Un dolce risveglio
Serie: Non esistono bravi ragazzi
- Episodio 1: Un dolce risveglio
STAGIONE 1
Suoneria
Con la testa ancora appesantita dal sonno cercai alla cieca il telefono sul comodino.
“Che vuoi, Nab?” – domandai con voce rauca da prima mattina.
“Mirco passa fra poco” – riagganciò.
Mi stiracchiai, con un gesto deciso scostai le coperte e mi sedetti sul letto, domandandomi se ci fosse una valida ragione per alzarmi così presto.
Non la trovai, ma mi alzai lo stesso.
Presi il telefono che rimase sepolto sotto la schiena durante la notte, aprii Instagram e controllai la vita perfetta dei miei coetanei e le loro assurde feste del giovedì sera, nel mentre con un’abilità non indifferente mi misi le ciabatte e indossai le AirPods.
Con lo sguardo fisso sul telefono passai il corridoio per andare in cucina, tra uno scroll e l’altro aprii la credenza e presi una tazza, preparai la colazione con latte e cereali e aspettai solo che il citofono squillasse.
Dopo pochi minuti suonò.
Mi alzai dal tavolo e andai al citofono di fianco la porta d’entrata e nel mentre passai da Instagram a TikTok :
“Oh, chi è?” –
“Apri scemo, che devo fare presto” – riconobbi subito la voce, il mio cavallino preferito, Mirco, un bravo ragazzo che per arrotondare e permettersi qualche scarpa in più faceva consegne da un angolo di Milano all’altro per due spicci, ma oh finché non ti prendono tutto di guadagnato.
Aprii la porta e lo attesi in entrata, con lo sguardo rivolto verso le scale.
Lo vidi fare l’ultima rampa, agghingherato con tuta e felpa col cappuccio, immancabile lo zaino Glovo per le consegne.
“Bella bro” – gli diedi il cinque con un cenno di sorriso, mi faceva tenerezza.
“Com’è? Tutto bene?” –
“Sì bro grazie, posso entrare?” –
Annuii e lo feci pure io.
Non era affatto facile muoversi da una parte all’altra di una città grande come lo è Milano e soprattutto in bici come faceva lui, che per prendere la roba doveva andare in almeno tre posti diversi.
Mirco sapeva il fatto suo e lo rispettavo per questo, ma gli avrei sempre voluto dire che è sprecato a fare questo lavoro.
“Sono sei e cinquanta fratello” – misi via il telefono e corsi in camera cercando di non inciampare con le pantofole.
Mi inginocchiai e presi una delle tante scatole di scarpe che erano sotto il letto, dove magicamente e casualmente dentro una specifica c’erano un bel po’ di soldi, urlai:
“Tu poggia pure sul tavolo adesso arrivo, siediti sul divano se vuoi bro” – spacciatore si, ma le buone maniere le conosco.
Contai i soldi con un movimento rapido del pollice facendo scorrere le banconote tra le dita, chiusi la scatola di scarpe e la feci slittare sotto al letto.
Ritornai in salotto mettendo in ordine i soldi per tipologia di taglio nel mentre Mirco aveva poggiato sul tavolo le panne che aveva tirato fuori dallo zaino.
“Tieni. Conta” – gli passai i soldi.
Il mio occhio scivolò sullo zaino di Mirco, notai una quantità di fumo in grado di mandarlo dentro per anni, pensare che per una cosa del genere veniva pagato se andava bene duecento euro… se andava male solamente con erba.
Mi sedetti vicino a lui sul divano e presi dal piattino le cartine e la scatola dei filtri.
“Vuoi che faccio su? Ti fermi un po’?” –
“No Gian, scusa ma devo andare a lezione fra mezz’ora” – disse mentre contava i soldi con un movimento circolare dall’alto verso il basso come un vero professionista.
“Come vuoi” –
“Anzi dai, se fai su faccio proprio due tiri e vado” –
Staccai un pezzo di fumo, lo sgrindai , presi lo svuotino che mi aveva lasciato Ciorry la sera prima e cominciai a fare.
Accesi il joint e feci il primo tiro.
Ormai non che mi facesse chissà che effetto, ma comunque il fumo era bello denso, pesante al petto ma, contando che erano le otto di mattina, ero duro lo stesso.
La passai a Mirco, sbuffando al lato sinistro opposto a lui, per evitare di riempirgli di odore i vestiti, lui lo prese senza problemi e lo mise in bocca nel mentre si metteva nel giacchino con l’altra mano i soldi.
“Mi passi l’accendino?” – disse non aprendo troppo la bocca per evitare di far cadere la canna.
Fumò il primo tiro.
“Come te la passi qui, Gian? Vive ancora tua madre qui o cosa?” – mi ripassò la canna tossendo ma fece finta di nasconderlo respirando poco per sembrare più duro.
Sorrisi e continuai a fumare.
“No, mia madre si è trasferita col suo nuovo fidanzato, adesso vivo qui da solo” – annuì, mi guardò negli occhi e, dandomi un colpetto sulla gamba, mi disse:
“Allora invitami qualche volta stronzo, che ci guardiamo qualcosa o mangiamo tipo cinese” –
“Passami il posacenere bro, lì a destra” –
Stoppai il joint sul posacenere, mi alzai, lo accompagnai alla porta poi gli aprii dal citofono il cancello del palazzo. “Ci vediamo in giro bro, bella” – gli diedi il cinque e rientrai in casa.
Era iniziata la giornata da meno di un’ora ed ero già rincoglionito.
Presi i pacchi di fumo sottovuoto e li misi dentro il frigorifero, presi inoltre il telefono dal tavolo della cucina e ritornai sul divano riprendendo la canna e l’accendino, cercando un modo per passare il tempo.
La gente che comprava da me si svegliava più tardi o semplicemente stava lavorando; le classiche cose da ragazzo insomma.
Non sono mai stato fiero del mio lavoro ma mi permette di poter vivere da nove anni ormai, stare tranquillo e fare soldi da casa, senza fottere nessuno come quei cripto guru o quei venditori di corsi, chiamatemi scemo.
Non sono mai stato ricco, a dir la verità neanche lontanamente benestante, mio padre abbandonò me e mia madre per inseguire il suo sogno di aprire un ristorante quando avevo soltanto sei anni, mia madre invece era una tossica, i pochi soldi che c’erano non finivano mai per aiutare me.
Mia madre non abita più con me da anni, non la sento da qualche mese ora che ci penso.
Finii la canna e la spensi definitivamente sul posacenere, andai in bagno a lavarmi il viso e i denti.
Guardandomi allo specchio decisi di andare a farmi un giro.
Tanto non che avessi chissà cosa da fare e rimanere a pensare a casa da solo non era un’opzione.
Mi vestii con Air force bianche, tuta blu, felpa di una qualche band ignota che trovai al mercatino e cappellino polo, presi solo due sigarette industriali dal comodino (così da limitare il mio fumare durante la mia uscita), il portafoglio e uscii di casa.
Abito a Quarto Oggiaro, Milano, precisamente sotto casa mia si trova Piazza Capuana per i carabinieri all’ascolto, e nonostante tutto amo il mio quartiere, se sai come comportarti nessuno ti rompe i coglioni, o se te li rompono basta sapere come reagire e non avrai più problemi dopo.
Uscii dal palazzo, arrivato al piazzale mi accesi una sigaretta e cominciai a chiamare un po’ di amici per chiedere che stessero facendo.
Chiamai Lorenzo, Ciorry, Fil, Breso… niente.
Provai con Mimmo.
“Mimmo, stai lavorando?” –
“Oh Gianma, no vieni pure apriamo alle nove sono in negozio” – Mimmo, barbiere di zona, lo conosco dalle superiori è un ragazzo che si è messo in proprio grazie ad un amico di famiglia, un vero amico che vuole solo il meglio per me ma che non condivideva per nulla il mio stile di vita, mi trovò ben tre lavori per aiutarmi a mollare la strada ma ogni volta mando sempre tutto a puttane.
Nonostante tutto mi rimane vicino come un parente.
Credo che le persone che abbiano un forte legame per forza presentino delle diversità, non mi sono mai trovato bene con persone troppo simili a me, giudico i loro comportamenti continuamente, mi danno quasi fastidio, ma criticando loro noto di star criticando me stesso e questa roba mi fotte il cervello.
Arrivai davanti al negozio e finii la sigaretta, la gettai in strada ed entrai.
Serie: Non esistono bravi ragazzi
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