Un bravo fratello maggiore

Serie: Rimozione


“Conosci mica un certo Stefano Bessoni?” domandai quella sera a mio fratello, durante la cena.

Che è forse una parola un po’ impegnativa per descrivere il nostro modo di nutrirci: giravamo attorno al tavolo della cucina, come in una stramba danza mistica, infilando cose commestibili in mezzo a gigantesche fette di pane in cassetta, finché non eravamo sazi. Si trattava più che altro di un modo per trascorrere del tempo insieme.

Da quando mio padre era morto, tre anni prima, ero diventato un po’ il suo riferimento.

Una cosa che in parte era capace di lusingarmi, ma che soprattutto mi terrorizzava. Mia madre non mi aveva chiesto niente, già le pareva di avermi fatto un torto personale, quasi avesse organizzato lei l’incidente d’auto solo per farmi un dispetto, a pochi metri dalla discussione della mia tesi di specializzazione.

Fino a quel giorno Luca era stato più che altro una sagoma che intravedevo con la coda dell’occhio, mentre scivolava nella sua stanza subito dopo il mio arrivo, con un malinconico ciao, che avrebbe potuto essere rivolto a me come al tavolo in soggiorno, per quanto mi guardava negli occhi.

Un bel trionfo, che avesse accettato di cenare a casa mia due sere a settimana.

Non era mai stato un chiacchierone; ma persino io, che invece posso orgogliosamente definirmi tale, a sedici anni avevo periodi di mutismo rassegnato. La maggior parte delle volte, le nostre cenette si svolgevano quindi in un silenzio quasi perplesso, come fossimo sconcertati che il destino ci avesse assortiti così.

Luca era un appassionato di musica e di cinema. Da dopo l’incidente aveva sviluppato un talento quasi morboso per l’horror indipendente. Girava anche qualcosina, ogni tanto, con il cellulare. Non lo aiutava il fatto di essere così solitario. Avrebbe avuto bisogno di una buona crew attorno, di stimoli paralleli… A volte mi mostrava qualche lavoro, dopo aver completato il montaggio. Non erano niente male davvero, per la sua età; anche se avvertivo una certa morbosità, nella scelta dei soggetti, che rifletteva, può darsi, una sua personale maniera di reagire al lutto e alla perdita.

Aveva tredici anni, quando mio padre era morto. Il giorno del funerale, non volle venire in chiesa. Lo ritrovammo, io e mia madre, sdraiato sul divano. Mi domandò, con aria strafottente, se fosse andato tutto bene.

Non gli risposi neppure, concentrato su mia madre, che era scivolata oltre, con gli occhi rossi.

Non lo conoscevo, non realmente. Per questo non ero riuscito ad immaginare quanta sofferenza nascondesse quella sua reazione.

Era poco più che un bambino, dopotutto. Fino al giorno dell’incidente, doveva aver creduto che, per essere felice, bastasse volerlo.

Qualche tempo dopo, aveva cominciato a seguirmi dappertutto. Me lo trovavo fuori di casa, ma anche fuori dallo studio, e persino al supermercato, quando andavo a fare la spesa… Come facesse a conoscere i miei orari, era un vero mistero.

Mi sentivo terribilmente in colpa. Immaginavo l’atmosfera dentro casa. Ogni volta che passavo a trovare mia madre, c’erano in giro bottiglie di vino che non c’erano mai state prima, e che sembravano essere state nascoste in tutta fretta, con scarsa perizia…

Aspettavo che le passasse, non mi sentivo di fare altro. Mio padre mancava anche a me, che si credevano, tutti quanti?

Era stato l’asse intorno a cui aveva ruotato la mia vita di fanciullo, e poi di adolescente. Dalle liti con lui era emerso l’uomo che avevo scelto di essere, come una fenice dal suo rovo in cenere.

Era stato una presenza costante, costantemente irritante, forse, ma produttiva, dopotutto. Non riuscivo ad immaginare di averlo perso a tredici anni. Che ne sarebbe stato di me, in quel caso?

Prendermi cura di Luca fu quasi il naturale prolungamento di quelle mie riflessioni. Lui sembrava comprendere la mia difficoltà, e si sforzava, credo, di venirmi incontro.

Mi mostrava, quieto e riservato com’era, il suo piccolo universo, permettendomi di farne parte. Passava il tempo con i suoi film, i suoi libri, i suoi montaggi… Quando ne parlava, gli brillavano gli occhi.

Già prendevo in esame varie opzioni per il suo futuro. Lo studio cominciava ad ingranare, non ci sarebbero state difficoltà a sostenere economicamente le sue scelte formative…

Mi spiegò che Bessoni era un regista indipendente. “Era partito col botto, ma poi è un po’ calato… È parecchio che non esce con niente di nuovo. Però, in ‘Imago Mortis’ è riuscito a lavorare con Geraldine Chaplin.”

Deglutii un pezzo di panino troppo grosso, e quasi mi ci strozzai. Forse fraintendendo quella mia replica da cavernicolo, Luca rise, divertito.

“Nel cast c’è anche una sua… nipote? Boh, credo che lo fosse, ma con i Chaplin non si può mai sapere, sono così dannatamente tanti!”

Non gli dissi del panino, concedendogli volentieri quel tocco di arguzia. Era così disperatamente raro vederlo sorridere.

Dopo cena, tirò fuori dalla tasca dello zainetto un sacchetto di caramelle gommose alla frutta.

“Il dessert!” annunciò, con aria di trionfo.

“Le mie preferite! Ma come hai fatto? Chi sei, la CIA?”

“Sono solo un semplice egoreferenziato” commentò, con un blando sorriso festoso. “Sono anche le mie preferite.”

Risi di gusto, per quella battuta inattesa e riuscita.

Qualche settimana prima, durante il nostro rito privato, gli avevo parlato di un mio paziente, naturalmente senza fare nomi, per via del segreto professionale; e avevo dovuto spiegargli cosa s’intende per egoreferenziato, egoriferito, eccetera…

La sua reazione a quel diluvio di informazioni nuove e impreviste era stata bizzarramente coinvolgente.

Prima aveva affermato di essere praticamente sicuro che si trattasse di un suo professore dell’anno precedente. Niente che potessi dire o fare era riuscito a convincerlo del contrario.

Poi, subito, aveva dichiarato che gli piaceva, quella faccenda dell’egoreferenziato.

“La voglio anch’io” aveva concluso, con la serietà di un bambino che prepara la lista di Babbo Natale.

Ero scoppiato a ridere. “Ma guarda che mica te li scegli tu, i disagi, lombrico! Capitano e basta…”

Mi ero subito pentito di averlo detto. Luca aveva un’esperienza dolorosamente ampia di ‘cose che capitano e basta’. Non era il caso di ricordarglielo.

Ma lui mi aveva sorpreso, mettendomi una mano sul braccio, un gesto confidenziale che non gli apparteneva. Non ci toccavamo mai, se non per errore. Non avevamo mai avuto l’abitudine agli abbracci.

Non sono cose che si improvvisano. Occorre che il gesto sia stato inscritto nelle pagine dell’infanzia, per tornare al momento opportuno.

Mio padre: era lui, quello delle carezze a tradimento.

Da ragazzo, all’età che aveva ora Luca, mi scansavo, furioso. Come se, invece che un tentativo di accorciare le distanze tra di noi, rivelasse, al contrario, un suo maldestro desiderio di marcare il confine, di rendermi noto il fatto che non sarei mai stato un suo pari, che lui sarebbe stato sempre l’adulto che distribuiva, io il bimbo destinato a ricevere – cosa e quando lui avesse voluto…

Chissà quanto avrebbe gradito, Luca, di ricevere ciò che io avevo così sdegnosamente rifiutato.

“Non c’è bisogno che pensi a tutto quello che fai e che dici. Non sono mica uno dei tuoi matti…”

Quella doveva essere la serata dei sorrisi, perché me ne elargì subito un altro.

Di quelli splendenti, che si ricordano per sempre.

Più tardi, mentre masticavamo caramelle gommose ascoltando i miei vecchi cd, mi raccontò brevemente la trama di ‘Imago Mortis’.

Rimasi piuttosto sorpreso di scoprire che il personaggio di Lelù era quello della serial killer. Era una ragazza ambiziosa e piena di talento, che cedeva ad una specie di patto col diavolo del genere più classico.

Rimasi assorto per un po’, dopo che Luca ebbe smesso di parlare.

Poi, d’improvviso, mi prese un’ansia strana, di confidarmi con lui, su Aida, su sua figlia, su quello che stava succedendo in quella famiglia. Non era proprio deontologico, d’accordo; d’altro canto, aveva più o meno la stessa età di Lelù. Forse avrebbe potuto offrirmi un punto di vista alternativo.

Luca mi ascoltò senza batter ciglio. Alla fine, disse ciò che avrebbe detto qualunque ragazzo della sua età.

“Quella lì non ha capito un cazzo.”

Scoppiai a ridere, divertito non tanto dalla sua capacità di sintesi, ma dalla somiglianza delle conclusioni alle quali sembravamo essere giunti, pur partendo da due mondi tanto diversi.

Luca invece si era fatto improvvisamente serio, come se da qualche minuto seguisse uno di quei suoi percorsi mentali, nell’escludermi dai quali era maestro.

“No, dico sul serio, Davide. La madre pensa di avere a che fare con qualcosa, ci ha messo sopra nome e cognome… Invece, non ha capito niente.”

Serie: Rimozione


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Discussioni

  1. Bella questa entrata in scena del fratello. È tutto tremendamente ben descritto: non so come dire, ma il modo in cui vengono date le informazioni (mai meccanico e banale e anzi originale e vario), la maniera in cui hai presentato il rapporto fra questi due personaggi, gli eventi passati riportati con grande consapevolezza, tutto questo innalza la qualità della scrittura che sottolineo ancora una volta. Per non parlare della caratterizzazione di Luca e Davide, che emerge soprattutto attraverso i dialoghi, nel caso del primo. E a proposito, le righe conclusive di questo episodio non generano che curiosità allo stato puro 😀
    In questi miei giorni di raffreddore e febbre, è un piacere stare qui su Edizioni Open a leggere belle storie come questa.

  2. Magari rischio di ripetere i concetti ma il tuo modo di scrivere trasuda talento e passione, pulsa di professionalità, ed è bello immaginarti davanti al tuo computer mentre scrivi e non ti accontenti della prima stesura, ma vai avanti alla ricerca della versione perfetta, che per la fortuna di scrittori e lettori non esiste mai ma il cui tentativo di addivenire è sempre il locomotore che trascina a fare ancora meglio della volta precedente.

    1. grazie mille, e ripetiti pure!! XD i complimenti fanno bene all’anima, e nei tuoi si sente la verità… uno scrittore di storie non può desiderare di più. e quello che ti tiene vivo è che la storia sia viva per altri, oltre che per te che la scrivi e ci butti il cuore. grazie ancora!

    1. grazie federico. purtroppo c’è un problema con i l mio account, spesso non registra le cose come le mando io, ma fa un po’gli affari suoi… e i ragazzi dello staff (devo dire puntualissimi) devono sorreggere il caricamento. da qui le attese un po’ più lunghe del solito e le modificazioni in itinere. ne approfitto per segnalare ufficialmente che RIMOZIONE è fatto di 5 episodi, e che non caricherò altro fino alla conclusione, perciò tutto quello che leggete sarà RIMOZIONE ancora per qualche puntata XD

    2. sì, sono collegati. non fanno semplicemente capo alla stessa tematica, ma sono “abitati” dagli stessi personaggi, dal primo al quinto episodio. (spero che tu riesca a trovare questo messaggio, perchè non mi permette di rispondere sotto la tua domanda, non so perchè…)

  3. Intrigante, ben scritto. I personaggi stanno venendo fuori, come se a uscissero dalla carta per diventare tridimensionali. La descrizione del rapporto fra i due fratelli è molto bella.
    E ora la storia si sta facendo inquietante. Aspetto il prossimo episodio…