Sprofondo bianco

Serie: Bivacchi


(Immagine di copertina di Fabio Elia)

Con il bivacco al Bionaz, la stagione estiva finiva e, nonostante i propositi di non interrompere le nostre scorribande con l’arrivo del freddo, abbiamo invece avuto un lungo periodo di inattività fino al 1 maggio dell’anno successivo.

Nel frattempo, a inizio marzo, io, Scilli, Blaco, Veo, Eli e Marco (il suo nuovo ragazzo) siamo andati a Napoli a ritirare un premio che avevo vinto con il mio romanzo, Atman. Favie ed Ele non erano potuti venire perchè si trovavano in Birmania, in uno dei loro soliti viaggi esotici. Ricordo con piacere, quei due giorni a Napoli, a parte la premiazione, durata tutto il pomeriggio del primo giorno, che era stata una vera agonia, ma durante la quale avevamo conosciuto il noto comico toscano David Pratelli, con cui ci eravamo messi a chiacchierare, fare selfie e scherzare allegramente prima di prendere commiato e finalmente goderci la città. La sera, poi, era successa una roba davvero curiosa. Jung ha detto che quando persone con una particolare energia psichica sono insieme fanno succedere cose particolari. Quella volta, seguendo le indicazioni di un ragazzo, siamo andati in una trattoria. Il titolare, chiacchierando con noi tra una portata e l’altra, ennesimo esempio della famosa affabilità napoletana, ci ha raccontato che voleva ritirarsi, dopo tanti anni di gestione, per darsi alle sue passioni, tra cui la lettura. Gli abbiamo allora raccontato che eravamo a Napoli perché io avevo scritto un libro, che avevo appena ritirato un premio e che al concorso c’erano comici e registi. Lui candidamente ha ribattuto:

-Mio genero è un regista…ha vinto un oscar-

Ed io, perplesso: -Come si chiama?-

-Sorrentino-

Non potevo credere alle mie orecchie.

-Sorrentino quello de La grande bellezza?-

Lui ha sorriso: -Si-

Incredibile! Abbiamo passato una splendida serata in sua compagnia e alla fine, visto che era appassionato di lettura, gli abbiamo lasciato una copia di Atman (che Scilli aveva tenuto tanto a portarsi dietro da Torino), dicendogli che, se gli fosse piaciuta, avrebbe dovuto proporla a Sorrentino. Lui ha sorriso e acconsentito. Ma non era finita qui. Mentre tornavamo al B&B, Veo ha detto:

-Magari ora arriviamo in camera e danno La grande bellezza-.

Ve lo giuro, siamo arrivati in camera, abbiamo acceso la tv e…. Napoli è magica. Noi siamo magici.

Ma tornando, alle nostre escursioni, il weeked del primo maggio, nonostante le previsioni del tempo dessero pioggia, eravamo decisi ad andare a quest’altro bivacco della Val d’Aosta dal nome, Borroz, simile al precedente, nonostante si trovasse da tutt’altra parte. Fino alla sera prima, Favie ci ha provato a scegliere una località con maggiori comfort, nonchè maggiori costi, ma io e Scilli siamo stati irremovibili, volevamo qualcosa di selvaggio, economico, faticoso e disagevole, così che si è optato per il Borroz. Con buona pace di Veo e Manu che non aspettavano altro per farci il pacco.

Dunque, il giorno dopo, 30 aprile, io, Scilli, Blaco, Favie ed Ele, siamo partiti con un’unica macchinata. L’auto era quella di Scilli e l’abbiamo portata fin dove la strada era praticabile, lasciandola, poi, parcheggiata su di un prato, a pochi passi dall’inizio del sentiero. Non eravamo sicuri che si potesse parcheggiare lì. Favie, sbracciandosi ed urlando a qualcuno che stava oltre un torrente, ha chiesto se potevamo e, cinque minuti dopo, poco convinto e poco convincente, ci ha detto che non si capiva bene, ma che probabilmente avevano detto di sì. Ci bastava. Dopo aver superato poche altre case di quella borgata, abbiamo cominciato ad inerpicarci su per il bosco. Io, con le mie stecche, salivo col mio solito ritmo regolare ed inflessibile. Quel giorno, pareva proprio che la mia andatura fosse più svelta del solito, o che quella degli altri fosse più lenta. Di fatto, mi sono ritrovato solo, ad un certo punto. Non ho rallentato, poichè ho pensato che ben presto Ele, la scheggia, mi avrebbe recuperato e superato, pertanto risparmiavo la fatica che avrei dovuto fare successivamente per starle dietro. Sulla strada cominciavano ad intravedersi dei residui di neve. Io avevo la tuta dell’Adidas, Scilli aveva i Jeans. Le care vecchie abitudini. Man mano che salivo, i piedi affondavano di qualche millimetro in più nella neve. Finalmente, mi sono voltato indietro. Nessuna traccia degli altri, nelle due o tre curve che riuscivo a vedere. Silenzio assoluto. Ho ripreso a camminare, macinando pensieri sulle possibili minacce a cui andavo incontro, camminando isolato. Avrei potuto farmi male, cadere in un burrone. No, impossibile, il sentiero era bello largo e, nonostante la neve, si camminava ancora bene. Poteva esserci un bivio che io non avevo visto e al quale loro potevano aver preso l’altra strada, convinti che lo avessi fatto anch’io. Non credo. Ho guardato il telefono, c’era ancora segnale. Potevo sempre chiamarli, se mi fosse venuto il dubbio. Altro pericolo? Ho guardato avanti, cercando ispirazione. Il bosco d’alta montagna, il silenzio, la neve. E mi è venuta finalmente l’idea minacciosa che mi avrebbe convinto a fermarmi ed aspettare gli altri: i lupi! Proprio poco tempo prima dell’escursione, mi era capitato di leggere un articolo di giornale sul quale c’era scritto che gli animalisti si stavano battendo contro un ordinanza che imponeva l’abbattimento dei lupi, ordinanza dovuta alla recente proliferazione di tali animali in alcune zone montane. Ecco, esattamente quest’ultimo ricordo, mi aveva pietrificato, facendomi immaginare di veder sbucare, da dietro la curva, un branco di lupi inferociti, inducendomi ad aspettare gli altri. Dopo alcuni minuti, sentire le loro voci avvicinarsi, mi aveva rincuorato.

(Fabio Elia)

Poco dopo, abbandonavamo il bosco, passando, al di là di un torrente, sull’ampio pianoro di una grossa vallata, scoprendo, a quel punto, di essere avviati verso un sempre crescente livello di neve, dato che il panorama diventava tutto bianco, e di non essere attrezzati per tale evenienza.

-Procediamo lo stesso?-

-Certo.-

Senza la neve, la camminata sarebbe stata anche piuttosto comoda e agevole, poichè il tratto in piano era la parte predominante della camminata. Peccato che, man mano che procedevamo, il livello della neve era sempre più alto, fino ad arrivare alle ginocchia. E noi avevamo tutti scarpe da trekking e calzini primaverili. Io ed Ele, con un accanimento direttamente proporzionale al livello della neve, esausti e quasi spiritati nella ricerca del bivacco, siamo riusciti finalmente a vederlo e a sentirci sollevati per questo. Che ingenui.

Arrivati sotto il bivacco, ci siamo resi conto che c’era una ventina di metri di salita ripida sulla quale non si vedeva l’ombra di sentiero. Solo un bianco manto nevoso uniforme. Tentando di procedere in un punto qualsiasi di tale manto, sono sprofondato fin poco sopra la vita. Porca troia! Mi sono fermato, come a chieder loro:

“Che si fa?”

Favie, che è il più alto, è andato avanti. Sprofondava anche lui, ma perlomeno fino al cavallo, il che gli permetteva di rialzare le gambe e compiere il passo successivo. Prima Ele e poi io, lo abbiamo seguito mettendo le gambe esattamente nei solchi da lui lasciati. E siamo arrivati a due metri dalla staccionata del bivacco. La salvezza era ad un niente da noi, ma la ripidità aumentava ulteriormente ed Ele, davanti a me, invece di procedere, sprofondava all’indietro, il che l’ha mandata in panico, perchè oltretutto, essendo a mani nude sulla neve, e soffrendo lei di una sindrome per cui possono andarle in pochi minuti gli arti in cancrena, rischiava anche quella nefasta evenienza. Mi sentivo impotente perchè ero nella sua stessa situazione. Favie si era fermato, poco avanti a lei, per farle coraggio. La vista della staccionata così vicina mi aveva dato un’idea. Ho pensato di raggiungerla e da lì, sporgerle una delle mie stecche per tirarla su. Ma mentre li superavo per attuare la mia idea, si sono arrangiati da soli ed hanno interpretato il mio sorpasso come un gesto di noncuranza. La loro tesi era che, poichè camminavo da solo con un ritmo mio, durante buona parte del tragitto, ed ho sorpassato Ele in quell’occasione, mentre era in difficoltà, presa dal panico, ero un egoista individualista. E’ vero. Lo sono. Sono anche quello. Ma le persone sono qualcosa di complesso, come caos magmatico entro cui una certa caratteristica ed una certa altra possono coesistere, pur essendo energie tra loro contrastanti. In questo caso, avevano completamente totalizzato e frainteso il pensiero su di me. Ma a che valeva insistere a sostenerlo? Ele ha uno scetticismo di fondo, per il quale non crede mai a nessun buon proposito, buona azione o pensiero nobile che uno riporta di aver avuto. Favie è un po’ più malleabile, ma sembrava ormai avermi etichettato. Pertanto, pensassero a ciò che meglio credevano; non gliene volevo, la mia serena convinzione è quella che i fatti, a lungo termine, conducono sempre, o prima o dopo (e a volte molto dopo), alla vera essenza delle cose. Pertanto i fatti, nel corso dei giorni, dei mesi, o degli anni, avrebbero spiegato meglio di ciò che avrei potuto fare io in quel momento. Ma il lato migliore di tutto ciò, era che ce l’avevamo fatta, eravamo arrivati al bivacco e ci saremmo scaldati con una stufa a legna.

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