UN ADDIO – 1995

Sono le cinque del pomeriggio quando Sofia entra nella mia stanza. È una calda domenica di metà gennaio, la mia ultima domenica qui a Merida. Domani sarò a Città del Messico, e poi in Italia. Non so che cosa dire quando si avvicina a me. Non so che cosa fare. Capisco che lei è nervosa, che l’addio non può essere da amici. Non lo siamo mai stati, in queste quattro settimane.

Mi mostra una fotografia: sta suonando il violino e gli occhi sono persi nel vuoto, forse a rincorrere l’incanto della musica.

“È per te” mi dice,” c’è una dedica dietro.”

La giro. -Te quiero para siempre- c’è scritto. Poi l’impronta delle sue labbra rosse.

Penso che domani tutto sarà già finito, ma non so come sarà.

“A che ora parte il tuo aereo?”

“Molto presto, Sofia, alle sei e mezzo di mattina. devo essere all’aeroporto prima delle cinque. Lascerò questo hotel verso le quattro. Spero ci sarà qualcuno sveglio…”

“Voglio venire a salutarti all’aeroporto.”

“È meglio di no, salutiamoci adesso. È oggi il giorno dell’addio.”

Ed ecco che il suo silenzio comincia a ferirmi. Anche lei non sa che cosa dire. Gira per la stanza, inquieta, senza guardarmi. Poi mi abbraccia.

“Sapevamo che sarebbe finita…” cerco di dire.

“Nessuno conosce la fine delle cose” mi risponde, “dopo che sono cominciate.”

“Niente comincia se noi non lo vogliamo.”

“Non è vero.”

Improvvisamente tutto mi sembra estraneo: la stanza, il leggero ronzio del condizionatore d’aria, il mio panama bianco sopra il televisore, la valigia aperta addosso all’armadio.

Per strada le coppiette staranno camminando verso la piazza principale, scambiandosi carezze e promesse; qualcuna si fermerà a comperare dello zucchero filato, o bibite fresche. La musica starà già riempiendo gli archi di gesso e mattoni del Municipio. Sarà per tutti una domenica come mille altre, perduta nella memoria leggera di una qualunque stagione della vita. Una domenica qualunque.

“Io vengo lo stesso all’aeroporto. Non potrei dormire questa notte.”

“E domani?” Ma capisco subito che è una domanda cattiva.

“È vero” mi risponde, “cosa accadrà domani?”

Vorrei essere già lontano, ora. Oppure vorrei che tutto dovesse ancora cominciare.

“Stenditi sul letto” mi dice improvvisamente. Sta sorridendo anche se ha gli occhi un poco lucidi.

Mi sfila pantaloni e slip. Tira fuori qualcosa dalla borsetta.

“Oggi voglio soltanto accarezzarti. Voglio che parti con il desiderio di me tenuto dentro, voglio che te lo porti via con te e che lo conservi fino a quando potrai.”

È un vasetto di Leocrema quello che tiene tra le mani.

“Ma come, quella è una crema italiana…”

“Non ci credo” mi dice, “comunque oggi è per te, amante mio.”

Prima si spalma la crema sulle mani, poi comincia ad accarezzarmi il sesso, spingendosi fino all’ombelico e poi giù, all’interno delle cosce.

“Mi stai eccitando, Sofia…”

“Lo so, ma devi resistere. Il tuo desiderio deve crescere fino a diventare dolore. La tua voglia deve gonfiarsi come una vela nella Corrente del Golfo, e riuscire a restare immobile. Non devi atterrare oggi, devi restare in volo, anche quando io sarò uscita da questa stanza. Me lo prometti?”

“Sì, te lo prometto. Porterò via con me tutto il desiderio che ho, sarà il ricordo più dolce e più doloroso, ma è giusto così.”

La crema è sparita dalle sue mani. Ne prende ancora. Continua ad accarezzarmi, senza guardarmi. Sta cantando sottovoce ‘Besame mucho’, la nostra canzone. Ha i capelli davanti al viso, forse sta piangendo, ma non voglio domandarglielo.

È un momento di magia che sembra non dover finire mai. Da una stanza vicina si sente arrivare un debole suono di musica, forse una radio o una televisione. Una canzone ritmata e spensierata, scritta per far ballare.

La sente anche lei, adesso. Sembra risvegliarsi da un lungo sogno, mi guarda, mi chiede se la accompagno fino alla macchina.

Così il pomeriggio in fretta finisce, quasi senza parole, solo l’inquieta danza delle sue mani su di me, il piacere trattenuto, il rituale non concluso… Forse la paura di dirsi cose troppo difficili da dimenticare, poi.

Mi viene in mente la canzone…

Baciami” le dico “come se fosse stanotte l’ultima volta.”

“Ma non è notte…”

“Ma è l’ultima volta…”

Pensa che forse domani sarò lontano, molto lontano da te.”

“Non tornerai più in Messico?”

“Non lo so. Forse sì.”

“Se tornerai ti aspetterò.”

In macchina si infila un paio di occhiali scuri, anche se il sole ormai è sparito. Dopo un paio di tentativi il motore si accende, la solita nuvola di fumo grigio. Abbassa il finestrino. Le stringo la mano.

Tutto sembra sul punto di finire e di non finire mai.

“Buena suerte, Sofia.”

“Buena suerte, Ernesto.”

La macchina parte. Spero di vederla girare alla prima traversa per ripassare da qui, invece prosegue diritta, finché scompare nella malinconia di questa sera.

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Discussioni

  1. ‘Lo nuestro todavía no empezó, por lo tanto no tiene fin’. Leggere il tuo racconto me lo ha fatto ricordare. Sono parole che forse ti vengono dette una volta sola. Bisogna afferrarle, quelle parole e non lasciarsele scappare. Le persone invece si. Si impara a lasciarle andare. Bravissimo Furio.

    1. Grazie Cristiana.. sei sempre molto gentile.. sono passati tanti anni ma il Messico mi è rimasto nel cuore.. con la sua musica, gli odori, il calore delle persone..

  2. Quando una storia non si comcretizza mai a causa della distanza è sempre un trauma, perché uno com il senno di poi pensa sempre … chissà se poteva essere la persona giusta … la parte romantica di me pensa che se c’è desiderio di far si che le cose durino si può fare anche abitando dall’altra parte del mondo, ma è facile dirlo a parole, i fatti sono altri.
    Ernesto e Sofia si salutano definitivamente, resta i chissà, però il ricordo non potrà mai portarlo via nessuno.

    ❣️