
Un volo amaro
Un pianeta è un corpo celeste che orbita intorno a una stella. Non brilla di luce propria. Ma sulla Terra qualcosa è cambiato. Quando il sole smette di irradiarla, in quella parte buia esposta verso l’ignoto miliardi di luci si accendono. Delineano i confini delle terre emerse e delle sue isole. Girano attorno ai laghi e ai fiumi.
Appaiono, dallo spazio, come neuroni collegati da sinapsi: intere città, paesi e villaggi che comunicano tra loro come un gigantesco cervello.
Un’infinita rete di luci pulsanti.
E, in quel groviglio di connessioni, una scintilla – l’eco di una scelta – combatte la sua personale battaglia contro le tenebre.
In una di quelle notti, nella città di Leeds, l’oscurità calò.
I lampioni disegnarono coni di luce, illuminando i luridi marciapiedi del quartiere di Chapeltown.
Tra le monotone infilate di case popolari, solo una finestra era rimasta accesa. Dalla strada i bagliori della televisione irradiavano le tende verde scuro.
Sullo schermo andava in onda un film intitolato: “Allucinazione perversa”.
Lucas, sdraiato sul divano, osservava l’attore Tim Robbins immobilizzato su una barella e trasportato lungo corridoi surreali, degni di una clinica dell’orrore.
«Ma che razza di ospedale è questo?» sussurrò.
Poi, tra un bagliore e l’altro, il suo riflesso apparve sullo schermo. Viso pallido, guance scavate, mento appuntito… uno sconosciuto al suo posto.
Stava per alzarsi quando un rutto gli riportò in gola l’amaro della birra.
L’odore di fumo stantio e le lattine vuote sul pavimento gli stringeva lo stomaco. Era il tipico odore della casa di Dave, dove viveva da un anno: caos, sporcizia e risate improvvise.
Angosciato e con un leggero mal di testa, decise di andare a dormire.
Cercò il telecomando, sprofondato tra i cuscini del divano.
Tirò fuori ciuffetti di peli bianchi e neri.
«Che schifo», bisbigliò, scrollando le dita, e poi prese quel lercio dispositivo della Philips.
Quando si alzò, un’ondata di vertigini lo colpì.
Cassie, una cagnetta bianca e nera, rapidamente prese il suo posto, mentre Alfie sbatacchiando le orecchie come nacchere, lo seguì fin su in camera, strisciando sotto il letto.
All’una meno venti, Lucas era disteso sotto il piumone, fissando il buio. Non riusciva a prendere sonno. Dave… com’era possibile che avesse deciso di fare qualcosa di così… folle? Lucas sapeva di essere già coinvolto. Andare sulla Call Lane… assurdo. Lo avrebbero scoperto…
Improvvisamente si sentì sprofondare nel materasso. Si aggrappò al letto come se un vortice lo stesse risucchiando. Ancora una volta, non era riuscito a opporsi a Dave: con la sua fastidiosa insistenza lo aveva costretto a mandar giù tutta quella fottuta birra.
Pian piano le palpebre si chiusero e cadde in un sonno viscerale.
Quando riaprì gli occhi, guardando fuori dalla finestra, vide che era già buio. Aveva dormito per tutto il giorno.
Non è possibile, pensò. Perché nessuno mi ha svegliato?
Si alzò e si vestì. Guardò sotto il letto ricordandosi che Alfie ci si era ficcato sotto, ma non era lì.
Gridò il nome di Dave. Senza risposta, si precipitò giù per le scale, saltando gli ultimi gradini.
Cassie era sul divano, alle prese con un gigantesco osso di stinco. A parte lei, la casa era vuota.
Guardò l’orologio: erano le diciotto e trenta! «Oh no!» esclamò.
Si ricordò dei progetti dell’amico, andando nel panico; doveva immediatamente raggiungerlo prima che commettesse una sciocchezza! Corse fuori sulla Chapeltown Road.
Stranamente la strada era deserta, ma era talmente in ansia per Dave che non se ne curò e si mise a correre veloce, sempre più veloce finché, agitando le braccia all’altezza delle spalle, si rese conto che con piccoli balzi riusciva a percorrere diversi metri. Poi, stupito, capì.
Accelerando i movimenti con uno scatto si sollevò da terra.
«Cazzo, sto volando!», gridò eccitato.
Da lassù la città era magnifica! Incredulo osservava il quartiere in cui viveva e che sembrava un enorme circuito stampato. Le case, perfettamente uguali, erano conficcate sull’asfalto come centinaia di cubetti del Lego.
Lucas si sentiva leggero e onnipotente. Fluttuava librandosi nell’aria; tra giravolte e piroette sfrecciava sempre più in alto e più veloce bucando le nuvole. Ruzzolava euforico nella massa bianca che sfuggiva ai suoi abbracci quando, inaspettatamente, si sentì pesante.
L’aria gelida e un capogiro lo riportarono bruscamente a terra. Come una palla di cannone in caduta libera stava per schiantarsi al suolo quando… aprì gli occhi.
Ansimando, sputò il vomito sulla moquette.
Tra le lenzuola bagnate dal suo sudore freddo, aveva brividi che gli attraversavano tutto il corpo.
Quel dolore sordo, che lo aveva accompagnato prima di andare a letto, ora si era trasformato in un supplizio pulsante.
La pressione all’interno delle arterie sembrava prendergli a calci le tempie.
Corse in bagno continuando a vomitare. I succhi gastrici ora gli bruciavano lo stomaco e la gola.
Disteso a terra, con le cosce nude sul gelido pavimento, abbracciava il water preso dagli spasimi.
Cercò di riprendere fiato, promettendo a se stesso di non bere mai più.
Poi, stremato e infreddolito, tornò in camera. Ora poteva finalmente riposare, ma appena entrato un grido gli si strozzò in gola: «Che fai?»
Alfie, con la coda in aria, stava leccando il suo rigurgito, lasciando solo una chiazza gialla sulla moquette.
Disgustato si infilò nel letto e appoggiò la testa sul cuscino.
Niente più cielo, niente nuvole. Solo la moquette sporca, il vomito e i guai in cui si era cacciato.
Il dolore sordo tornò, stavolta come un compagno silenzioso che gli sussurrava promesse di un sonno profondo senza sogni.
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Quando la realtà é poco confortante, la cosa migliore é volare, per evadere, a occhi aperti o chiusi, in un sogno che ci ripaghi o ci consoli, almeno per un po’. E quando si atterra, peró, l’atterraggio puó essere brusco e spiacevole. E forse bisognerebbe rimboccarsi le maniche, con tutti quei ciuffetti di peli bianco e neri, e tutto quel vomito. E il gatto che lecca il rigurgito… Il ragazzo si riprenderà? Chissà!
Mi è piaciuto molto il tuo racconto. Esso parte con una suggestione quasi poetica e si immerge poi in una realtà sporca, opprimente, piena di disagio. Lucas è un personaggio fragile, che cerca una via di fuga (il volo onirico è bellissimo), ma viene riportato bruscamente a terra, tra vomito, solitudine e senso di colpa.
Una piccola nota, se posso. Il passaggio tra sogno e realtà è un po’ brusco e un confine più sfumato forse avrebbe reso il tutto ancora più disturbante, ma mi rendo conto che in mille parole è davvero difficile ammorbidire certe parti dei nostri scritti. Nel complesso, devo dire che è una lettura coinvolgente e ben scritta.
Ti ringrazio moltissimo per i complimenti e, soprattutto, per il tuo feedback così costruttivo.
Mi fa un enorme piacere sapere che la descrizione della realtà di Lucas, oppressa e piena di disagio, sia arrivata.
Il tuo suggerimento sul passaggio tra sogno e realtà, lo apprezzo moltissimo e mi offre uno spunto di riflessione importantissimo. Hai ragione, un confine più sfumato avrebbe potuto migliorare la lettura. È un dettaglio su cui lavorerò con più attenzione in futuro. Grazie ❤️
Ho amato la scena iniziale del nostro pianeta illuminato dalle luci della notte. Complimenti per questo episodio, non vedo l’ora di leggere il prossimo (anche la scena del sogno mi è piaciuta tantissimo❤️).
@ariannapaju Grazie mille, Arianna! I tuoi complimenti significano molto, soprattutto perché hai letto il mio primo episodio. Ne sono davvero ☺️
La parentesi onirica del volo è bella: euforia pura che si spezza nel rientro brutale, moquette-vomito. Intanto la minaccia di David resta sospesa e tira avanti la lettura. Voglio capire cosa sta per combinare sulla Call Lane.
@pasqualetintore Grazie mille per aver letto e commentato. So che il racconto ha un tono molto crudo, non so se può piacere!
Il crudo mi piace. Meglio una verità rasposa che una frase imbellettata. Tieni quel registro. È onesto, ha nervo, e chi cerca la pacca sulla spalla non è il tuo lettore ideale.