Un incontro 

Il ragazzo entrò dalla porta del retro e incontrò il collega a cui avrebbe dato il cambio quella sera.

“Ehi, tutto ok? Com’è andata oggi?” domandò il ragazzo.

“Niente di che come sempre, poca gente. Questa sera mi sembra più morta di ieri”.

“Bene, bene, allora ci vediamo in giro. Buon riposo”.

“Si, ci vediamo in giro, buon lavoro”.

Uno dei due ragazzi uscì dal retro del bar, mentre l’altro rispose a un messaggio e poi andò dietro al bancone. Era una delle solite serate della settimana; noiose e vuote. Ormai la zona dove lavorava il ragazzo era deserta senza giovani, ogni tanto entrava qualche coppia o un camionista per bere qualcosa di sfuggita. Ormai i giovani erano andati tutti via sia dalla città sia paese e il ragazzo non vedeva l’ora che toccasse anche a lui, peccato che certe complicazioni gli impedivano di andarsene. Andrew, il ragazzo in questione, era uno studente di ingegneria al terzo anno, con qualche esame indietro e pochi soldi per pagarsi gli studi e poco tempo da dedicare allo studio. Durante il giorno andava a lezione e badava anche alla sua sorellina mentre la madre era a lavoro; il resto del tempo lo passava a riposarsi e poi a lavorare. Il suo sogno non era tanto quello di diventare un ingegnere, ma di trovare delle possibilità migliori per lui, la sua sorellina e sua madre all’estero. Mancava meno di un mese e il suo contratto sarebbe finito, per poi andare a lavorare come muratore per suo zio, dove avrebbe guadagnato di più.

“Assurdo come io abbia fatto a resistere sei mesi in questo posto” disse tra sé e sé.

Ad un certo punto la porta del bar si aprì, e un signore alto con le spalle larghe e con un cappotto nero bagnato, entrò. Sì avvicinò al ragazzo e con tono educato gli chiese: “Un americano, grazie”.

“Arriva subito signore”.

Il ragazzo nella sua testa pensò che quel signore gli avrebbe fatto un po’ di compagnia quella sera. Non pensava fosse di passaggio e in oltre notò in lui un’aria abbattuta e delusa. Finito di preparare il drink glielo servì per poi mettersi a pulire il bancone, tanto per scorrere il tempo. Il signore sorseggiò il drink un paio di volte e iniziò ad osservare il giovane per chiedergli:

“Ti stai annoiando, vero?”.

“Bhe… non c’è molto da fare qui la sera”.

“I giovani come te dovrebbero vivere la notte e non passarla qui a servire i grandi. Perché questo lavoro?” domandò il signore.

“Vede, non c’erano molte offerte in città e poi mia madre conosce il proprietario del bar, quindi mi sono accontentato”.

“Studi?”.

“Sì!”.

“Cosa? Se posso chiedere. Ho voglia di fare qualche chiacchera”.

“Studio ingegneria e sono al terzo anno. Avrei dovuto finire prima, ma sono rimasto indietro di qualche esame”.

“Bello, molto bello… ma, soprattutto interessante. Mio cugino ha studiato ingegneria meccanica per poi andare a lavorare all’estero per un’azienda. Peccato, che qualche anno fa ci ha lasciato per un cancro ai polmoni. Quel dannato! Non voleva proprio smettere di fumare”.

“Mi dispiace molto per suo cugino, anche mi madre fuma e le ripeto ogni giorno di smettere, ma, non sembra che non abbia la minima intenzione di farlo. Lo trovo insensato distruggersi la vita in questo modo.”

“Lo penso anche io, ma di qualcosa bisogna pur morire. Non sono uno psicologo, ma, penso che in qualche strano modo, la mente ci induca ad autosabotarci”.

Il ragazzo rimase muto, non provò neanche a pensare a come rispondere. Pensava che il signore, in parte, potesse aver ragione, ma, d’altro canto, pensava che non bisognasse lasciarsi sopraffare da ciò che può farci del male.

“Lei, invece, che lavoro fa?” domandò il ragazzo.

“Faccio il consulente di viaggi” rispose il signore.

“Bello!”.

“Ho provato a frequentare l’università per un anno come te, ma, non faceva per me e ho abbandonato gli studi per viaggiare in giro per il mondo. Un’esperienza fantastica che consiglio a tutti i giocane ora che ne avete il tempo”.

“Quindi, lei è riuscito a trasformare qualcosa che lo appassionasse in un lavoro?”.

“Proprio così!”.

I due rimassero in silenzio fino a quando il signore non finì il primo drink e poi ne chiese subito un altro. Mentre il ragazzo stava preparando l’americano, il signore disse: “Il tuo sguardo mi ricorda tantissimo quello del mio migliore amico.”

Quella frase risuonò nella testa del ragazzo, facendogli percepire che quella semplice conversazione si stava per trasformare in qualcosa di più serio.

“Scusi se glielo chiedo, ma non vorrei essere indiscreto e insensibile: per caso il suo amico è morto?”.

“No, non è morto!”.

“Avete avuto un litigio o qualche fraintendimento?”.

“Un grande litigio, ragazzo mio! Se devo essere onesto, in ventisette anni di conoscenza non abbiamo mai litigato, ma basta qualche ragazza e un rifiuto da parte mia per mettere fine a un’amicizia” disse il signore trattenendosi per non battere con il pugno sul bancone. “Non riesco a concepire, ancora, come abbia potuto andarsene così, dimenticando tutto ciò che abbiamo passato insieme e buttarlo via con tale semplicità. Ci sono sempre stato per lui, nei momenti più bui della sua vita. Anche quando la sua ragazza, ai tempi dell’università, l’aveva tradito con il rettore. In quel momento ci sono stato. Andavo da lui dopo lavoro, mi facevo mezz’ora di macchina per stargli accanto e tenerlo distratto, lo portavo fuori a spese mie per tenergli la mente occupata e non gli ho mai chiesto niente in cambio. Ci sono stato anche quando voleva un prestito per finanziare una sua idea che si scoprì essere una bugia. Li aveva spesi nel gioco d’azzardo e  nell”alcool. E alla fine come sono stato ripagato? Con ingiurie da parte sua e dalla sua amata fidanzata conosciuta su internet. Ma, io mi domando dal profondo del cuore: è normale mettere fine a qualcosa che si è creato sull’asfalto del quartiere dove si è cresciuti per una donna?”.

Il signore si rimise il cappotto addosso e diede un altro sorso al drink. In tutto questo il giovane era immobile con aria dispiaciuta e seria. Non sapeva cosa dire, ma sapeva che l’unica cosa da fare in quei casi era ascoltare. E’ difficile che un ragazzo possa dare dei consigli di vita o parole di conforto ad un uomo educato dall’esperienza di vita.

“Neanche un grazie ho ricevuto da lui. Penso che le persone debbano ricordarsi da dove vengono per rimanere con i piedi per terra e ricordare chi c’è sempre stato per loro. Io sono consapevole del fatto che lei lo lascerà. Sono sicuro che per lei sia una cosa temporanea e che non appena troverà qualcuno di meglio non ci metterà tanto a lasciarlo. Certe persone le capisci dallo sguardo. L’unico colpevole sono io. Sì, è colpa mia! Sono sempre stato ingenuo e di buon cuore, cioè stupido, non sono mai stato aiutato da nessuno e ho sempre voluto farlo con gli altri, perché avrei voluto che qualcuno lo facesse con me. Sono stato troppo stupido ad aver dato ascolto al cuore e ai valori che ho cercato di preservare per una vita. Tutto questo per cosa? Per essere calpestato, quando in realtà potevo farlo io, ma non l’ho fatto” si fermò con quelle ultime parole il signore. Si alzò dallo sgabello e portò il bicchiere, con l’ultimo sorso, alla bocca e se lo bevve tutto d’un fiato.

“Tieni giovane e grazie per avermi ascoltato, certe volte a qualcuno basta questo” disse il signore.

Il signore si allontanò, lasciando una banconota da cento euro per il ragazzo e i soldi per il drink, per poi uscire dal locale, lasciando la porta chiudersi piano piano, facendo entrare l’aria fredda della notte che finì per toccare il viso del giovane.

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