Un uomo fa quello che deve fare

Serie: L'Adelina


Con la mamma, avevano stabilito un appuntamento telefonico, il martedì e il venerdì, dopo cena. Andavano in macchina fino al bar. Fausto sapeva che avrebbe fatto fatica a tenere il segreto con lei, perciò chiese a Papi se non sarebbe stato meglio raccontarglielo.

Ma lui sembrò decisamente contrario.

“‘Ti sei comprato la casa col fantasma!’ Mica lo capirebbe, che costava meno anche per quello… E se poi decide che è troppo pericoloso, e ti fa tornare a casa?” domandò Papi.

Era proprio come se gli avesse letto nel pensiero.

La prima volta era stato semplice: Fausto si era imparato la frase a memoria.

“Buonasera, c’è un telefono, per piacere?”

Il proprietario lo aveva accompagnato in un angolo, aveva controllato gli scatti già presenti sull’apparecchio, poi l’aveva lasciato da solo. Alla fine della chiamata, aveva ricontrollato gli scatti.

“Milleduecentocinquanta” aveva detto, con voce un po’ annoiata, come se raccogliere monetine dal bancone di metallo lucido non fosse esattamente il sogno della sua vita.

Fausto era uscito dal bar con una sensazione di trionfo. Era andata bene, no?

Ma già dalla volta successiva l’aveva tirata per le lunghe, dopo cena.

“Che ti succede? Non la vuoi chiamare, tua madre?”

Farfugliando, oppresso dalla sensazione che il mondo fosse un posto semplicemente troppo complicato in cui vivere, aveva detto la verità: che non sapeva cosa dire al barista.

Non poteva mica usare la stessa frase, visto che sapeva già dove stesse il telefono… Sarebbe sembrato un idiota!

Papi era rimasto a fissarlo per un intero minuto. Non si era messo a ridere, però, non gli aveva detto che era uno stupido frignone.

“Dai, vieni.”

Dopo, mentre la macchina scivolava attraverso la copertina di velluto leggero della sera, che si apriva per lasciar passare l’auto, gli aveva consigliato di entrare, e basta.

“Non succede mica spesso che un bambino entri a quest’ora nel bar. Il barista si ricorda di sicuro. Vedrai, sarà lui a dirti qualcosa, e allora è sufficiente reagire di conseguenza… Capito?”

Era un piano pessimo, come solo un adulto può concepirlo. Pieno zeppo di cose che potevano andare storte; e in fondo a tutte quelle cose storte, Fausto si ritrovava in piedi in mezzo al bar, a far la figura del cretino… Ma non c’era tempo per tutto questo, così si limitò a far segno di sì con la testa.

Arrivati davanti al bar, Papi lo guardò.

“Vuoi che ti accompagni?”

La tentazione era enorme, occupava tutto lo spazio che, fino a quel momento, era stato della paura.

Ma Fausto disse di no.

“Ce la faccio da solo.”

Non sapeva se fosse vero, ma anche solo averlo detto lo fece sentire più sicuro. Quando poi si presentò sulla soglia, il barista lo guardò confuso per un attimo, per poi sorridergli, come a un vecchio cliente abituale.

“Ehi! Telefoni alla morosa anche oggi?”

Lo scherzo fece sorridere un paio di altri uomini, che lo guardarono con una specie di tenerezza dura, in fondo allo sguardo. Attraversò il pavimento al piccolo trotto, dietro al barista, e lui gli passò la cornetta grigio-verde, di plastica pesante.

“Non farti fregare, amico mio…”

Ebbe un mezzo sorriso complice, prima di allontanarsi.

Per tutta la telefonata, Fausto evitò accuratamente di usare la parola mamma.

Quando s’infilò di nuovo in macchina, Papi non gli domandò nulla. Sembrava distratto.

Era pur sempre un adulto. Le sue preoccupazioni avevano, per Fausto, qualcosa di alieno. Così lontane da quelle che torturavano lui tutti i giorni…

Come si poteva trasformarsi da bambini in adulti? Cosa succedeva mai, all’anima, o al cervello di una persona, per cambiare a quella maniera?

“È andata bene” borbottò.

Papi mise in moto. Di colpo, fu di nuovo del tutto presente.

“Davvero? Alla fine gliel’hai detto, dell’Adelina?”

Fausto fu sorpreso dalla domanda. Non si era deciso per il no?

Poi si rese conto che Papi, anche se era contrario, l’aveva lasciato libero di decidere da solo.

Fu contento di aver taciuto.

Era bello avere un segreto, loro due soli.

“Non ho detto niente” rispose. Non si voltò a guardarlo, proprio come facevano i giovani maschi alla TV, quando stavano insieme ad un amico.

Tutto intorno, qua e là squarciata dalla luce improvvisa dei fari, la campagna era immobile, eppure viva.

Sembrava un corpo gigantesco sotto anestesia, disteso su un tavolo operatorio.

Seguendo i suggerimenti di Papi, Fausto diventò, se non proprio bravo, almeno abbastanza pratico da fidarsi a staccare i piedi dal fondo fangoso.

Era una bella sensazione, scivolare per qualche metro in avanti, poi girarsi sulla schiena restando quasi disteso, nella posizione del morto a galla. Papi era molto fiero di lui.

A pensarci, gli pareva di non aver fatto mai altro che deludere le persone intorno a lui. Papi era il primo, a sembrare tanto fiero.

“Non sono mica fiero perché nuoti” gli disse, una sera.

Stavano fuori, sotto le stelle. Dopo una settimana, Papi aveva deciso di ricominciare a uscire, Adelina o no.

“Non vorrai farti rovinare le vacanze da quella stronza!”

Fausto aveva riso forte per la parolaccia. Gli sarebbe piaciuto dirle anche lui, ma non ne aveva il coraggio.

Papi si era acceso una sigaretta e aveva inspirato a fondo il fumo.

“Sono fiero perché hai superato la paura.”

Questa poi era un po’ grossa. Fausto si grattò la guancia, perplesso.

Papi aveva il viso per metà avvolto nell’ombra. Era come se i suoi pensieri si fossero rigirati verso l’interno. Diede un altro tiro, poi riprese a parlare.

“Certe volte, sai… Un uomo desidera solo cose normali: una famiglia, una casa… S’impegna, mette le cose a posto. Raccoglie dalle macerie tutti i pezzi migliori, prende il martello, i chiodi… Si dà un gran daffare, perché la sola cosa che desidera davvero è che le cose funzionino, capisci?”

Probabilmente stava parlando della cascina. Fausto annuì nell’oscurità, fitta del canto dei grilli, e coraggiosamente lo interruppe per commentare:

“Sta venendo proprio bene, Papi.”

Lui si voltò a guardarlo. Sembrava quasi sorpreso di trovarlo lì.

“La casa… sì…” rispose. Strisciò la sigaretta sul muro. Una piccola scia di brace brillò per un attimo, prima di cadere al suolo e mischiarsi alla polvere del cortile.

“Fai tutto quello che sei capace di fare, non ti arrendi… Qualche volta però, non basta mica. Qualche volta occorre un aiuto da fuori.”

Stava parlando di lui?! Stava cercando di… ringraziarlo?!

Quasi soffocò per l’emozione.

“Meglio se andiamo a dormire” concluse Papi. “Domani ci aspetta una giornata pesante.”

Fausto non rispose. Rimase ancora qualche attimo fuori, da solo, a guardare il cielo, fitto di stelline lontanissime.

Ad un tratto, mentre se ne stava lì con il cervello di colpo vuoto, gli venne in mente l’Adelina.

Più fastidiosa che terrificante, disturbava il quadro.

Poi, gli venne addosso di colpo, il terrore solito. Sgusciò dentro, chiudendosi la porta alle spalle con il catenaccio. Solo allora si sentì abbastanza al sicuro da lanciare una breve occhiata nell’oscurità.

Il cortile era deserto.

Fausto moltiplicò i suoi sforzi. Se finiva di svolgere un compito, non aspettava più, seduto con un libro in mano, che Papi venisse a scovarlo, per affidargliene un altro.

‘Un uomo prende chiodi e martello’, si ripeteva, in una specie di metodica cantilena, quando la stanchezza aggrediva il suo corpo grassottello. ‘Un uomo non si arrende…’

I suoi muscoli s’irrobustivano. Il corpo cominciava ad obbedirgli, seppure senza troppa convinzione. Pareva avesse un suo pensiero, circa quella trasformazione: che non sarebbe durata, che sarebbe tornato quello di sempre, una volta a casa, con un bel divano morbido sotto quel sederone, e i sacchetti delle patatine a portata di mano…

Ma lui resisteva.

Papi sembrava un po’ sorpreso, ma anche compiaciuto.

“Ci dai dentro, eh?”

Per evitare di darla vinta al suo corpo ciccione, Fausto aveva preso l’abitudine di impiegare le pause per saltellare da un piede all’altro.

Papi stava passando il rullo con la pittura lungo la parete dell’ingresso. Fausto ritoccava la parte bassa del lavoro, dove il rullo non poteva arrivare. Si trattava di un lavoro di precisione, come gli aveva spiegato Papi, affidandogli il grosso pennello quadrato.

Pesava quanto il martello, maledetto lui. Ma Fausto teneva botta.

Dopo un breve spuntino, verso le dieci, avevano ripreso a darci dentro al ritmo di Jesus Christ Superstar, che ascoltavano in quel momento, con lo stereo gigante.

Una delle poche cose che Papi si era portato via subito, quello stereo.

Fausto, con gli occhi sgranati e pieni di pianto, l’aveva osservato smontare e riporre dentro gli scatoloni i vari pezzi dell’apparecchio.

Per giorni, dopo che se n’era andato, quello spazio vuoto nel mobile aveva mandato Fausto in confusione.

Voleva dire che non sarebbe tornato mai più; perché si era portato via le cose che contavano.

Lui, però, non era sulla lista.

Alla fine, si era abituato. Non c’era altro da fare, giusto? Non poteva mica tenere il muso a Papi, come un inutile moccioso da quattro soldi…

Fermo in piedi davanti alla porta, con il pennello che gocciolava pittura sul pavimento, vide entrare in cortile la macchina della polizia.

Serie: L'Adelina


Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa

Discussioni