Un dolce sorriso

Il colpo arrivò dritto al cervello. Entrò come nel burro facendosi strada tra tessuti molli e cellule grigie.

Nicola aprì gli occhi, il sole di luglio lo accecò, lasciandolo leggermente stordito. Quando iniziò a connettere le ultime ore scorsero velocemente nella sua mente sagomandogli un piacevole sorriso sulle labbra. La mattina si era svegliato presto, doccia, due fette biscottate con la marmellata, un caffè, una spazzolata ai denti e giù per le scale come un fulmine, dritto all’università per sostenere il suo ultimo esame. La voce del professore che pronunciava la parola ‘trenta’ gli risuonava ancora nelle orecchie quando decise di alzarsi dal prato dove si era appisolato. Raccolse lo zaino e si diresse a piedi verso la casa dei nonni dove, come ogni lunedì, avrebbe dovuto pranzare. Il cancello che dava sul giardino era aperto, tanto Molly, pigra e grassa com’era non sarebbe mai riuscita a scappare. Nicola entrò, accarezzo la docile cagnetta e vide il nonno intento a lavorare in giardino. Piccolo e moro, con ancora tutti i capelli di un nero quasi imbarazzante per chiunque lo guardasse. Aveva due baffi fini, curatissimi, di cui andava fiero e quell’incedere rigido dovuto all’artrite, che la guerra e il lavoro da emigrato meridionale gli aveva lasciato addosso come un marchio.

«Nonno» urlò Nicola correndogli incontro «Nonno, ho finito sti minchia di esami.»

Il vecchio si girò con un sorriso che Nicola non ricordava così bello, aprì le braccia per accoglierlo «E bravo il mio nipotuzzo che diventerà ingegnere» e mentre finiva di dirlo i due si strinsero in un lungo abbraccio.

«Allora cosa gli hai portato via a sti professoroni» gli chiese orgoglioso.

«Un bel trenta nonno, un bel trenta» rispose Nicola aprendo lo zainetto per fargli vedere il libretto.

«Dai capellone, corri dentro a far piangere la nonna, è tutta la mattina che gira nervosa per casa. Sarà sicuramente in cucina a rigirarti il risotto. Finisco qui e poi arrivo anch’io, dobbiamo festeggiare con una bottiglia di quelle buone».

Nicola si diresse verso la porta di ingresso. Un lungo corridoio spoglio e scuro, tipico delle case di campagna, lo avrebbe portato dritto alla cucina. Entrò in silenzio cercando di fare più piano possibile, attratto e guidato dal profumo del soffritto di porri. Socchiuse lentamente la porta e la vide lì di spalle, intenta a raccogliere il brodo con il mestolo. Allungò lo sguardo sull’altro fuoco, dove già sapeva, friggevano le patate. La bistecchiera era pronta con il sale grosso, in attesa del nonno, che ci avrebbe steso sopra due enormi pezzi di carne.

La guardò immaginando come doveva essere stata bella quand’era giovane, con i capelli neri e lunghi e quella pelle morbida e liscia che ancora le caratterizzava il viso. Si avvicinò in silenzio e quando le fu dietro allungò il viso alla sua destra e le schiocchiò un bacio.

«Ommariasantissima» urlò la nonna lasciando scappare il mestolo nella pentola e girandosi a guardare Nicola.

«Desgrasià che no te si altro, ti te voi farme morir de un colpo.»

Lo spavento si trasformò in un sorriso, lo abbracciò e gli stampò due baci enormi sulle guance che gli lasciarono due labbra rosse di rossetto come ogni volta.

«No sta dirme gnente, mi te conosso, se vede xà che te xe ‘ndà tuto ben. Te ghe i oci verdi che i brila de feisità. Dai asagiame sto riso che cussì me regolo de sae.»

«Sto risotto è sempre più buono» disse Nicola «Mancano due minuti e di sale è perfetto.»

Nicola si sedette a tavola mentre suo nonno entrava dalle porta e si dirigeva anche lui verso i fornelli. Il pranzo fu ottimo e abbondante. La bottiglia di vino si svuotò rapidamente durante le chiacchere allegre e gli sguardi orgogliosi dei due anziani, che, quando Nicola salutò, rimasero a braccetto sul cancello con gli occhi lucidi guardandolo andare via. Con ancora quell’immagine nella mente, Nicola, si ritrovò, davanti alla porta dell’appartamento di Lara, il dito che già schiacciava il campanello. A quell’ora, lo sapeva bene, era a casa da sola, i suoi genitori, come quelli di Nicola, lavoravano entrambi fino a tarda sera. Appena la porta si aprì, un sorriso lo avvolse e quel piccolo concentrato di energia gli saltò in braccio abbracciandolo.

«Amore! Hai finito, vacanza!» urlava e lo baciava su tutta la faccia. Nicola non ebbe nemmeno il tempo di dire niente, lei, gli prese la mano e lo trascinò dentro casa tirandolo per un braccio.

«Regalo, regalo, regalo, regalo» sussurrava come una matta mentre lo strattonava tirandolo verso la sua camera.

«Aspetta ed entra solo quando ti chiamo» disse con sguardo malizioso. Nicola rimase li senza riuscire a dire nulla, imbambolato davanti alla porta ancora chiusa.

Quando udì il suo nome entrò e si ritrovò dentro la camera arredata come quella di una qualsiasi ragazzina di 16 anni. Poster alle pareti di cantanti e modelli, la scrivania piena di libri e trucchi mescolati tra loro e il letto con la trapunta rosa che adesso scompariva sotto il suo magnifico corpo. Lo aspettava così, nuda, stesa sul fianco sinistro mentre si accarezzava i piccoli seni con la mano destra.

«Ti piace il regalo amore mio?» gli disse.

«Sì» balbettò Nicola avvicinandosi.

«Vieni più vicino che ti stiamo aspettando» disse Lara sedendosi sul bordo del letto divaricando leggermente le gambe per fargli vedere il sesso.

«Sei sicura, amore, di volerlo fare?» disse lui, cercando di non far trasparire il terrore della prima volta «Per me possiamo aspettare ancora un po’».

«Non fare lo stupido Nico, vieni qui e stai tranquillo, penso io a tutto» lo prese per mano e lo avvicinò a lei. Dopo avergli sbottonato i pantaloni e avergli abbassato gli slip iniziò ad accarezzargli il membro che iniziava a diventare duro. Quando glielo prese in bocca, dolcemente, Nicola emise un leggero sospiro. Il piacere iniziò a invaderlo.

«Aspetta amore, non voglio venire subito» le disse allontanandole la bocca da lui. La prese per le spalle, la spinse lentamente sul letto e le si stese sopra. La baciò ripetutamente mentre Lara lo aiutò ad entrare dentro di lei. Fecero l’amore dolcemente, baciandosi e sussurrandosi il loro amore finché l’orgasmo esplose violento lasciandolo senza forze nel suo caldo abbraccio. Lei gli diede un altro bacio, una carezza e gli sussurrò «Ti amerò per sempre, amore mio».

Nicola chiuse gli occhi e si lasciò scivolare nel sonno con un sorriso sulle labbra.

La mamma di Nicola, come ogni mattina, aprì la porta del piccolo appartamento, la scusa era quella di fare le pulizie, ma in realtà cercava di controllare quel suo figlio disgraziato che la droga aveva ormai trasformato in uno zombi. La morte improvvisa degli amatissimi nonni, la fine della sua storia con Lara, l’abbandono dell’università quando mancava solo un esame, uniti al suo carattere fragile, l’avevano portato all’autodistruzione. Quando entrò non si aspettava di trovarlo a casa. Invece se lo trovò lì davanti, steso in maniera scomposta sul divano, la siringa ancora infilata sulla vena del collo e un dolce sorriso sulle labbra.

Avete messo Mi Piace8 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Niente, non ti riesce proprio di essere banale! Anche in questo normale (purtroppo) chiaro/scuro sai dosare le parole, vincere l’emozione e portarci, colpiti e arricchiti, al finale. 👏👏👏👏

  2. L’incipit ti colpisce subito. è confuso ma è fatto apposta per farti delle domande e continuare la lettura. Lo trovo ben scritto, piuttosto chiaro. La parte centrale l’ho sentita molto debole perché, anche se alla fine si capisce il motivo di tante informazioni di vita quotidiana, è una parte in cui non ci sono contrasti, non ci sono particolarità in questa famiglia; sembra una famiglia più alla mulino bianco che una vera famiglia. La parte che colpisce è la fine da cui si intuisce l’intento del racconto. Ma era questa la parte che avrei preferito venisse approfondita perché il tutto sembra inaspettato, ma sarebbe stato meglio se ci fossero stati dei contrasti fin dall’inizio e la fine riuscisse a far collegare tutti i puntini con poche frasi: il carattere fragile non si nota più di tanto nella parte centrale, sembra un ragazzo come tanti e non si nota alcuna propensione alle droghe o un motivo valido per caderci. L’ho percepito come un colpo di scena buttato lì e poco giustificato.
    Per la miseria, ognuno reagisce a modo suo ma, considerando che ci hai presentato un ragazzo che sembra normale, gli eventi che hanno causato il crollo non sono eventi così traumatici da giustificare una caduta simile; sono eventi comuni a ogni vita di ogni essere umano che dopo qualche mese si superano. (capisco che la morale voleva essere che chiunque può caderci, anche una persona che sembra normale, ma la caduta dovrebbe avere delle cause)
    Per il resto ti faccio i complimenti lo stesso perché l’ho letto abbastanza volentieri.

    1. Grazie Alisea per il tuo commento e le tue considerazioni.
      Mi sono iscritto a questo sito proprio per confrontarmi con scrittori e persone con la mia stessa passione, per ricevere critiche, consigli e anche complimenti quando li merito. Quindi apprezzo molto il tuo punto di vista.
      In realtà il piano di lettura del racconto è leggermente diverso. Il racconto è tutto nelle prime e ultime righe, il resto non è la vita reale di un ragazzo, ma un flash da eroina, un attimo di felicità prima dell’overdose! Non c’era nessun intento di approfondire la sua vita, ne di dare specifiche sui suoi problemi e tantomeno giudizi morali…. Il racconto nel mio intento era solo descrivere quello sparo in vena! Come detto in qualche precedente commento la parte centrale è un omaggio ai miei nonni materni e alla vita in realtà normale di amici che purtroppo per noia, ricerca di evasione e per fragilità varie hanno deciso di restare irrimediabilmente in quegli anni. I vari commenti e il tuo mi dicono che ci sono riuscito solo in parte, ma va bene così, mi serve proprio questo per migliorare. Grazie ancora del commento e spero di riceverne altri!

  3. Ciao Piergiorgio! Mi ero perso il tuo racconto! Più che altro mi son perso io stesso e mi ci è voluto un po’ prima di assstarmi e ricominciare a leggere i vostri racconti su EO!
    Bello. Infinitamente dolce e tremendamente amaro. Una specie di cioccolatino buonissimo ripieno di Unicum o di Petrus, senza ciliegia candita. Mentre leggi però lo sai che arriverà quel saporaccio terribile, è che vuoi conoscere il come!
    Capisco Nicola, ma anche per questo motivo una palmata di rimprovero sulla schiena gliela darei comunque.
    Molto intenso e vivo. Bello! Adesso però vado a prendermi un goccio di Sambuca che il Petrus mi lascia la bocca un po’ storta.

  4. Ciao Piergiorgio, ho letto il tuo racconto in uno dei momenti della giornata che preferisco, seduto su una sedia di plastica nel piazzale interno dell’azienda per la quale lavoro, il lavoro che ha salvato la mia vita cambiandola per il meglio, sorseggiando il primo (va bene, sono sincero, il secondo) caffè della giornata, prima di entrare in ufficio.
    È un momento del giorno che mi piace dedicare ad obiettivi mirati, sui quali nutro delle aspettative, perché ogni momento del giorno è diverso e quel momento del giorno per me ha un sapore particolare, il gusto dell’attesa per qualcosa che so non mi peserà fare, ed il tuo racconto ha confermato in pieno la fiducia che nutrivo in lui, rendendo quel momento ancora più pieno.
    Io do valore a ciò che leggo in base all’alchimia che scaturisce dalle singole parole; quelle stesse parole che scritte da qualcuno, messe in un certo modo, mi fanno venire voglia di scorrerle il più velocemente possibile o di lasciarle lì dove sono, e che scritte da altri, messe in un altro modo, come sai fare tu, mi fanno venire voglia di soffermarmi, di rileggerle, di frugare nei cassetti che aprono nella mia testa per andare a curiosare su che cosa sia quella roba là nell’angolo, che non ricordavo di avere lasciato lì.
    Grazie per questa tua condivisione e per l’arricchimento che ha portato.

    1. Ciao Roberto, mi lasci senpre senza parole, sia quando ti leggo che quando mi commenti! A dire la verità un commento del genere mi crea anche un po’ di sana ansia da prestazione, perchè non so se e quando sarò ancora all’altezza di non rovinare un così bel momento della tua giornata! Grazie molte per la fiducia!

  5. Si sente la tensione fin dall’inizio, a mio parere. L’uso frequente del condizionale mette ansia e fa intuire che qualcosa non va. ‘…dove, come ogni lunedì, avrebbe dovuto pranzare’. E poi pranza? Mah, mi sono detta, che strano uso dei verbi. Invece poi mi hai stupita. A parte la tristezza dell’epilogo, mi è proprio piaciuta l’idea del colpo di coda, senza tanti fronzoli né carezze. Credo che ti sia riuscito veramente bene.

    1. Grazie Cristiana! Mi fa piacere che te ne sia accorta! Per tutto il racconto ho provato a giocare con i verbi e la ricorrenza di alcune parole (sorriso, baci, abbracci) proprio per tenere alta l’attenzione da una parte e sviare il lettore dalle prime due righe dall’altra, in modo che il finale fosse dritto come un proiettile e solo li tornassero in mente! Non ho mai capito se ci ero riuscito davvero, ma le tue parole mi hanno in qualche modo rassicurato! Grazie!

  6. Mi aspettavo un finale con un colpo di pistola per suicidio o rapina, invece mi hai colto di sorpresa con la storia della droga. Racconto, triste, molto ben riuscito. Oltretutto è una storia di quelle “nelle mie corde”. Ho incontrato un paio di refusi nel testo, ma niente di grave. Bravo.

  7. Leggendo si ha quasi l’impressione si tratti di un racconto come tanti, di una storia come tante, di un ragazzo come tanti.
    Ma, invece, non c’è proprio nulla di tutto ciò. E il paragrafo finale, destinato solo a chi ha reale volontà di leggerlo, racchiude tutto il senso della storia, con una spiegazione durissima, amara e terribilmente triste.
    Bravo, davvero.

  8. La chiusura a cerchio fra la prima e l’ultima frase del racconto dà senso a tutto e – nel contempo – priva del senso umano tutta storia. Una storia orribile raccontata benissimo, con tanta tenerezza e tanta partecipazione, anche e soprattutto di chi legge. Quel colpo dritto al cervello, partito dalla vena del collo e fattosi strada attraverso la barriera emato-encefalica, che ha allargato d’improvviso la percezione del ragazzo ad un’altro piano esistenziale, quello in cui le cose sono andate diversamente, per poi chiudergliela per sempre e del tutto. Bello, molto bello.

  9. lo so che non ha senso chiedersi il motivo per cui un racconto finisce in un certo modo: eppure, in questo caso mi sono posta la domanda. Non ho trovato una risposta valida e certo non pretendo che me la dia tu. Se ritieni che la domanda in se stessa sia priva di senso, dimmelo pure, e stai pur sicuro che non me ne sentirò offesa.
    La scena nella stanza di Lara mi ha ricordato una scena simile di “An history of violence” di Cronenberg.

    1. Ciao Francesca, qui il discorso si fa un po’ lungo. Prima di tutto questo è il racconto a cui sono più affezionato, perchè è il primo che ho scritto in assoluto più di 10 anni fa. La differenza con gli altri due penso sia evidente, soprattutto in riferimento alla scrittura. Ho deciso di pubblicarlo perchè è uno dei pochi racconti che ho scritto in terza persona, ‘tecnica’ che ancora faccio fatica a padroneggiare, che quindi si discosta dagli altri. Considera che poi non ho scritto più per i 10 anni successivi, fino a pochi mesi fa.
      Dato il preambolo arrivo alla tua domanda che ritengo più che lecita. Il piano di lettura è duplice e sempre personale. Da un lato un omaggio ai miei nonni materni e dall’altro un omaggio ai troppi amici/coetanei fragili che ho perso a causa dell’eroina tra gli anni 80 e 90. Vivo in una città del nord, tendenzialmente ricca, ma in un quartiere ancora difficile che in quegli anni è stato falcidiato dalla droga che è stata una costante non eliminabile della mia vita di adolescente.
      Spero di ave risposto alla tua domanda e spero che il racconto ti sia piaciuto! Grazie sempre della presenza!

      1. Dimenticavo, il riferimento a Cronemberg mi fa molto piacere perchè amo molti dei sui film, il riferimento alla scena è casuale e non ci avevo mai fatto caso, ma se te l’ha ricordata vuol dire che qualcosina di buono sono riuscito a farlo 🙂 . Grazie!

  10. Per me invece si tratta della prima volta ma ne seguiranno sicuramente altre. La compostezza della tua narrazione, a fronte di quello che racconti, è davvero coinvolgente, ti fa sentire partecipe del dramma di un tuo vicino di casa.

  11. Non ti dico che mi aspettavo il finale perché non è vero. È arrivato a tradimento, come un colpo dritto al cervello, appunto. Ma, sulle basi di quello che ho letto di te finora, mi aspettavo qualcosa degno della tua scrittura. E aspettavo bene. Hai superato ogni aspettativa. Complimenti. Davvero.