Tutto ciò che non è camminare fino a Santiago
Perché l’aveva promesso, perché aveva delle domande poco chiare e ingarbugliate come le linee di uno scarabocchio, perché stava male, forse senza neanche un vero motivo, partì, con uno zaino di dieci chili sulle spalle e la disapprovazione di tutti quelli che rimanevano a terra mentre l’aereo si alzava. Arrivati a Lourdes erano già una famiglia, un mucchio di gente che non ha idea di cosa fare e che lo ammette, e allora si cerca una soluzione tutti insieme. Anche per dimostrare a se stessa che non era una fallita. All’inizio del cammino ne ebbe la prima conferma: lo era. Emicrania di prima mattina; lo zaino troppo pesante; la strada troppo in salita; il dolore all’inguine; la bocca secca per i medicinali; undici ore di camminata: gli altri erano arrivati a Roncisvalle ore prima. Il secondo giorno andò un pò meglio, lei e Ale si divisero e camminò senza fretta insieme a Laura, ma aveva perso ancora, perché era arrivata ultima, mentre tutti gli altri riuscivano ancora a muovere le gambe, avevano già fatto la doccia e rilassati preparavano la cena, anche per lei. Il terzo giorno, dopo qualche chilometro chiese alla sua amica di andare avanti, non sopportava più la sensazione di essere un peso. Così Ale, e tutti gli altri, arrivarono a Pamplona nel primo pomeriggio; lei arrivò sul far della sera, dopo aver fatto una piccola deviazione per visitare una chiesetta nella quale per la prima volta pianse, non per la gioia ma per la vita. La mattina seguente incontrò Olga, una ragazza russa che aveva passato la notte a ubriacarsi e non aveva idea di dove avesse dormito. Poi ripartì con Laura e iniziò a salire sul monte del Perdon. Era particolarmente veloce, quel giorno, si sentiva quasi invincibile. Raggiunse la vetta e iniziò la discesa verso Puente la Reina. Mentre Ale era con gli altri in piscina, lei lottava contro sassi traballanti e moscerini, poi si fermava a bere una coca cola con un vecchietto coreano, che ha fatto il cammino infinite volte a piedi nudi. Non sarebbe arrivata in tempo per la piscina e si godette il viaggio. In una zona di caccia sentì uno sparo, fu naturale, per lei, chiedersi se avrebbe voluto essere colpita, e fu quasi sorpresa nello scoprire che la risposta era no, voleva continuare il suo viaggio. Arrivò nell’ostello alle otto, accolta maleducatamente dalla combriccola di Ale, riuscì poi a parlare con lei e presero la decisione di dividersi: “Avremo tutto il tempo di essere amiche quando torneremo a casa, ci vediamo a Logrono”. Il giorno dopo partì tardi, di nuovo, ma sola. Le fu rivelato che era più forte da sola. Gli altri arrivarono dopo un paio d’ore, e lei non poteva più reggere il confronto. Anche quel giorno stava male. Incontrò Lorenzo e Laura sul sentiero, si fermò a dormire per poco in un posto all’ombra, e quando ripartì finalmente cadde. Pianse, ad alta voce perché era sola. Pianse perché stava fallendo. E decise di mollare. Si fermò nel paese successivo, c’erano 36 gradi e l’asfalto scottava, aveva percorso solo 8 chilometri. Passò la serata con Lorenzo, italiano, 40 anni. Pasta con il tonno e un pò di erba presa a Pamplona, e parlarono. “Who cares. Chi se ne frega se sono lenta, chi se ne frega. Non sono qui per espiare chissà quale peccato, non sono qui per fare una gara, ho sofferto abbastanza, non sono qui per punirmi.” “E perché hai passato tre giorni con Laura che è logorroica e insopportabile?” “Non è così male”, “ti sei accontentata piuttosto che stare sola, verrò con te fino a Logrono.” Pensò che no, non sarebbe andato con lei fino a Logrono, non si sarebbe accontentata un’altra volta, avrebbe camminato da sola, avrebbe fatto il suo cammino con il suo passo. Per inciso, il suo passo è riuscito a superare solo una vecchietta con la tendinite, e piuttosto che scrivere questo racconto, che poi parla di me, potrei anche scrivere la guida dei bar sul cammino di Santiago, come mi ha suggerito un signore, perché giuro ho fatto una tappa in ognuno. “Don’t go to churches, they don’t have cold drinks”. In realtà le chiese sono meravigliose e la benedizione del pellegrino magica: se esiste qualcosa, lì lo si può sentire. Comunque, con questa risoluzione, il giorno dopo percorsi ben undici chilometri, imbarazzante, ma “who cares”, giusto?. Mi fermai a Estella perché lì avevo conosciuto dei ragazzi simpatici e mentre ero in camera ecco comparire, oltre il letto a castello, uno zainone arancio, e dei capelli con qualche rasta: “Olga?” Era Olga. Olga che avevo lasciato dopo Pamplona a smaltire la sbornia tra le rovine di un castello. Olga che oggi è a San Pietroburgo, e sul polso ha tatuato il disegno che le ho inviato: un faro. Dopo pranzo io e Olga parlammo, io non ricordo le parole, ma posso forse spiegarvi cosa accadde. È come un gioco a incastro, quelli dei bambini in cui devi inserire le forme di legno nello spazio giusto. È come se io nel cuore avessi uno spazio a forma di cerchio e ciò che devo comunicare fosse un cerchio, e io allora prendo il mio cerchio di legno e lo passo a Olga, e lei lo può ricevere perché anche lei ha un cerchio al centro del petto, non un quadrato o un triangolo o un parallelogramma o un trapezio. Ci siamo scambiate tanti cerchi di legno, ed è stata la prima persona che ho incontrato con la mia stessa forma. Ricordo solo che abbiamo detto che ognuno ha il suo cammino: sulla strada per Santiago, e anche a casa, e che ognuno deve camminare al suo passo, e che va bene così e se non sei veloce “who cares?”. Il pomeriggio abbiamo parlato di “freedom”, libertà, e adesso c’è una ragazza a Brescia che si è tatuata la parola “libera” sul braccio. Libera da cosa, neanche questo lo ricordo più, so che lo ero, ed ero anche viva, piena di vita, tanto che ogni tanto mi traboccava dagli occhi anche dopo essere tornata, mentre andavo in macchina o ascoltavo una canzone, la vita mi traboccava dagli occhi. Il giorno dopo ci dividemmo, Olga aveva intenzione di fermarsi dopo pochi chilometri, io volevo raggiungere Los arcos. Verso sera, quando io ero già arrivata con il grande merito di essere riuscita a superare la vecchietta con la tendinite, Olga mi chiese dove fossi e mi disse che stava arrivando, stava per fare buio e quella pazza doveva camminare ancora per sei chilometri, perché aveva fatto una tappa troppo lunga alla fontana del vino. Ero così felice. Quasi quasi le scrivo un messaggio adesso. E arrivò l’ultimo giorno, e il mio piede faceva un male cane, ma volevo camminare almeno per un pò, e ad ogni paese volevo camminare ancora, tanto che iniziai a superare tutte le persone che incontravo e raggiunsi addirittura Olga in un paese bellissimo di cui non ricordo il nome. Avremmo voluto passare lì la notte, ma dovevo arrivare a Logrono per concludere il mio cammino. Così proseguimmo, e alla fine ci arrivai con le mie gambe. L’ultima sera la passai lì con Olga, parlammo tanto e camminammo tanto per la città. Tornate all’ostello ricordo di averle detto “sono venuta qui per trovare una ragione per vivere” e lei mi disse che non esiste, perché “la ragione è tutto quando sei felice e niente quando sei depresso, devi solo cercare di essere felice”. Sì, devi solo cercare di essere vivo. Poi mentre parli una tegola cade dal tetto a un metro da voi e pensi “cazzo potrei essere morto”, ci guardammo in silenzio: era stato detto tutto.
Il giorno dopo, prima della colazione, dicevo ad Ale che non mi spiaceva tornare a casa, ma non me lo sapevo spiegare. Quando arrivò e ci sedemmo al tavolo di un bar davanti a una chiesa maestosa, Olga mi disse “sento che quello che sei venuta a fare qui, l’hai fatto, e vorrei continuare a camminare con te, ma tu sei pronta per tornare a casa”, e lo ero.
La libertà è l’immagine di una ragazza che cammina sola e lenta su per una montagna, con i vestiti sporchi, i capelli aggrovigliati e le magliette appese ai bastoncini da trekking che spuntano dallo zainone verde ad asciugare; è una ragazza nelle stesse misere condizioni seduta su un treno che la sta riportando a casa, che guarda fuori dal finestrino e vede montagne simili a quelle su cui ha camminato e piange. Perché anche le sue lacrime adesso sono libere; perché per la prima volta ha sentito il sapore delle more al bordo dei sentieri prima di vedere le montagne da lontano e chiedersi come sia possibile andare fin lassù, raggiungerle per davvero; piange perché per la prima volta si sente viva, e ora che ha scoperto cos’è la vita, è pronta a combattere per averla, fino all’ultimo attimo.
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