Un tuffo nel peluche

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Un tuffo in un peluche grande come il mare

Mi tornò alla mente il mio grande orsacchiotto di peluche. Era gigantesco — almeno cosƬ mi sembrava allora — e i suoi occhi di plastica nera riflettevano una dolcezza muta, la promessa silenziosa che non mi avrebbe mai abbandonato. Nel buio della mia camera lo stringevo forte, affondando il viso nel suo pelo ruvido, cercando quello che non sapevo chiedere agli umani: calore, sicurezza, la confessione di essere amato senza condizioni.

Mi ero innamorato del mio orsacchiotto, senza vergogna nĆ© pudore. Lo carezzavo piano sulle braccia, gli raccontavo i miei sogni e le mie paure, gli affidavo i segreti che non osavo affidare a nessun altro. La notte mi costruivo un rifugio, una tana irraggiungibile anche dagli incubi — lƬ, solo con lui, lontano dal giudizio degli adulti e dal rumore del mondo. Senza di lui non riuscivo a dormire.

Quando piangevo, il mio orsacchiotto non mi chiedeva spiegazioni. Mi lasciava piangere, semplicemente. E col tempo imparai a non temere più il silenzio. In quei momenti sentivo che, forse, un giorno sarei stato in grado di amare davvero, se solo avessi imparato a essere quell’orsacchiotto per qualcun altro: presenza silenziosa, fedeltĆ  senza parole, rifugio notturno. Batuffolo di tenerezza. 

Ora, anni dopo, mi domando dove sia finito quell’orsacchiotto. Se ne sta forse ancora accovacciato in qualche soffitta, ingrigito dalla polvere, o ĆØ scomparso assieme all’infanzia? Forse attende che torni a cercarlo, forse l’orsacchiotto della coppia ĆØ solo una sincronicitĆ  con la mia stessa vita, un tuffo nel passato, anzi, un tuffo nel peluche. 

A cinquant’anni, quando ormai credevo di aver seppellito tutte le tenerezze, lo ritrovai. Era rannicchiato in fondo a un vecchio armadio, tra scatole impolverate e abiti che non indossavo più da decenni. Lo presi in mano: aveva perso la rotonditĆ  di un tempo, il pelo era spelacchiato e una cucitura aperta lasciava intravedere l’imbottitura, come una ferita dimenticata.

Mi scoprii a sorridere.

Lo portai nel letto, quella notte, con un gesto antico e quasi solenne. Mi ci addormentai abbracciato, come allora. Non importava più che sapessi distinguere tra sogno e realtĆ : per qualche ora, tra le braccia di quell’orso consunto, mi sentii salvo.

Nel silenzio della stanza adulta, nessuno mi vedeva, nessuno giudicava. Eppure era come se, stringendo il vecchio orsacchiotto, tornassi a riconoscermi.

Mi permisi, finalmente, di essere fragile. Io ero la stessa cosa che ero a dodici anni, era solo la mia fisicitĆ  che cambiava. In realtĆ  il nostro vero SĆ© ĆØ sempre identico ed ĆØ solo un’illusione sentirci diversi.

Ma quel giorno l’orsacchiotto finƬ come un trofeo in mezzo alla coppia defunta e fu tutto tranne che un tenero ricordo ma un presente di terrore. 

Serie: Autobiografia di un sensitivo sensibile


Avete messo Mi Piace2 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ecco, adesso che ho letto tutti i capitoli, posso commentare meglio.
    Il protagonista potrebbe essere un paziente di un reparto psichiatrico? E il commissario un dottore? La coppia morta rappresenta i suoi genitori (morti come coppia). La bambola con i suoi occhi ĆØ la parte femminile che ogni uomo ha, ma lui non accetta, come non accetta la sua sensibilitĆ , perchĆ© per il padre e la societĆ  un uomo deve essere forte e poco sensibile (i maschi sono anche loro vittime del patriarcato). Quindi ĆØ costretto a fingersi un altro e finisce male. Forse ho sbagliato nell’interpretazione, ma non sbaglio a dire che sei molto bravo.

  2. ƈ un bellissimo racconto il tuo. Forse in una coppia non bisogna mai dimenticare di essere un po’ orsacchiotti e un po’ bambini, e questo vale sia per l’uomo che per la donna, anzi per tutti i rapporti.

  3. Davvero uno squarcio molto bello. Ricco di intensitĆ  e di un’intimitĆ  che diventa universale, come il rapporto doloroso col tempo, con i ricordi, con l’amore incondizionato e la libertĆ , se non la speranza, di ritornare all’improvviso fragili, senza chiedere scusa o permesso. Un saluto.