn chiedeva di esaminare documenti riservati della CIA. E la CIA rifiutava perché, come disse un capodivisione “Chi può essere così pazzo da dare a un ufficiale del KGB informazioni riservate per un’analisi?” E così con Golitsyn come poi con Nosenko e Penkovskij, altri defettori, si andarono creando correnti di pensiero all’interno della CIA, alcuni convinti della bontà della defezione, altri dubbiosi. Ma l’incertezza ormai serpeggiava e non si sapeva bene se chi era scettico riguardo alla bontà della defezione non fosse in realtà una spia passata al nemico che cercava di salvarsi la pelle. Ogni cosa era fonte di due diverse interpretazioni, Penkovskij dichiarava di aver fatto i turni di fine settimana all’archivio centrale del KGB per copiare o asportare documenti, preziosi, che poi mostrò agli americani. E gli scettici si chiedevano perché mai un Colonnello, parte dell’élite che dal comunismo ricavava tutti i vantaggi e non le sofferenze, non avesse destato sospetto in chi nel KGB lo vedeva sacrificarsi a lavorare nei giorni festivi con una sollecitudine perlomeno sospetta.

Penkovskij vantava una brillante mente tecnica ma scienziati occidentali presenti ai suoi interrogatori affermano che egli risultava avere una conoscenza rudimentale della tecnologia missilistica. Si ritenne allora che fosse stato mandato per far credere agli americani (si era all’epoca della crisi di Cuba) che i sovietici avessero una potenza missilistica impressionante, sì da farli desistere dall’impegnarsi in un braccio di forza contro l’URSS.

Penkovskij fu arrestato pubblicamente a Mosca proprio mentre la crisi di Cuba si avvicinava al culmine, e ancora gli analisti si chiedevano perché, se i sovietici lo avevano scoperto come spia, non lo avevano “convertito” per fargli passare informazioni sbagliate al fine di fuorviare gli americani. Ma altri analisti ritenevano invece che l’arresto fosse proprio la prova che le informazioni date erano autentiche. Altri ribadivano che proprio l’arresto pubblico a Mosca sarebbe dovuto servire a far credere che le informazioni date erano autentiche mentre non lo erano affatto.

Si potrebbe continuare all’infinito. Forse la verità la conosceva solo il direttore della CIA, Helms che nel 1971 disse che “russi coraggiosi e altolocati avevano aiutato gli USA durante la crisi di Cuba”.

Questo avvalora la tesi di un’altra scuola di pensiero secondo la quale Penkovskij era un comunista convinto che venne inviato per fingersi un defettore per evitare lo scoppio di un conflitto di vaste proporzioni, cioè una “colomba” contrapposta ai falchi degli apparati militari, era insomma un esponente della fazione anti-Krushev che aveva bisogno di un canale per far sapere all’Occidente che, qualunque cosa minacciasse Krushev, non aveva la “forza” per tradurre in atto la minaccia. Ma un’ulteriore analisi afferma che Penkovskij fosse sincero all’inizio e che il KGB si fosse accorto della sua defezione e avesse deciso di servirsi di lui e che poi Penkovskij si fosse accorto a sua volta che veniva usato dal KGB.

Una falsità, quindi, nata sulla base di un’azione sincera in partenza, e che Penkovskij avesse perciò tentato di screditare le false informazioni fornitegli dal KGB perché ritenute inaffidabili, lasciando filtrare quelle da lui accertate come vere o almeno da lui presunte tali.

Siamo a un livello di analisi in cui, dopo i primi strati, il gioco di rimbalzi è così perfetto e così sfaccettato da diventare un rompicapo micidiale, risolvibile solo basandosi su proprie – e quindi non oggettive – convinzioni che facciano da scudo a una ipotesi di ragionamento da dover condurre fino alla fine.

Qui entra in gioco il pensiero laterale, quello collaterale e quello ipotetico, l’analisi dell’analisi sul cosa loro pensano che noi pensiamo che loro pensino riguardo a quello che noi vogliamo che loro pensino che noi si pensi…

Non abbiamo difficoltà a credere che molti analisti dei servizi segreti siano dotati di un alto quoziente intellettivo, dopotutto, e non a caso, l’intero sistema di raccolta e analisi delle informazioni viene chiamato “Intelligence”!

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Discussioni

  1. ‘L’abilità di pensare in modo creativo o “fuori dagli schemi” per risolvere un problema’ Mi sono andata a prendere la definizione. Bravo! Un testo che inizia come un racconto, o meglio direi come un aneddoto o anche una sorta di parabola che qualcosa vuole insegnare. Invece poi diventa un saggio, interessante, curioso, che danza fra considerazioni e fatti. Tra l’altro, ribadisco, con un uso veramente appropriato e arricchente della nostra lingua. Ancora una volta ti ho letto volentieri.