Trascendenza

Serie: Trascendenza


trascendenza s. f. - (filos.) [condizione o proprietà di essere trascendente] ≈ soprannaturalità, sovrumanità.

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: Trascendenza

Il vecchio morente giaceva sul letto, circondato dalla sua solitudine, fida compagna di viaggio per tutta la sua esistenza. In mezzo a tanto silenzio, però, era presente un’altra persona. Un signore anziano, con i capelli uguali a quelli dell’altro uomo, con l’unica differenza che i suoi erano bene ordinati al di sopra della fronte. Il vecchio sul letto, che diceva di chiamarsi Dan Rubio, li aveva scompigliati, con alcune ciocche bianche sparse sulla fronte. Sapeva di non poter più chiedere nulla dalla vita, eppure sembrava essere agitato, come se avesse ancora il bisogno di sistemare qualcosa. Le fonti della sua perenne apprensione erano da ricercarsi nel profondo della sua anima. Iniziò il suo racconto, non distogliendo mai lo sguardo dal soffitto annerito.

Una sera, fredda e burrascosa, si trovava nella camera da letto della sua catapecchia, intento a scrutare, attraverso l’unica finestra presente nell’abitazione, il cielo scuro e colmo di nuvole dalle quali neppure la stella più luminosa aveva il privilegio di penetrare. Aveva lo sguardo perso sulla cima tremolante di una bellissima quercia. Accanto ad essa, coperto quasi per intero dall’oscurità, c’era quello che un tempo era un capannone nel quale suo padre, e prima di lui suo nonno, possedevano svariati animali. Nulla di esagerato; soltanto qualche bovino e un paio di galline. La “tradizione” della sua famiglia si interruppe con lui, che nella vita aveva preso tutt’altra strada. Da un po’ di tempo le sue riflessioni convergevano tutte in quella scelta, presa quando era ancora un giovanotto forte e pieno di vita. Ragionava su come avrebbe potuto fare per rendere il suo passaggio sulla terra meno doloroso e più equilibrato dal punto di vista umano. Pensieri inutili, dal momento che la sua vita aveva già da tempo preso la triste direzione verso la quale, tornando indietro, non avrebbe mai avuto il coraggio di incamminarsi.

Il panorama venne illuminato dal bagliore improvviso di un fulmine, che lo scosse e lo allontanò dai suoi infelici pensieri. Anche il pozzo, che si ergeva dal terreno a poche decine di metri dalla casa, venne investito dalla luce della saetta. La rapida illuminazione rivelò la figura di un uomo, rivolto verso il vecchio pozzo, il quale sembrava aver attirato la sua attenzione. Rubio rimase sorpreso alla vista di quella sagoma, che faceva fatica a distinguere, se non fosse per il bagliore regalato da brusche scariche di fulmini. L’uomo se ne stava lì, in piedi, noncurante del temporale che imperversava tutt’intorno. Rubio aprì la finestra e gli urlò qualcosa, ma non ricevendo alcuna risposta si precipitò per le scale e si avviò verso il misterioso uomo. Nel frattempo continuava a lanciargli vari avvertimenti, senza però riuscire a suscitare il suo interesse. Si avvicinò, spaventato dall’aura di mistero che avvolgeva la figura dell’estraneo. Eppure, Rubio sembrava esserne attratto, come se avesse qualche cosa di familiare. Forse era la corporatura, o il giacchetto scuro che indossava, identico a quello che portava lui in quel momento. Finché, finalmente, l’uomo si voltò, con una calma e una scioltezza da far spazientire nell’attesa di scoprirne il volto. Quando l’uomo ebbe dato a Rubio questa possibilità, quest’ultimo non riuscì a credere ai suoi occhi, tant’è che li spalancò, sbalordito, e le pupille sembravano vicine a saltare fuori dai bulbi esterrefatti. Erano la stessa persona! Due gocce d’acqua, fotocopiate alla perfezione: stessi occhi, stesso naso a punta e perfino stessa cicatrice sulla guancia sinistra. A Rubio mancò il coraggio di avviare una conversazione, anche perché in quel momento non riusciva a trovare le parole giuste da rivolgergli e nemmeno aveva avuto l’intenzione di mettersi alla loro ricerca. Per alcuni secondi, eterni ed interminabili, si fissarono. Nessuno dei due mosse un muscolo, attendendo uno la mossa dell’altro. A sciogliere il silenzio, con il gesto più imprevedibile di tutti, fu Rubio, ma non quello sconvolto e confuso, l’altro, quello accanto al pozzo. Egli, con la sua solita calma si rivoltò e con un balzo si tuffo nel vecchio pozzo, accompagnando la caduta con un suono bizzarro, un misto tra una risata isterica e un urlo frenetico. Rubio si affacciò immediatamente, tentando si scorgere qualcosa, ma le tenebre glielo impedivano. Non si rese conto neanche del fatto che a seguito della caduta dell’estraneo nessun tonfo era fuoriuscito dall’antico cilindro d’aria. Fenomeno strano, avrebbe detto, se solo se ne fosse accorto. Indietreggiò di qualche metro e si fermò a riflettere, tartassandosi con centinaia di domande. Con la sua mano destra, partendo dalla fronte, si attraversò il viso, bagnato, oltre che dalla pioggia incessante, anche da un sudore caldo e soffocante. Ripeté il processo all’infinito, mentre cercava di dare una spiegazione logica a ciò che aveva appena visto. L’indecisione principale, su cui aveva il bisogno di fare chiarezza per procedere in seguito con un ragionamento lineare, era racchiusa in un’unica grande domanda: aveva davvero visto un uomo con le sue stesse sembianze tuffarsi nel suo pozzo?

All’inizio giudicò il tutto come frutto della sua immaginazione, invogliata alla menzogna dai bicchieri di alcool mandati giù nel corso della giornata. Eppure, rispetto al suo abituale consumo di rum, quel giorno aveva anche fatto qualche eccezione; per esempio, aveva rifiutato il giro offerto da un suo caro amico, vecchio compagno di bevute all’affollatissima taverna che dava sulla piazza. Un evento che non capitava spesso, soprattutto negli ultimi periodi. Ciononostante, tra l’incredulità dei presenti, quel fresco pomeriggio di fine marzo rifiutò un dito del suo tanto amato rum.

Tuttavia, al netto di queste sue lucide considerazioni, l’assurdità di una scena simile restava ancora un mistero. I boati dei tuoni, intanto, continuavano a rimbombare nell’aria. Uno di questi fu accoppiato con una voce sibilante che giungeva chiara all’orecchio di Rubio. Egli sobbalzò non appena ebbe constatato la direzione dalla quale arrivava la voce sinistra, che invocava distintamente il suo nome. L’aveva associata all’uomo che aveva visto pochi minuti prima, facilitato dall’elementare abilità di riconoscere la propria voce.

Sull’orlo di una crisi isterica, dovuta alla follia della situazione in cui si trovava, scavalcò il muricciolo del pozzo fatto di vecchie pietre logore e cadenti. Sul muro al di sotto dei suoi piedi era presente una scala arrugginita, la quale dava la possibilità di scendere all’interno di quello che una volta era un umile ed efficiente serbatoio d’acqua. Seguendo il suono della sua stessa voce, iniziò a calarsi all’interno. Subito un fetore di marcio gli intorbidì le narici. Tradito dalla convinzione di star per poggiare un piede su un piolo della scala, lo posò invece nel vuoto e cadde rovinosamente con la schiena al suolo. Nel farlo si aggrappò d’impulso alla scala, che staccandosi dal muro franò su di lui. Gli sembrò di non aver accusato nessun tipo di dolore, nonostante la caduta di un paio di metri e il successivo schianto della scala di ferro sulla sua pancia. La voce che invocava il suo nome riecheggiava sempre più forte nelle sue orecchie. La seguì, nel buio più totale, consapevole di inoltrarsi in un luogo a lui sconosciuto. Conosceva un po’ la struttura dei pozzi, ma mai avrebbe pensato di inoltrarcisi, per di più di notte e seguendo una voce di un uomo identico a lui, il quale poco prima si ci era tuffato come se ci fosse stata talmente tanta acqua da permettergli di farsi un bagno.

In sostanza, gli inspiegabili avvenimenti di quella vicenda suonavano come una pazzia, un delirio costante nel quale era intrappolato, senza vie d’uscita. L’ultima gli era franata addosso.

Malgrado l’angoscia che provava in quei momenti e che accresceva di vigore ad ogni suo passo, si addentrò in una sorta di tunnel sotterraneo avvolto dalle tenebre. L’unico riferimento era il timbro cupo e sonante che giungeva da chissà quale arcano luogo.

Dopo aver camminato nell’oscurità per alcuni minuti, era ormai sicuro di trovarsi vicino alla fonte dei suoi malesseri. Mai azzardo si rivelò più corretto: dinanzi ai suoi occhi si ergeva una porta immensa, su cui erano impressi strane incisioni a prima vista indecifrabili. Prima che potesse soffermarcisi su, pose l’attenzione sulle due lanterne poste ai lati della porta, che con la loro luce fioca illuminavano l’ambiente. Erano sorrette da due statue d’oro, alte quanto lui. Si avvicinò a una di esse per scrutarla meglio: il satiro, proprio come l’uomo che stava inseguendo laggiù, aveva la sua faccia. Un’espressione mortificata tinse il viso di Rubio, e magicamente anche quello del satiro cambiò. Rubio gridò, e il satiro fece lo stesso. Lanciò uno sguardo all’altra statua, identica alla prima, e quindi a lui. Erano entrambe in qualche modo collegate alla sua espressività, riuscendo magnificamente a copiarne i tratti. Pensò di trovarsi in un sogno, o addirittura di essere morto, e di essere davanti le porte del luogo ultraterreno nel quale la sua vita lo aveva condotto.

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