Stermini, massacri, genocidi et similia…
Il filosofo Santayana ebbe a dire “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla!”
Leggendo le vicende di interi popoli, svoltesi nell’arco dei secoli passati, sembra che la storia si sia ripetuta più e più volte, e che a certe persone non abbia insegnato nulla.
Peccato che questo sia accaduto non per dei fatti positivi che potevano dare beneficio e lustro all’intera umanità, ma per le tragedie più atroci che mai esseri umani (ma mi dispiace chiamarli così) possano infliggere ad altri esseri umani come loro.
Gli antichi romani, – e parto da loro perché furono il primo esempio di esercito organizzato che iniziò a conquistare le terre circostanti a quelle della propria patria – non erano soliti andare per il sottile quando si trattava di conquistare e sottomettere altri popoli.
Generosi poi magari, ma solo dopo che il nemico era stato volente o nolente, completamente sottomesso, cosa che significò, per molti popoli, una “cura” a base di massacri, violenze, rapine e messa in stato di schiavitù.
Calgaco, capo dei Caledoni, popolo britannico sottomesso dai Romani, fece un discorso, che ci è stato tramandato da Tacito, nella sua opera “Vita di Agricola”:
Eccolo in sintesi:
“Noi, che siamo al limite estremo del mondo e della libertà siamo stati fino ad oggi protetti dall’isolamento e dall’oscurità del nome.
Ma dopo di noi non ci sono più altre tribù, solo scogli e onde e un flagello ancora peggiore, i Romani, contro la cui prepotenza non servono nemmeno come difesa la sottomissione e l’umiltà.
Razziatori del mondo, adesso che la loro sete di universale saccheggio ha resto esausta la terra, vanno a cercare anche in mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero.
Loro bramano possedere con uguale smania ricchezza e miseria.
Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero.
Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano nuovo ordine.
Infine, dove fanno il deserto, dicono che è la pace.
Infine, dove fanno il deserto, dicono che è la pace.
Infine, dove fanno il deserto, dicono che è la pace.”
(In latino: Auferre, trucidare, rapere, falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant).
Questo, che fu l’ultimo appello di Calgaco ai suoi guerrieri prima dell’ultima battaglia contro le armate romane, mi ha colpito, oltre che nella denuncia contenuta nelle stesse, nelle tre frasi finali, volutamente ripetute per dare forza alla disperazione di un popolo.
Popolo che ha tragicamente capito che sottomettersi e implorare pietà non basta, se il conquistatore è avido e arrogante.
Ma la “pace” romana, fatta di sangue e di schiavi, ottenne il suo scopo e l’impero si espanse fino a raggiungere confini mai prima pensati e nemmeno immaginati. L’intera Europa.
E l’Impero Romano, pacificato con la spada e col sangue, conobbe poi momenti di relativa tranquillità, fino a che non entrò in contatto, durante il suo declino, e proprio grazie a questo, altri popoli più agguerriti e violenti: i barbari, che somministrarono agli antichi conquistatori la loro stessa medicina, sterminando persone e saccheggiando intere città.
Ma il 12 Ottobre del 1492 le tre Caravelle di Cristoforo Colombo portarono la nostra “civiltà” nel nuovo mondo.
E iniziò la vasta e imponente opera di colonizzazione, opera che, per essere compiuta, provocò il genocidio di intere popolazioni e il numero dei morti si venne a contare nell’ordine di decine di milioni, non più nell’ordine di migliaia o centinaia di migliaia.
I famigerati “Conquistadores” di Francisco Pizzarro, eccitati dai racconti di Hernan Cortes che tornò dal Messico con quantità d’oro prima di allora mai viste, ci misero tutto il loro impegno per sottomettere l’impero Inca, uccidendo Atahualpa, l’ultimo sovrano della dinastia e violentando donne, saccheggiando case, bruciando villaggi e sterminando cittadini inermi.
Gli Aztechi non ebbero un trattamento diverso: nel solo massacro di Tlatelolco morirono, come scrisse lo stesso Cortés, più di 40.000 aztechi.
Quello che non fecero i soldati, lo fecero gli zelanti religiosi giunti al loro seguito. Le culture precolombiante, vecchie di millennni, vennero totalmente annientate: malattie come il vaiolo e la peste sterminarono la popolazione che non ne era immune. Il Cattolicesimo venne imposto con la forza, e le antiche divinità vennero rapidamente associate al demonio.
Quando Cortés sbarcò in Messico, la popolazione della regione arrivava a circa 25 milioni di persone: 100 anni dopo ne rimanevano meno di un milione. Per fare un paragone, a quell’epoca l’intera Spagna e il Portogallo non arrivavano, messi insieme, a 10 milioni di abitanti.
Il danno a quelle antiche civiltà non fu solo in termini di vite umane: gran parte dei codici e del patrimonio culturale azteco venne mandato al rogo dall’inquisizione, (assieme a molti indigeni), causando così la scomparsa quasi totale delle culture precolombiane.
I pellegrini del Mayflower, che sbarcarono a Cape Cod l’11 novembre 1620 fuggivano dalle persecuzioni religiose in europa e cercavano nel nuovo mondo libertà d’espressione e religiosa, una vita di fratellanza e armonia.
Non furono di questo avviso le orde di europei che li seguirono e che ridussero un antico e fiero popolo quello degli Indiani d’America, a un gruppo di sparute tribù di vecchi e bambini ridotti a vivere in fatiscenti riserve, lontani dalle grandi praterie dove il loro popolo anticamente scorrazzava.
Un capito vergognoso a parte è la sterilizzazione forzata, inflitta ad oltre 85.000 nativi e la fraudolenta consegna di coperte e cibi infettati dal vaiolo, con l’intenzione di sterminare (moriva infatti il 90 per cento delle persone colpite da questa malattia).
Nel complesso, si stima che dal primo arrivo dei bianchi nelle Americhe, alla fine del diciannovesimo secolo, siano morti da 90 a 100 milioni di nativi a causa di malattie, guerre di conquista, conseguenze della perdita del loro ambiente e del cambio di stile di vita.
Nella “civile” Europa, nel frattempo, dove nulla c’era più da colonizzare, zelanti autorità religiose si misero d’impegno – tramite l’Inquisizione – per torturare, bruciare vivi, smembrare, centinaia di migliaia di persone che, a loro dire, erano “indemoniate” e che avevano magari il solo difetto di tenere amorevolmente in casa un gattino nero.
Un capolavoro di acume giuridico e follia sessuale fu il “Malleus Maleficarum” meglio noto come “Martello delle Streghe” opera dell’inquisitore papale Jakob Sprenger.
Questo manuale conteneva norme procedurali molto precise, ne cito una per evidenziare la follia criminale che doveva certo pervadere quest’uomo:
“Il giudice inquisitore deve fare all’accusata trentacinque domande, ma basta la prima, in mancanza d’altro, per poterla mandare al rogo…”
Eccola: “Credi alle streghe?”
Se la poveretta risponde “SI”, è segno che si riconosce dedita alla stregoneria e va arsa viva.
Se invece risponde “NO”, si rende colpevole d’eresia, e va comunque bruciata viva.
L’ho definito “capolavoro di acume giuridico” con ironia, ovviamente, perché mi dispiace che le nazioni europee, un paese come la Germania, patria di artisti e letterati, abbiano generato un mostro simile.
Ma il triste resoconto continua quasi all’infinito ed è ben lontano dall’essere concluso, visto quello che ancora accade ai giorni nostri.
Si va dalle atrocità dei campi di sterminio nazisti, dove luoghi come Dachau, Buchenwald, Auschwitz ci ricordano che milioni di inermi cittadini, e in gran parte donne e bambini, passarono per le camere a gas e infinite nei forni crematori, con una sola colpa: la loro origine etnica o la loro fede politica. Oltre sei milioni di ebrei perirono in questo modo, o per la fame e le privazioni e la malattia e le dure condizioni di vita dei campi di concentramento.
Il pazzo dittatore che fu Stalin non fu da meno, nei Gulag sovietici, dove si dice che morirono altre decine e decine e decine di milioni di persone.
E abbiamo ogni giorno tragiche notizie, in questa “piccola aiola che ci fa tanto feroci”
– Il massacro di Srebrenica in Bosnia
– Le tragedie nella striscia di Gaza, in Israele,
– Le morti nel Darfur
– L’uso di gas chimici nel genocidio del popolo Curdo.
– Le violenze praticate in Medio Oriente.
È una contabilità assurda, inumana e che gronda sangue.
Come essere umano mi chiedo come mai sia possibile che, in un mondo dove tutti dovremmo essere fratelli e rispettarci ed amarci, possano avvenire tanti e tali tragici fatti violenti
Sono numeri che grondano sangue.
Ma sono fiducioso in un futuro migliore, senza violenza. DEVO, voglio sperarlo.
Abbiamo avuto persone come Gandhi, Nelson Mandela, Martin Luther King, Giorgio Perlasca.
Dobbiamo lottare perché queste cose si conoscano, perché se ne parli, perché non si dimentichino e si capisca che i problemi dell’umanità si risolvono col dialogo, non con lo sterminio.
E la Storia ci aiuta, la Storia serve a questo, studiarla ci fa capire gli errori commessi, per mai più farne di simili.
Ecco perché mi è cara la frase del filosofo Santayana che ho citato all’inizio: “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla!”
Non voglio che fatti simili accadano mai più. E voglio conoscere la storia, perché non si ripeta.
MAI
MAI
MAI PIÙ
Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa
Buongiorno Rudy e benvenuto. Mi sono imbattuta questa mattina nella tua interessantissima riflessione che mi ha dato da pensare. Sembrerebbe scontato ciò che dici, ciascuno di noi potrebbe avanzare il fatto che tutto questo lo conosce già. Tuttavia, sentirselo dire e soprattutto elencare con tanta attenzione a date e numeri e con così intelligente accuratezza, non è cosa di tutti i giorni. Quindi io cerco di approfittarne, rileggendolo magari ancora un paio di volte e sottoponendolo anche ai miei figli. Un conto è dire ‘lo so già, un conto è sentirselo risuonare nelle orecchie. Non può fare altro che bene. Spendo qualche parola anche sull’uso del linguaggio, visto che ci troviamo su una piattaforma letteraria. Direi, parole scelte accuratamente e nessuna ridondanza o ripetizione. Una lettura molto scorrevole e stile accattivante. Lo vedrei bene sul palco di un teatro. A chi lo diamo da rappresentare? Avrei qualche idea, bisogna però vedere se ne sono all’altezza. Bravo
Buongiorno Cristiana, grazie delle tue parole davvero gentili e lusinghiere.
La tua idea mi incuriosisce, appena l’ho letta mi sono chiesto: “Come si potrebbe rappresentare su un palco teatrale un’elencazione tragica simile?” Poi ho riflettuto sul fatto che nulla, per chi ha le idee chiare ed è determinato, è impossibile.
Che tu ne sia all’altezza ne sono più che sicuro.
Ho letto qualcuno dei tuoi scritti.
Non sono un critico letterario ma ti racconto un episodio: Mozart, all’età di cinque anni, stava suonando sul pianoforte quando qualcuno gli chiese: “cosa stai facendo?” e lui rispose: “Cerco note che si piacciano”.
Ecco, ho subito rilevato la scorrevolezza del tuo scrivere, si viene presi per mano e accompagnati lungo il narrato senza scosse, in modo piacevole, mettendo in garbata, logica e gradevole sequenza, parole che si piacciano. Se ritieni di non essere all’altezza tu, non so chi altri potrebbe ritenersi tale.
Grazie ancora.
Adoro la saggistica di facile lettura, pillole di conoscenza accessibili anche al lettore meno preparato. Qui ci proponi una cronologia parziale di avvenimenti legati all’aforisma con il quale apri il lavoro, che si prestano a considerazioni sulla natura umana. La mia è questa: non ci sarà alcun “mai più” in nessun tempo (o almeno finché il genere sapiens non verrà superato nella line evolutiva) perché il conflitto è appunto nella natura umana. Il conflitto non è solo la guerra, lo troviamo anche nelle riunioni di condominio. Ecco che il pacifismo è dunque solo un’utopia contro natura. Sarebbe già un bel passo avanti se tutti abbraccissimo l’ideale più concreto dell’antimilitarismo.
Hai ragione, purtroppo. E spiace dire “purtroppo” ma hai ben delineato la natura umana. Basta vedere un automobilista che va di fretta e mostra la sua aggressività verso chi ostacola la sua corsa.
Non ci resta che sperare…
Dopo averlo letto credo che sia davvero un bel racconto, una lettura veloce e piacevole. Al suo interno racchiude delle vere perle.
Grazie di cuore, David.
Grazie per questo testo istruttivo che ci ricorda, in sintesi, ma con precisione, guerre, massacri e genocidi, compiuti, nelle varie epoche, da esseri che dovremmo considerare, malvolentieri, nostri simili. Vorrei condividere il tuo ottimismo, le tue speranze, il pensiero che un giorno tutto questo MALE finira`. Da quando e` scoppiata la guerra in Ucraina ed ora il conflitto in Medio Oriente, ho smesso di credere nell’ utopia di un mondo migliore, in pace, prosperita` e amore. L’ odio e` una forza potente, che a quanto pare, non si estinguera` mai. Non so per quanto tempo ancora riusciremo a controbilanciare questa forza distruttiva, con un’ altra, diametralmente opposta, per non estinguerci completamente come genere umano. Dipendera`, credo, anche da noi, pacifisti o pacifici individui, dai nostri comportamenti e atteggiamenti piu` o meno fraterni, rispettosi e benevoli. Non credo che solo i piu` potenti della Terra possano essere armati (di eserciti e ordigni bellici). Noi che vorremmo un mondo piu` giusto, dovremmo rappresentare gli eserciti di buona volonta`, con pensieri, parole e azioni, che possano prolungare la sopravvivenza umana sulla Terra.
Grazie per le tue parole, ho scritto queste riflessioni più di dieci anni fa, ma, ahimè, sono ancora tutte più che attuali, purtroppo.
Hai delineato con chiarezza e perfezione cosa noi possiamo fare, noi, privi di armi, e la cui voce non viene sentita negli alti consessi, o perlomeno arriva loro come un brusio di fondo del quale non vogliono o non possono tenere conto: ragionare, tenere un atteggiamento fraterno, portare rispetto e diffondere la nostra convinzione fondata sul nostro credere che il dialogo e la buona volontà possano, se attuati da quante più persone possibile, cambiare le cose. E non serve che il cambiamento sia drastico, dirompente, anche la più terribile delle valanghe trae origine spesso da una sola pietruzza che comincia a rotolare.
Grazie ancora.
Beh, più che narrativa, questo documento è un monologo, lo script di una pièce teatrale. Pronto per andare sul palco, e prendere i suoi meritatissimi applausi a scena aperta. Ma forse si tratta di uno sfogo, di quelli che le persone giovani, ancora in grado di promettere qualcosa a sé stessi e di scandalizzarsi per l’orrore che l’essere umano può generare, fanno davanti agli amici o da soli, semplicemente a sé stessi.
Io, vecchio brontolone disilluso e un po’ colpevole, ti ringrazio. Hai espresso molto bene il groviglio di malessere e rabbia che mi contorce lo stomaco.
Oh, Giancarlo, Giancarlo, difficile dire lo stupore e il piacere nel leggere il tuo commento.
Stupore perché hai centrato in pieno l’intenzione soggiacente allo scrivere quanto ho pubblicato, ed hai interpretato magistralmente il presunto scopo che ha mosso il mio scrivere in simil modo.
Ed è giusto e doveroso spiegare alcune cose.
Mio figlio, che è ora laureato alla Bocconi, quando ancora stava frequentando il primo biennio delle scuole superiori, mi chiese uno spunto per un tema che avrebbe dovuto svolgere sull’argomento delle guerre e degli stermini.
Egolatra come sono, non solo pensai di fornirgli degli spunti ma di spingermi oltre e, spunto dietro spunto, ebbi a scrivere quelle righe. Lo feci con l’estrema consapevolezza, datami dal mio conoscerlo bene (o almeno così credevo e credo), che non avrebbe copiato pari pari le mie riflessioni ma le avrebbe usate come traccia, come abbrivo per prendere l’aìre. Mi ringraziò e quando, dopo alcuni giorni gli chiesi com’era andato, che valutazione avevano dato al compito assegnatogli mi rispose “Più che bene”, iniziai a gonfiarmi d’orgoglio ma subito venni riportato bruscamente a terra, dalle sue parole che seguirono: “Non ho per nulla usato la tua traccia, ho scritto un elaborato totalmente diverso”.
Questo lo dico per correttezza, dato che sono ormai nonno, e l’ultima cosa che voglio, in questa fase della mia vita, è abbacinare qualcuno. Anche se è vero che è mia convinzione che l’originalità è spesso soltanto imitazione dissimulata, in questo caso ritengo giusto dire – specialmente per rendere omaggio alla tua pazienza nel leggere le mie righe, e per ringraziarti dei graditi e positivi commenti – che questo scritto è stato copiato da un lavoro da me stesso creato, certo, ma più di dieci anni fa. Quindi, dato che il topos sulla caducità del tempo è sempre vivo e si dimostra con maggior vigore quando, come nel mio caso, sei in una fase avanzata (ahimé, molto avanzata) della tua vita, mi pareva corretto fornire questo chiarimento. Oggi sicuramente avrei discettato sullo stesso argomento, ma in modo ben diverso.
Perché allora pubblicarlo ora?
Anche qui credo che una spiegazione vada fornita, sono entrato in questo simpatico e ben strutturato sito solo alcuni giorni fa, e volevo subito pubblicare qualcosa, ma il materiale che avevo scelto era di una lunghezza tale da superare le limitazioni poste a riguardo della lunghezza dei caratteri. E mi sono messo, per così dire, a scernere il materiale che avevo, scegliendo un testo consentaneo al limite di parole indicato.
Grazie ancora dei complimenti, non credo tu sia brontolone, anzi persona colta e arguta; disilluso e un po’ colpevole mi sento anch’io d’esserlo, e, consentimi, più colpevole di te, in quanto a “vecchio” non ritengo tu lo sia, chi scrive come te ha una mente e una personalità fresca e viva dentro di sé, a prescindere dall’anagrafe e, ceteris paribus, io sono nonno, ed in questo, e soltanto in questo particolare anagrafico, sono più avanti di te (con gli anni).