
STRANOSOLO
C’era una volta e forse c’è ancora Un palloncino lilla sbiadito Accovacciato; lentamente rimbalzante contro il muro scrostato di una deliziosa cascina in disuso nel centro di Milano Il suo nome era Stranosolo Strano perché il suo colorino sbiadito un po’ trasuu de ciuc , come dicono a Milano , lo rendeva diverso e dissonante dai suoi simili, generalmente gonfi di Elio o di Tonsille fino quasi a scoppiare e fieri e tronfi dei loro colori sin troppo stupidamente sgargianti. Solo perché spesso, anche se a noi non piace, chi è strano è anche solo. Io non so , amici miei , se riuscite ad immaginare un palloncino semi sgonfio semirimbalzare per 5 anni di fila ma andò proprio così .Il nostro eroe osservò, dal suo angolo un po’ privilegiato e anche un po’ sfigato , centinaia di persone avvicendarsi e vivere ed appassionarsi e schiantarsi contro i muri scrostati di quella deliziosa cascina nel centro di Milano. Conobbe osservò scrutò: restauratori, muratori a giornata, poeti ingenui , musicisti , vegetariani mangiabacche e alpini mangiapolenta. Ascoltò , assorto : reading di poesia, presentazioni un po’ noiose di enciclopedie sterminate sulle erbette di campo, concerti di kazoo benjo e balalaike. Assistette a gare di karatè , sfilate di moda miste a yoga , abbuffate di farro, deliri biologici, lezioni omeopatiche. Intanto la cascina diventava sempre più appetibile al punto che turisti giapponesi vi dormivano e figli di papà dall’aura vagamente intellettuale pensavano già a cannibalizzarla. Fui l’unico credo a cui, una sera, poco prima del tramonto, rivolse la parola. Certamente avevo bevuto un po’, ma solo succo di melograno biologico . Non ricordo se un’amica con scarpe camper fumatrice di tabacco boliviano del tipo economico mi ci versò della Absolute Wodka . Resta il fatto che Stranosolo mi parlò. Ricordo che mi spaventai ma ciò che accadde dopo, letteralmente mi sconvolse. Saltimbanchi, stuccatori, stagisti sottopagati e ragionieri un po’ bravissimi e un po’ poeti avevano consegnato la loro anima alla causa. Migliaia e migliaia di abitanti del quartiere, infervorati come tifosi calcistici contribuirono a rendere il rudere un “posto” . Uno spazio per tutti. Un luogo di tutti. Una culla per bambini , un ospizio per anziani , una balera da ballare, un rifugio per randagi. Vi erano delle panchine molto romantiche. Molti si baciavano anche se già si usava poco. Vi era un uomo , questo me lo raccontò Stranosolo, sottovoce, che sembrava Babbo natale , e lui fu il più ferito perché era il papà del Sogno . Ora lui vive lontano scrive libri e sta bene . Rimane Stranosolo a raccontare di lui e forse io, perché conosce ciò che è importante o , quantomeno, lo era. D’un tratto l’edificio divenne moderno , senz’anima, luogo di profitto , pesce crudo e magre consolazioni .I primi a sparire dallo schermo dell’idea furono , nell’ordine: Babbo Natale, le fumatrici di tabacco economico boliviano, i ragionieri poeti . Poi trapassarono gli ultras, i fessacchiotti e i muratori ancora sporchi di stucco e di arcobaleno. La famosa cascina diventò un posto anonimo e dove un tempo leggevano poesia e appendevano quadri sorse un ristorante dove si mangiava bene poi male infine malissimo. I muratori tennero i loro crediti, i ragionieri diventarono poeti e i poeti scaricatori di porto in qualche call center. Dov’è, corbezzoli, il lieto fine mi chiederete voi? Dov’è il supereroe, il cavaliere solitario che da una bella lezione ai cattivi e riporta la scena indietro veloce fin dove tutto cominciò? Ebbene non c’è. O meglio il lieto fine spesso non è un cancellino di feltro su una lavagna cattiva che in un colpo spazza via ciò che non ci piace. Molte volte, come in questo caso, il lieto fine è un palloncino coraggioso anche se sminchio e sbiadito che racconta finalmente ad un ragioniere errante e curioso, la verità. La verità talvolta aggiusta la storia come un papà amorevole aggiusta un giocattolo. Stranosolo d’un tratto sparì. Non lo vidi più ma mai potrei smettere di ringraziarlo è mai lo dimenticherò. Si sgonfiò del tutto? Volò via ? A voi la scelta. Il futuro si immagina E serve a non sbagliare più!
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