Una questione di radici

Non capisco perché gli autografi, le foto, le strette di mano. Un sorriso improvvisato, le spalle vicine e via, la mia faccia su un’istantanea che ingiallirà in qualche soffitta, chissà dove, finché non sarà ripescata da un vecchio scatolone e diverrò l’esotico racconto per un nipote in visita.

Ma qui il protagonista non sono io. È un errore considerarmi qualcuno solo per discendenza genetica, ma così vanno le cose. E poi da queste parti mi sento solamente un passante, un turista che vaga per una terra che gli appartiene solo alla lontana. Mia sorella dice che sbaglio, che non ragiono nel modo giusto. Ma lei non è come me, lei ne fa una questione di radici, di miti, come i lettori di papà. Ma il fatto non è questo. Jimmy vieni a giocare!

Mi allontano dal palco e accendo una sigaretta. Imbocco una stradina insignificante, mi lascio alle spalle il futile chiacchiericcio dei fan di mio padre. Mi sono sempre chiesto come fosse vivere altrove, trasferirsi in un altro posto e fare una vita diversa. La risposta eccola qui, davanti ai miei occhi. È impossibile. È tutto diverso, troppo diverso. Mi ci potrei anche abituare, a lungo termine… ma questa non è Los Angeles. Anche papà lo sapeva, nonostante tutto. Jimmy vieni a giocare.

Continuo a trascinarmi per le vie senza meta, fino a sbucare in una piccola piazza lastricata, pendente da un lato, la forma irregolare. Un muro screpolato sulla destra, un lampione timidamente liberty che spunta da un fianco, di fronte una casa a due livelli che nasconde la montagna retrostante, è antica quanto la cima stessa. E in quel momento una donna anziana attraversa di sbieco la piazzetta, i suoi tacchetti perforano il silenzio. Un flash. Le sue gambe sono quelle di sessant’anni prima, lisce, la sua gonna poco più corta, la carnagione meno sbiadita. La sua testa bassa, come a chiedere perdono a ogni passo, e un rosario stretto tra le mani e il petto. Sono mio nonno. Lei la mia amata, secoli fa. Ai tempi in cui il lieve svolazzare dei suoi abiti mi faceva ribollire il sangue e schiantare lo stomaco. E le nuvole ferme sopra di noi, come quando ci baciammo, e la partenza sembrava una cosa lontana e il paese e il mondo intero morirono sotto i nostri occhi lucidi. Come se non ci fosse di mezzo l’America, e la nave diretta a New York per noi disgraziati, la mattina seguente. Adesso lo so: eri un miracolo, in questa terra dimenticata da Dio. Oh, Jimmy!

La donna rientra in casa, un ultimo lembo di gonna scompare dietro la porta. Tutto torna al suo posto: la solita strada pendente, il lampione in ferro addossato al muro, l’angolo screpolato di quella casa. La voce lontanissima di Peppino mi scuote. Mi ricorda quella del nonno, ferma, severa, che echeggiava per le strade del Nuovo Mondo come tra questi vicoli. Torno indietro per raggiungere Peppino e gli altri. Mi aspettano al bar per una partita a carte, come fossi uno di loro. Mia sorella ne è convinta, dice che sono uno di loro. Forse ha ragione lei, è una questione di radici.

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Discussioni

  1. Ciao Simone! Ho trovato il tuo racconto scorrevole e piacevole. La parte finale mi ha fatto sorridere, mi è piaciuta la descrizione della piazzetta, dell’anziana e del protagonista che ritorna suo nonno e prova le stesse cose che provava il nonno. Solo una cosa non ho capito, quando scrivi “Jimmy vieni a giocare” o “Oh Jimmy” a cosa si riferisce? Al protagonista? Forse mi sono un po’ persa nel leggere, ti consiglierei, la prossima volta, di sviluppare meglio quest’aspetto. Anche io, all’inizio, ho avuto a che fare con questo, perché nella mia testa era tutto perfetto e pensavo che i miei lettori avrebbero capito il senso. E invece no, a volte non capivano i miei racconti proprio perché avendoli delineati bene nella mente, mentre scrivevo davo alcune cose, fondamentali per far comprendere il lettore, per scontate e perciò non le scrivevo. A parte questo, mi è piaciuto alla fine del racconto il richiamo all’inizio e al titolo “una questione di radici”. Comunque se ti andrebbe di parlare e di spiegarmi meglio, non esitare a scrivermi 🙂

    1. ciao Annalisa, grazie per i complimenti e per i consigli. Le parti in corsivo (“jimmy vieni a giocare” ecc) corrispondono alla voce di Peppino (o, se vuoi, alla voce di qualsiasi altro anziano del paese) che invita jimmy al bar per una partita a carte. Ma possono avere una doppia lettura: volevo infatti dare l’impressione come di una voce interiore, che chiama dal passato.
      ps: la storia è ovviamente frutto d’invenzione personale, ma i personaggi di cui parlo esistono realmente. Mi sono infatti ispirato alla vicenda della famiglia Fante, migrati da un piccolo paese abruzzese (Torricella Peligna) in America a inizio ‘900. Il protagonista è infatti Jim Fante, figlio di John (non a caso parla, nel testo, di “lettori di papà”/ “i fan di mio padre”), la sorella di cui accenno è Victoria Fante, sua sorella; ho conosciuto entrambi nel paese di cui sopra, durante il festival letterario “il Dio di mio padre” dedicato a John Fante, e da lì è nata l’idea del racconto.