Un nuovo padrone

Serie: La storia di Maddalena


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Maddalena ottiene di prostituirsi in casa

Pensavo di aver visto tutto. Pensavo che il Lupo fosse il peggio. Ma quando pensi di essere arrivata in fondo, scopri che c’è sempre un altro livello di inferno che ti aspetta. E io ci sono scesa ancora una volta.

Una mattina mi sono svegliata e il Lupo non c’era più. Ammazzato. Lo avevano trovato in un vicolo, con una pallottola in testa. Nessuno sapeva chi fosse stato, o forse tutti lo sapevano e nessuno voleva parlarne.

Le sue donne, me compresa, erano state usate come merce di scambio. Un affare. Un passaggio di proprietà. Nessuna di noi era mai stata più che un numero, un corpo in vendita. E ora appartenevamo a qualcun altro.

Il nuovo protettore. Il nuovo protettore era un pugliese. Un balordo. Uno di quelli che non fanno altro che ridere come se tutto fosse un gioco, ma che sotto nascondono un’anima marcia. Si faceva chiamare “Il Principe”, un soprannome ridicolo per uno come lui. Non c’era niente di nobile in lui.

Ci radunò tutte, le donne del Lupo, e ci fece capire subito che adesso comandava lui. Le sue mani erano sempre pronte a colpire. Bastava che respirassi troppo forte e ti prendevi uno schiaffo. Il potere era tutto quello che gli interessava.

«Qui le regole sono diverse,» disse con il suo accento grezzo, guardandoci come un branco di pecore da macellare. «Non me ne frega un cazzo di come lavoravate con il Lupo. Ora siete mie. E dovete imparare a fare le cose come dico io.»

Non mi serviva altro per capire cosa sarebbe successo. Un nuovo corso di formazione. Di nuovo botte. Di nuovo sevizie.

Mi sbagliavo se pensavo che le botte del Lupo fossero il peggio. Il Principe era molto peggio. Ogni giorno era una prova, una lotta per resistere. Lui e i suoi tirapiedi ci prendevano a turno, ci colpivano, ci facevano urlare finché non avevamo più fiato. Non volevano solo obbedienza. Volevano che ci spezzassimo.

E io? Io non potevo fare altro che resistere. Ogni volta che mi sbattevano contro il pavimento, che mi afferravano come se fossi un pezzo di carne, mi ripetevo che avevo già passato l’inferno. E che potevo sopravvivere anche a questo.

Passai il corso. Passai le botte, le umiliazioni, le sevizie. Non era la prima volta, e non sarebbe stata l’ultima.

Il Principe aveva altri piani per me. Mi riportò sulla strada. Mi aveva tolto dall’appartamento, mi aveva messa di nuovo sotto i lampioni, in mezzo alla sporcizia. Tutto quello che avevo guadagnato, la mia “promozione” a impiegata del sesso, era sparito in un attimo. Mi ritrovai di nuovo a farmi prendere nei vicoli, sotto gli occhi vuoti degli uomini che mi compravano.

Non c’era più niente di sicuro. Solo la strada, il freddo, i soldi che dovevo consegnare al Principe alla fine della notte. Un fottuto incubo che non finiva mai.

L’appartamento. Il Principe aveva messo un’altra ragazza nel mio appartamento. Una giovane, nuova, fresca. Una che non sapeva niente. La vedevo ogni tanto, la sua faccia pulita, i suoi occhi ancora pieni di speranza. E ogni volta che la guardavo, mi saliva il disgusto. Per lei. Per me. Per tutto.

Non mi andava giù che avesse preso il mio posto. Che stesse lì, nel mio appartamento, mentre io dovevo tornare a spaccarmi la schiena sulla strada. Io avevo lavorato per quel posto. Ma il Principe non ascoltava. A lui non importava. La nuova ragazza era un investimento migliore. Giovane, bella. Pronta a essere rovinata.

Non passò molto tempo prima che tutto andasse storto. Una notte, la trovarono. Stesa nel suo letto, l’appartamento distrutto, piena di lividi e sangue. Agonizzante, a malapena viva. Avevano giocato con lei come facevano sempre, solo che stavolta avevano esagerato. L’avevano quasi ammazzata. Quando la portarono via, vidi il suo volto pallido, gli occhi aperti ma vuoti. Non era più lei.

E in quel momento, capii. Cazzo, capii tutto.

Tornare sulla strada era stata la mia salvezza. Non avevo mai visto l’appartamento come un posto sicuro, ma era diventato la trappola della ragazza. Io ero ancora viva, lei no.

Forse era destino, forse era solo culo. Ma capii che era meglio essere là fuori, con il freddo che mi tagliava la pelle, con gli uomini che mi prendevano nei vicoli. Perché almeno lì potevo ancora difendermi. Potevo ancora resistere.

Serie: La storia di Maddalena


Avete messo Mi Piace4 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Rocco, ho seguito il tuo consiglio ed ho acquistato un libro di Don Winslow (Broken che è una raccolta di racconti): ha uno scrivere molto scarno ma molto efficace, sono all’inizio e non so ancora dirti se mi piace o meno ma sicuramente lascia il segno. A fine libro ti farò sapere quali emozioni mi avrà dato. A presto

  2. Ciao Rocco, Maddalena sembra subire l’inferno senza la speranza di uscirne, eppure lotta. In questo episodio è emersa tantissimo la sua forza. Spero che quel filo sottile che hanno cercato continuamente di spezzare, sia stato la sua salvezza.
    Bravo!

  3. Il gioco della carne…… feroce….violento senza limiti…santuari di corpi pronti alla consumazione…..il corpo della donna alla mercè delle velleità degli uomini, esposto senza tregua al dolore….
    Durezza di sguardo e implacabilità narrativa in tutta la tua opera….l’inferno dello sfruttamento…..il sesso che diventa moneta….pedaggio per arrivare a una verità inventata che fa riposare il cuore.
    Quasi una poesia incastonata come una pietra preziosa nella roccia dura e sanguinante che ci fa riflettere sul senso di una vita parallela a quella che ogni giorno ci sembra di respirare, impalpabile e trasparente…..vera solo nelle nostre fantasie….