Un Volto nel Buio

Serie: Regina


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Un varco attraverso la parete rivela uno stretto passaggio che nulla ha a che fare con i tunnel della metropolitana... Carlos decide di attraversarlo ritrovandosi sospeso nel vuoto.

La testa mi scoppiava. Cos’era quel rumore? Non riuscivo a vedere. E quelle voci? Riaprii gli occhi di scatto e mi resi conto di essere rimasto a penzoloni, sospeso sul nulla.

La corda alla quale ero rimasto attaccato mi strattonava verso l’alto cercando di sollevarmi e riportarmi all’interno del tunnel. Esatto: a separarmi da quell’oscurità era rimasto solamente quel robusto intreccio di canapa che avevo attaccato, grossolanamente, alle bretelle della mia tuta. Provai a muovere le mani cercando l’interruttore sull’elmetto e mi resi conto che la lampadina era rotta.

«Devo aver sbattuto l’elmetto quando sono scivolato» sussurrai tra me e me.

Le urla dei miei compagni coprivano la mia voce. Provai ad avvisarli che stavo bene, ma erano così impegnati a urlare che non avevano pensato di far silenzio per ascoltare un mio eventuale tentativo di comunicare con loro. Mi rassegnai e provai ad alzare le braccia nella speranza di essere abbastanza vicino al cunicolo da poterne afferrare qualche estremità sporgente… ma nulla. Temevo che la corda potesse spezzarsi, se solo mi fossi mosso eccessivamente, o che i miei compagni potessero perdere la presa a seguito di qualche mia irruenta reazione. Ma il problema principale era l’oscurità. Usai le mani per esplorare lo spazio attorno a me poiché non percepivo la presenza di pareti o sporgenze. In cuor mio speravo che la profondità non fosse eccessiva, nel caso fossi caduto. Ma, poi, iniziai a risalire: mi stavano tirando su con la corda. Evidentemente, adesso, c’era molta più gente impegnata a soccorrermi. Sussurrai una preghiera di ringraziamento e cercai di stare fermo. Pian piano venni sollevato fino all’altezza del cunicolo e con le braccia e le gambe riuscii a riprendere posizione al suo interno evitando il rischio di cadere.

«Sto bene!» dissi provando a richiamare la loro attenzione con la mia voce.

Questa volta, per fortuna, mi sentirono e Arnold smise di urlare. Io ringraziai tutti i santi del Paradiso e mi voltai per tornare sui miei passi. Giurai a me stesso che non avrei più fatto una cosa così stupida e che avrei sopportato i rimproveri di Arnold: li meritavo.

All’improvviso un nuovo rumore echeggiò rimbalzando tra le pareti vuote di quell’abisso. Sentii alcuni frammenti di pietra colpire la mia faccia e abbassai il capo facendomi scudo con l’elmetto. Poi sopraggiunse un boato più forte e sentii venir meno il terreno sotto i miei piedi.

Non sentivo alcun dolore. Probabilmente, doveva essere quella la condizione che accompagnava la morte, quando questa sopraggiungeva frettolosamente: non c’era spazio per la sofferenza, se il corpo cessava di esistere all’improvviso. Pensai che in fondo mi fosse andata bene. Mi sentivo piuttosto in forze. Anche se non vedevo nulla. Mossi le braccia e quelle risposero al mio comando. Mossi le gambe e quelle si piegarono senza che fosse necessario fare alcuno sforzo. Allora portai le mani sul mio viso e massaggiai le guance. Capii di essere vivo. Mi misi a sedere. Avevo paura di fare qualsiasi tipo di movimento. Urlai, ma nessuno mi rispose. Urlai di più, ma nulla. Dovevo essere precipitato molto più in basso. Ma come facevo a essere illeso? Diedi il merito alla corda che, evidentemente, doveva aver attutito la mia caduta e allora cercai l’estremità attaccata alla mia tuta per strattonarla e dare un segno della mia presenza agli altri, ma mi resi conto che la corda non c’era più. E lì andai nel panico. Mi alzai, non curante del fatto che non vedessi nulla. E girai su me stesso nella speranza di cogliere anche il più piccolo bagliore. Ma il buio era assoluto.

«Mi sentite?» urlai, ma non ottenni risposta.

Tastai la terra con i piedi, era liscia, senza traccia di detriti, e provai a fare qualche passo. Venni colto da un’improvvisa paura e mi misi a carponi, usando le mani per tastare il percorso. Avere mani e piedi impegnati a toccare qualcosa mi dava una maggiore sensazione di stabilità rispetto al semplice camminare nel vuoto. Sentii una risata e il sangue mi si gelò.

«Chi c’è?»

Tornò il silenzio. Era impossibile che qualcuno fosse lì. Ma ero sicuro di aver sentito una risata. I topi ridono? Domandai a me stesso. Provai a muovermi, sempre a carponi. Avanzai sempre nella stessa direzione. Stando ben attento ad appoggiare prima una mano e poi l’altra. Nel caso ci fosse il rischio di qualche altro cedimento. Ed ecco quella risata. Sottile e delicata. Ma lì, in quell’oscurità, persi come minimo cinque anni di vita e salute mentale. Come poteva essere possibile?

«Chi è là?» ripetei.

«Non aver paura, qui la terra è solida.»

E quando sentii quelle parole, per poco non mi misi a urlare per lo spavento. In compenso sentii i pantaloni inumidirsi. Paura e vergogna insieme… mai provato nulla del genere.

All’improvviso una fiamma di colore celeste scoccò accendendosi di fronte a me, all’altezza del mio viso. Quello che vidi, non lo dimenticherò mai. Di fronte al mio, il volto più bello e delicato che avessi mai visto. Due occhi color ambra così cristallini da riuscire a vedere il mio stesso riflesso rischiarato dalla luce nella quale i nostri volti erano immersi. Ciocche nere le cadevano ai lati. Le sue labbra sorridevano. Pensai ad un’altra sopravvissuta.

«Stai bene?»

Ma lei non rispose. Chiuse gli occhi e si ritrasse lasciando che il suo viso svanisse nell’oscurità. Io, istintivamente, gridai nel tentavo di chiamarla.

«Aspetta! Posso aiutarti!»

Ma, poi, più nessun suono, nemmeno quella risata. Cosa avrei dato per sentirla di nuovo. Ero da solo: confuso e preoccupato. Forse anche lei era spaventata. Volevo trovarla e assieme a lei cercare una via d’uscita. Sempre che ne esistesse una. Mi sollevai, fidandomi di ciò che quella giovane ragazza aveva detto. Ma, a differenza sua, io non avevo nessuna luce celeste a indicarmi la strada. Avanzai con braccia e mani protese in avanti e strisciando i piedi per evitare di inciampare. Sembravo uno zombie e probabilmente fu quello che pensarono i soccorritori quando vidi la luce di una torcia illuminarmi quasi a giorno. Non so come, ma mi avevano trovato. Non so come, ma dovevano aver trovato un altro passaggio. Non so come, ma, per l’ennesima volta, ero riuscito a cavarmela. Ringraziai, per la seconda volta, ogni singolo santo del calendario e lasciai che mi conducessero fuori da quel buco maledetto nonostante sapessi cosa mi aspettava: l’ira di Arnold.

Serie: Regina


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Discussioni

  1. non sono una grande lettrice di storie horror o fantasy, ma la tua è attraente e scritta bene. Non credo sia finita qui, vero?

    1. Ti ringrazio, sei molto gentile. In effetti il racconto non è ancora iniziato. Dato che la struttura a episodi ci permette di giocare con i tempi narrativi ho voluto distribuire l’evento iniziale in più episodi per creareun po’ di attesa e gestire meglio ciò che verrà. La quiete prima della tempesta. Grazie ancora per il tuo commento, un saluto.

  2. @LaMascheraRossa La serie è ovvio che mi andrà di seguirla, ci puoi contare! Non è facile trovare qualcuno che non solo è appassionato di questo genere, ma che gli rende onore in maniera così originale, nonostante tutte le difficoltà che si possono riscontrare, dal momento che sull’horror è stato scritto veramente, ma veramente tanto nel corso degli anni passati. Del resto, i tuoi precedenti scritti ti fanno da muti testimoni.
    Per quanto riguarda la nota, la tua risposta ha colto il punto: anche io credo che dipenda un sacco da maturità e esperienza. Anch’io sono un “autodidatta” come te, sei in buona compagnia qui 😀
    Ciò che più conta, secondo me, è la stessa cosa che mi disse una volta una persona conosciuta qui su EO, ovvero la consapevolezza di ciò che si vuole scrivere, e renderlo con le parole nel modo migliore di cui disponiamo. La scrittura, così come la vita stessa, è un lavoro di indagine: dobbiamo domandarci e interrogarci su cosa abbiamo veramente in testa, e maturare di conseguenza gli strumenti atti a diffonderlo nel mondo. Per cui, se il tuo scopo è lo humor nero, si lavora su quello, e sui modi per renderlo efficace; se il tuo scopo è emozionare approfondendo la psicologia dei personaggi, si lavora su altro, e così via. Un saluto, e a presto! 🙂

    1. Concordo. Ognuno di noi troverà lo spazio espressivo e stilistico più congeniale e maturerà gli strumenti necessari per muoversi al suo interno. Grazie ancora per aver condiviso con me le tue osservazioni e per i consigli, ne farò tesoro. A presto.

  3. Continuo a seguire questa tua bella serie che sicuramente si sta prendendo i suoi dovuti tempi, e che tuttavia incuriosisce senza dubbio. Se posso permettermi una piccola nota critica, porrei più enfasi nelle descrizioni legate allo stato d’animo del narratore. Ad esempio, in un paio di passaggi hai usato per due volte (quasi) di fila l’espressione “il sangue mi si gelò/mi si gelò il sangue”: te lo segnalo perché penso che, essendo il genere “horror” legato particolarmente alle emozioni e ai sentimenti dei personaggi, una buona resa di questi sia la chiave per una narrazione efficace e coinvolgente. Conoscendo un minimo la tua attitudine nei confronti della scrittura, sono sicuro che concorderai 😀
    Un saluto, alla prossima!

    1. Grazie per le tue osservazioni. Tra l’altro le ripetizioni non vanno mai bene, al di là del patos emotivo. Quindi vanno corrette a prescindere. Per quel che riguarda le descrizioni relative allo stato d’animo del protagonista, so bene cosa intendi, ma purtroppo tendo ad avere un gusto abbastanza scarno: finendo con il diventare troppo lapidario e favorire lo humor nero che appiattisce un po’ le psicologie dei personaggi in favore di qualche battuta. Devo comunque ringraziarti per i consigli che mi hai dato, se riesco proverò a lasciarmi andare di più. Magari dipende anche da una questione di esperienza e maturità. Sono un autodidatta, e ora come ora scrivo… a naso. Come Pinocchio. Spero di rifarmi con i prossimi episodi. Un caro saluto, e, se ti va, continua a seguire questa storia: ho bisogno di pareri come i tuoi che mi aiutano a capire meglio in che direzione muovermi.

  4. Molto bello e cinematografici questo racconto. Per un attimo ho portato ad attori che potrebbero interpretare il nostro protagonista e, se Bruce Willis non fosse in forzato pensionamento, ci starebbe. Oppure Kiefer Sutherland, o, magari, uno Jean Renò d’annata.
    Comunque sia, effetti speciali d’autore, sceneggiatura di rilievo e regia da brivido. Mi piace, aspetto il seguito.

    1. Grazie per i tuoi commenti sempre molto gentili e incoraggianti. Considera questo Librick a episodi un esperimento perchè, come hai notato anche tu, mi sto ispirando più a tempi e narrazioni di stampo cinematografico che di tipo letterario. Avevo voglia di mescolare normalità e soprannaturale giocando con l’ambiguità di una situazione che deve ancora venire fuori. A dire il vero non so nemmeno io cosa verrà fuori, vedremo. Sto scrivendo di getto. E ammetto che trovo il tutto molto divertente e stimolante.