Tra le righe del massacro (parte prima)

Serie: Di ombre e luce


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Pietro si unisce a un movimento anarchico nella città di Buenos Aires. Sembra tornare a ciò da cui era fuggito.

Era una giornata soffocante di fine estate, e Pietro stava chino a lavorare sulle rotaie insieme agli altri operai. Sentiva il sole bruciare sulla nuca. Le sue giornate si ripetevano monotone, scandite dal lavoro, da partite a carte nel dormitorio e qualche birra con gli amici alla sera.

L’impiego si era rivelato faticoso fin dall’inizio, ma nelle ultime settimane sembrava farsi sempre più pesante.

Pietro non era nuovo alla fatica, tuttavia l’ambiente attorno lo logorava, fisicamente e soprattutto mentalmente. Le giornate infinite sembravano privarlo della speranza. 

Durante la pausa di metà giornata, mentre cercava rifugio sotto un albero, venne avvicinato da due colleghi. Uno era Ignacio, un giovane dagli occhi vivi, che da qualche tempo lo osservava con curiosità. Aveva udito frammenti di conversazioni che Pietro intratteneva con altri lavoratori, parole che facevano eco ai suoi stessi pensieri. L’altro era Tomás, il più anziano dei due.

«Sei sempre così silenzioso, Pietro» esordì Ignacio. «Non sembri il tipo che lavora solo per la paga.»

Pietro alzò lo sguardo, sorpreso dalla schiettezza di quelle parole. «Forse perché c’è qualcosa di più che mi tiene qui» rispose, stringendo le mani sulle ginocchia. «Non lo faccio certo per arricchirmi.»

Tomás fece un cenno con il capo. «Sai» iniziò con voce misurata «alcuni di noi non si accontentano di seguire il treno della vita, così come è stato deciso da altri. Stiamo cercando un modo per farlo deragliare. Per cambiare questa società che ci schiaccia. E tu sembri il tipo che potrebbe aiutarci.»

Ignacio prese un fazzoletto dalla tasca. «Ci riuniamo dopo il lavoro, giù al porto» spiegò, asciugandosi la fronte. «Parliamo di cosa possiamo fare, di come cambiare le cose. Se ti va, vieni con noi stasera.»

Pietro li osservò, cercando di capire se quelle parole fossero davvero sincere o solo un’altra illusione. Ma dentro aveva già la risposta. Annuì lentamente, e sentì che forse aveva trovato ciò che cercava: lavoratori, come lui, che sognavano un cambiamento.

Quella sera si unì a loro in un bar vicino al porto. Il locale era buio, con tavolini in legno e bottiglie sparse. Una radio gracchiante diffondeva musica incomprensibile, coperta dalle voci concitate dei presenti. Le conversazioni erano accese: si parlava di anarchia, di lotta, di giustizia. Ogni parola pronunciata con passione e determinazione. Non erano solo chiacchiere: erano piani, idee, visioni per un futuro diverso.

Pietro sentì parlare per la prima volta della Federación Obrera Regional Argentina e dell’urgenza di elaborare nuove strategie per contrastare la repressione statale. Apprese informazioni sulla situazione politica del Paese e se ne appassionò.

Quegli incontri diventarono per lui pane quotidiano e, dopo il lavoro, si recava al piccolo locale. Fu proprio durante una di quelle riunioni che Pietro venne avvicinato da alcuni membri di El Libertario, un giornale clandestino che diffondeva la voce della rivoluzione. Ogni articolo era un pugno al sistema, ogni parola un invito all’azione.

Una domenica, Pietro si presentò alla redazione, ospitata in una tipografia nascosta tra i vicoli del quartiere. Un brivido lo colse. Per un attimo, fu come tornare alla sua Milano. Ad accoglierlo c’era Helena, una giovane donna con gli occhi vivaci. «Questo posto non sembra granché» disse con un sorriso «ma è qui che stampiamo la libertà, ogni volta che diamo voce alla carta.» Poi, mentre si avvicinava a uno dei torchi, aggiunse: «Non mi ero mai sporcata tanto le mani in vita mia. Ma adesso non saprei dove metterle, se non qui dentro.» Pietro sorrise, colpito da quella semplicità disarmante.

Mentre Helena gli mostrava il funzionamento del torchio, un ragazzo si avvicinò portando una pila di fogli ancora freschi d’inchiostro. «Questo è Raúl» disse lei. «È l’unico nato nella Capitale, per questo lo chiamiamo “el criollo”.»

«A tua disposizione» Raúl sorrise alla battuta. Aveva poco più di vent’anni e un’aria scanzonata che piacque da subito a Pietro. «Benvenuto nella stamperia dei folli» disse ancora con tono scherzoso. «Vedrai, ci si affeziona a questa banda di disgraziati.»

Pietro si guardò intorno. L’ambiente era semplice, ma vibrante: fogli ovunque, articoli in lavorazione, manifesti anarchici appesi alle pareti. Rimase affascinato da quella frenesia, da quel fervore che animava tutti.

«Ogni parola che stampiamo è un atto di resistenza.» Helena gli spiegò come il giornale fosse nato per dare voce a chi non l’aveva, per combattere la censura e la violenza delle milizie paramilitari. Pietro fu attraversato dalla consapevolezza di essere tornato a far parte di ciò da cui era fuggito.

Con Raúl, trovò presto una sintonia che andava oltre il lavoro in redazione. Parlavano spesso, mentre sistemavano le bozze, scambiandosi idee e aneddoti, sogni e disillusioni. Raúl, con il suo spirito ironico e la parlantina sciolta, gli ricordava certi amici d’infanzia, ma con un modo di fare tutto argentino, vivace e scanzonato, come se anche nei momenti più difficili riuscisse sempre a sdrammatizzare. Era cresciuto in un quartiere povero di Buenos Aires e si era unito alla redazione dopo che suo fratello maggiore era stato arrestato per aver distribuito volantini sovversivi. «Stampare è la mia vendetta» gli confidò un giorno. «E la mia speranza.»

Fu grazie a lui che Pietro cominciò a sentirsi parte di qualcosa, non solo di una lotta, ma di una piccola comunità.

La passione di Pietro per la causa anarchica non passò inosservata a Diego, che non vedeva di buon occhio il suo coinvolgimento in quelle attività.

Una sera lo invitò a passeggiare. «Questa città è pericolosa per quelli come te» gli disse senza guardarlo. «La polizia non scherza, Pietro. Anche qui gli anarchici sono nel mirino. Io mi sento responsabile verso di te e non posso permettere che ti accada qualcosa di male.»

Pietro si fermò e si sedette su un muretto, stanco, ma determinato. «Non posso farne a meno, Diego. Ho ritrovato quello per cui vale la pena lottare, qualcosa che mi dà uno scopo.»

Diego scosse la testa. «Non è una questione di coraggio. È una questione di sopravvivenza. Pensa a tua madre.»

Pietro sospirò, ma non rispose. Sapeva che Diego aveva ragione, eppure si sentiva troppo coinvolto per tirarsi indietro. Desiderava continuare a lottare anche se questo voleva dire rimettere in gioco la libertà e forse la vita.

Serie: Di ombre e luce


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. S’insinua il conflitto tra “vecchie passioni” del protagonista e il motivo che l’aveva portato lì: mettersene al sicuro; il che rende avvincente questo episodio. E’ chiaro che ci ricadrà, nonostante la paternale di Diego, lo era da quando il collega citò la metafora (magari neanche tanto metafora) di far deragliare il treno. Grazie per la lettura

  2. A volte si pensa che andando via da un luogo tutto possa cambiare, ma certe battaglie ci seguono ovunque, semplicemente perché fanno parte di noi. Come non amare questo nuovo capitolo? Bravissima Cristiana.