Tra ceffoni pelle al sapore di cannella e baci furtivi
Serie: Il pozzo e la salamandra
- Episodio 1: Il pozzo e la salamandra
- Episodio 2: Tra ceffoni pelle al sapore di cannella e baci furtivi
STAGIONE 1
L’effetto del vino stava svanendo, mentre il sole, a sua volta, finiva la sua parabola nell’azzurro mare. Il telefono, nella sala comune della pensione in cui alloggiavo, iniziò a squillare ripetutamente.
Fu una comunicazione a senso unico — così funzionava con il comandante Lazzaro: indefesso, obeso e narcisista comandante dell’unica stazione di polizia dell’isola grande, nonché mio acerrimo rivale a baccarà presso il casinò dell’hotel.
Al mio arrivo in stazione, dopo avermi rimproverato per essermi intrufolato sul luogo del crimine al convento, mi chiese di rendergli una dettagliata relazione su ciò che ero riuscito a carpire. Io mi limitai a poche frasi confuse, finché il sergente Mendez — tipo meno loquace e simpatico del capitano, ma altrettanto corruttibile — non mi impartì una serie di ceffoni che, con una post-sbornia in corso, mi parvero una di quelle sequenze alla Muhammad Ali che ti mandano KO.
Mi risvegliai in cella, disteso su una tavola di legno, con un forte mal di testa e una gran voglia di bere.
Fu solo dopo le ventitré che il sergente si degnò di lasciarmi tornare alla mia pensione.
La stanza era stata messa sottosopra e gli appunti erano spariti. “Che stupidi”, pensai. Conoscendoli, mi ero tutelato lasciando gli appunti al fidato dirimpettaio Shaclom, un uomo dal corpo a punto interrogativo e dalla mente eclettica: ex gioielliere a Lisbona, ora pensionato con il pallino per la botanica e gli uccelli tropicali.
Mi chiusi la porta di quel caos alle spalle e me ne andai alla Piccola Paloma, dove mi aspettavano Porto, sigari cubani e la bella Dolores, con il suo corpo degno di una matrona romana, con curve su cui era un piacere viaggiare.
Amavo stringermi a quella creola: la sua pelle aveva un sapore di cannella mista a olio di cocco. Passai ciò che restava della notte a darle piacere, mentre una vettura civetta della polizia mi spiava dalla strada. Sussurrai il mio piano alla mia dolce metà, che, lasciato il talamo, si mise a rinfrescarsi sulla veranda, sfoggiando tutto il suo repertorio di subrette del burlesque a quei due fessi in macchina, mentre la mia esile figura scompariva nel canneto dietro la Piccola Paloma.
Dal convento, l’improbabile coppia si era trasferita nella suite imperiale dell’hotel — un luogo molto più facile da espugnare, utile per chiarire punti oscuri e scrivere un articolo degno delle testate che pagano i miei vizi.
Li raggiunsi giusto per la colazione. Rilassato e affamato, non feci complimenti al loro invito a sedermi e, dopo un rapido giro di Bloody Mary caraibico (rum al posto della vodka) e Sandwich Royal (aragosta caraibica con maionese al lime, salsa tartara e pane brioche tostato), lasciai che fossero loro a iniziare le danze.
Il pomeriggio, dopo l’intervista, mi lasciai trasportare dalla corrente del Golfo sul mio dinghy a vela, ormeggiato presso lo Yachting Club. Il vento era perfetto e non avevo voglia di nessuno attorno a me, se non dei miei pensieri e delle mie teorie.
Il cameriere da poco assunto — raccomandato da amici influenti —, la lite a cui fu testimone la dolce ospite tra il cameriere e una delle invitate, poi un bacio con la stessa furtivo poco più di un’ora prima della presunta morte, la madame X sparita e non ancora identificata, e ancora gli strani discorsi che giravano tra i signori del convento e quei traffici sospetti tra continente e isole… Troppa carne al fuoco.
E poi il mio caro comandante Lazzaro, sempre alle mie costole: chi lo stava pagando aveva fretta di sapere cosa sapessi, forse per mettermi a tacere. Anche se, a dire il vero, avrei preferito un lauto compenso. Non sono un eroe da operetta, ma un uomo pieno di contraddizioni.
Serie: Il pozzo e la salamandra
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