
Storia di una vecchia Signora
Passo davanti a lui ogni giorno, anzi, ogni volta che posso durante la giornata. Ma non mi fermo, gli do appena un’occhiata veloce perché lo odio, come odio me stessa.
Lui sta sempre lì: fermo, immobile, inanimato. Solo quando alla fine mi fermo davanti a lui, improvvisamente si anima, perché è il mio riflesso che ne vedo apparire in esso.
Lui è il mio specchio.
Mi costringo così a stare ferma, e alla fine, mi guardo. Ho sfuggito per troppo tempo la cruda realtà, e persa nel mio volto, istante dopo istante quasi fossi un insieme di diapositive, vedo il tempo mio passare inesorabile.
Rughe, volgari rughe, profonde rughe solcano il mio viso, tracciano strade attorno agli occhi, attorno alla bocca, piegando ed incurvando i lati sia degli uni che di essa.
Ho comperato, nel tempo, le ultime novità cosmetiche per fermare l’opera distruttrice di esso sulla mia persona. Creme, acidi, ed altre illusorie soluzioni, ma sopraffatta ormai da pubblicità ingannevoli, mi ritrovo come prima del trattamento ogni volta, forse anche peggio, perché la mia aspettativa è stata sempre così alta nel avverarsi delle promesse date, da precipitare giù ogni volta davanti a l’evidenza.
Ho cercato di fermare il tempo, ma il tempo ha fermato me, nella immagine, nei ricordi di giovane donna, ma il paragone che ne esce è più che mai impietoso.
Non ho mai voluto invecchiare, questa è la realtà.
Mi tiro indietro i capelli, ora quasi corti, disordinati, stopposi e secchi, dovuti alle innumerevoli tinte da me applicate non appena vedevo un inizio di ricrescita. Ho sempre pensato che se me la fossi fatta fare da altri, non avrebbero ottenuto lo stesso risultato, e poi sono sempre stata gelosa della mia capigliatura.
Dapprima incurante del problema, che al momento non esisteva, i miei capelli erano lunghi sulle mie spalle fino alla vita. Ondulati, morbidi, di un colore rosso ramato con riflessi dorati, difficile da trovare in altre donne. Infatti le altre donne, li guardavano con invidia, ma devo dire che non erano solo i miei capelli che procuravano in esse questo sentimento.
Diciamo che erano un miscuglio di gelosia, invidia e malevolenza rivolta anche al resto di me.
Alta, snella, altezzosa, con passo volutamente sensuale, facevo la mia entrata in scena ogni giorno, ed in ogni luogo in cui io mi recavo, gli sguardi degli uomini erano rivolti solo e soltanto verso di me.
Vogliosi di possedere quella donna bellissima, si tiravano fra di loro gomitate, formulando ipotetiche scene erotiche, usando termini volgari, per darsi lustro della loro mascolinità.
Io camminavo fra di loro, le mie belle gambe sinuose, scoperte, il mio seno pieno che si intravvedeva sotto il mio corto vestito, il mio sguardo di sfida, li facevano impazzire dal desiderio. Io consapevole ne ridevo fra me e me, soddisfatta, guardandoli a volte quasi con disprezzo e sufficienza per la loro debolezza.
Io inarrivabile, io al di sopra di tutto e di tutti, con il potere della seduzione conscia di questo mio atteggiamento che mi permetteva di manipolarli, a mio piacimento, di dominarli e quindi di sentirmi viva.
Selezionavo a quell’epoca i miei amanti, concedevo loro il lusso di passare una sola notte con me, a volte giovani ragazzi, a volte personaggi facoltosi, ma non c’era mai un pensiero d’amore per nessuno di loro.
Io amavo solo me stessa.
Piegavo le loro menti al mio piacere, e poi al alba li mettevo alla porta.
Come cuccioli abbandonati uscivano così dalla mia vita per sempre.
Immersa in questo mio mondo, sembrava che il tempo non dovesse passare mai.
Invece un giorno ecco apparire la prima ruga, a ricordarmi chi ero, ero una comune mortale e come tale soggetta al passare del tempo. Così cominciai sempre più a notarne gli effetti , opponendo allora la mia resistenza, impiastricciandomi tutta di vane speranze.
Ed oggi dopo aver scrutato con disprezzo il mio volto, passo a guardare in uno specchio più grande anche il mio corpo.
Ormai sono decisa ad affrontare anche lui.
Mi spoglio completamente, quasi non oso guardarmi, perché questa immagine di me riflessa, volutamente studiata e non superficialmente adocchiata nel passare del tempo, so che mi farà male.
So cosa accade ai corpi che invecchiano, ma non poteva accadere proprio al mio, no, al mio no.
Mi osservo.
Alzo e allargo le braccia, prima toniche e leggere, ora ne vedo la pelle pendere al di sotto di esse, svuotate dal tempo.
Il mio seno, che fu, prosperoso e turgido, ora floscio e cadente, sciupato dal tempo.
La mia pancia, morbido cuscino per i miei stanchi amanti, ora tesa e prominente deformata dal tempo.
Il mio apprezzato sedere, in cui gli occhi degli uomini si perdevano, che prometteva ad ogni ondeggiamento lussuria, ora non esiste quasi più, dimenticato nel tempo.
Allora, dopo questa mia vista, crudele, chiudo gli occhi, ed incomincio ad accarezzarmi, perché voglio anche sentire la mia pelle.
Prima le braccia, non più lisce, ma con increspature, pieghe crescenti, piccole protuberanze, poi tutto il mio corpo, il seno, pieno di striature, i fianchi allargati ed ingrassati, le cosce e le gambe, nodose.
Avverto così per la prima volta il totale cambiamento e ne resto sgomenta.
E mi rendo conto finalmente del perché gli uomini non si accorgono più di me.
Le poche volte che esco di casa, cerco sempre furtivamente uno sguardo, un’occhiata da parte loro, per sentirmi anche solo per un attimo ancora desiderata.
Ma come potrei, anche il mio vestire è cambiato, vestiti larghi per nascondere le mie forme, scarpe basse per sopportare il mio peso.
Mi vergogno ad uscire di casa più che altro per non vedere gli sguardi di indifferenza nei miei riguardi, e quando li vedo, abbasso subito gli occhi, in modo che non possano vedere nei miei la delusione, e di conseguenza scorgere nei loro, la derisione e lo scherno.
Non c’è pietà per chi non l’ha mai avuta per nessuno.
Continuo a tenere gli occhi chiusi. Sono diventata vecchia, ecco cosa sono diventata, ma non anziana, come usa dire ora per addolcire la parola che non ha mai avuto bisogno di essere addolcita.
Da sempre si parlava dei genitori come vecchi, ma con amore e rispetto.
Ma tutto cambia, anche il senso delle parole.
Sono vecchia, e non è un concetto assoluto, ognuno diventa vecchio alla sua maniera.
Io lo sono diventata vivendo la mia vita a l’insegna della bellezza e dell’inganno del tempo per me immobile, vivendo solo per dare valore a questo.
Quello che ho dato alla vita, la vita mi ha restituito, solitudine, indifferenza, abbandono.
Così ora con questa nuova consapevolezza, quasi volessi prendermi cura ancora una volta di me stessa, questa volta con tenerezza, perdonando la mia superbia, continuo ad accarezzarmi ed immagino di essere davanti alle rive di un lago, mi vedo entrare dentro di esso a piccoli passi, sento la sabbia sotto i miei piedi, i piccoli granelli dove i piedi vi affondano appena. Man mano che procedo, sento le piccole onde lambire il mio corpo, e avverto quel piacevole brivido che mi ricorda il piacere del contatto carnale appena iniziato. Mi spingo più avanti in quel lago e mi bagno i capelli, ora sono di nuovo lunghi e fluenti, lascio che si allarghino sopra le increspature dell’acqua dovute ad una leggera brezza. Il mio corpo improvvisamente riacquista il suo splendore, la sua energia, la sua giovinezza.
Raggi di sole brillano e danzano sulla superficie facendomi stringere gli occhi dal riverbero.
Sono felice, sono di nuovo io.
Infine dopo aver assaporato quello stato mai dimenticato nel tempo, lascio andare la stabilità delle gambe sulla sabbia, e lentamente mi abbasso e scompaio.
Apro gli occhi.
Sorrido al mio specchio.
Più tardi, con calma, prenoterò un soggiorno al lago.
Per essere ancora per un’ultima volta bellissima.
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leri, dopo un buon dieci mesi dalla prima e unica lettura, ho deciso di tornare su questo testo. Che fatica ritrovarlo, ricordarne il titolo, o il nome dell’autrice. Da quando l’ho letto ci ho pensato tanto: non saprei dire quante volte.
In qualche modo ce l’ho fatta e ora sono qui, a rimuginare sui pensieri che, nella mia visione, sono come i carousel di un tempo, quelle giostre che girano senza fermarsi mai. Forse decidiamo, in un determinato istante, di scendere; ma il movimento continua, lo sentiamo alle nostre spalle e sembra non attendere che il nostro ennesimo salto per un nuovo giro.
Una premessa necessaria, mi concentro sul contenuto.
Vedo in questo piccolo racconto tutti gli elementi circolari di una giostra. Ovviamente non faccio l’errore dell’identificazione: il personaggio è inventato. Non è lei, non sei tu. Non siamo noi. Colpisce allora l’assenza totale di commenti e mi chiedo da cosa dipenda. Ma dove sono gli smile, gli applausi e tutto il corollario che ormai è diventato un’abitudine?
Lo faccio io l’applauso a Cinzia. Qui il protagonista è l’amara presa di coscienza, perfino il sincero rimorso, forse anche eccessivo: in fondo tutto è vita e, di certo, insieme al dolore si è donata anche la gioia.
Poi tutto rallenta fino a fermarsi e arriviamo al lago, lo specchio per antonomasia, l’unico capace di porgere il dono del silenzio… il lago non critica, non giudica. Semplicemente, ci chiama per nome quando, ormai, non chiediamo altro.
Questo piccolo racconto mi ha mosso qualcosa dentro. Dal primo istante in realtà; e so, so che un giorno scriverò una storia scaturita da queste righe. Una tempistica non posso darla ma, se sarà, dedicherò a Cinzia e alla sua vecchia Signora una citazione all’altezza.
è vero che sorprende la assoluta mancanza di attenzione verso questo testo, letterariamente valido e per nulla inferiore ad altri che stanno invece sulle prime pagine: eppure, Robert, non è significativo che tu stesso, che pure lo hai apprezzato, gli dedichi un commento molti, molti mesi dopo la pubblicazione?
Grazie delle tue parole e sono contenta che ti sia rimasto impresso questo racconto , fino a volerne parlare sui