“UNA ROSA SUL MIO CAMMINO”
Sentivo solo il ticchettio della sveglia. Le lancette avevano da poco passato l’una, e le campane suonarono l’unico rintocco, che colmava il silenzio della notte. Riguardai la mia sveglia, le lancette fluorescenti, segnavano l’una e tre minuti, tutto giusto. Era da tanto che la mia sveglia era regolata tre minuti avanti del campanile. Non l’avrei messa all’ora giusta, andava bene così.
La finestra della mia camera era aperta, le persiane accostate lasciavano entrare la luce della luna.
I raggi dell’astro fatato illuminavano i miei piedi nudi, alla fine del letto. Me ne stavo disteso, in mutande a guardare il soffitto, coricato sul mio letto, perfettamente sfatto. Presi il cuscino, me lo portai sul petto, lo strinsi forte al mio corpo, come avevo fatto con il suo corpo fino a poco prima.
Immaginavo che quel cuscino fosse ancora lei.
L’aria fresca solleticava il mio io nudo, dandomi un estremo senso di piacere. D’istinto, strinsi ancora di più il mio cuscino e lo baciai.
Il sole quel giorno ci aveva visti assieme e ora la luna mi aiutava a sognarla.
Lo strano copione della mia vita mi aveva messo sulla mia scena una rosa, soave e senza spine, una rosa da scolpire nei desideri.
Il ticchettio della mia sveglia continuava imperterrito a testimoniare che il tempo non si ferma un secondo. Che la vita è un continuo movimento. Quante volte ho voluto, poter fermare quel ticchettio, quante volte avrei fermato il continuo correre di questa vita, di questo viaggio.
Ed invece di tal potere non ne sono padrone. Posso solo essere uno dei tanti, uno di quei tanti che camminano incontro al loro destino. Ho sempre immaginato la vita come un viaggio. In una strada, ora con il suo rettilineo, e poi con le tante curve, su di una barca, con il vento che soffia leggero sulla vela, e con la nuvola nera che minaccia tempesta. Un viaggio.
E proprio quando sei convinto di essere ad ali spiegate, aperte per il volo, ecco che arriva il brusco atterraggio.
E in quel viaggio si fanno tanti incontri, esperienze, amori e dolori.
Io su i miei passi ho incontrato una rosa, ed ora con la mia fantasia la tengo stretta a me, in questa notte di un estate che mai vorrò dimenticare.
Non sento più alcun rumore. Se il sonno non mi avesse preso con sé, avrei sentito il campanile suonare i rintocchi dell’una e mezza. Ma l’eco di quel suono avrebbe raggiunto altre orecchie, non le mie, io stavo sognando.
Cantavo felice, una melodia che conoscevo solo io, e che nessuno avrebbe potuto comprendere e fare sua, perché apparteneva al mio cuore. Ero solo, camminavo piano in un prato verde, badando dove ogni mio passo andava a cadere. Non volevo calpestare il tesoro che mi circondava. Il sole era alto nel cielo e mi sorrideva. Una nuvola bianca, gonfia come panna montata, mi salutava con la mano. Una rondine, abbassò il suo volo, fece due giri intorno a me e poi tornò alta nel cielo. Ora sentivo suonare a festa un campanile, ma non vedevo la chiesa. Non vi era nessuno con me in quel prato. Ero solo con la natura. Un coniglio mi si mise davanti, si alzò sulle zampe, chinò la testa verso destra e poi se ne andò. Seguii la sua corsa, finché non sparì tra gli alberi. Ritornai con lo sguardo al mio cammino, ma un pianto mi fece fermare. Mi voltai e vidi uno velo nero al posto dell’orizzonte. Scacciai dalla mia vista quel momento, e quando i miei occhi tornarono a guardare avanti, vidi lei.
Era ai piedi di un ciliegio in fiore, sdraiata sotto la sua ombra, e mi aspettava.
Sorrisi al suo sorriso e mi misi a correre. La mia corsa era leggera, avrei fatto invidia al coniglio, che poco prima avevo incontrato. Vidi sulla mia strada una buca, e svelto la saltai a piè pari. Correvo forte, ma la distanza da lei non diminuiva. Crescevano dentro di me, l’ansia e la disperazione. Il fiato si era fato corto, e il mio passo pesante. Continuavo a correre ma con più fatica. Un’altra buca sul mio camino, e questa volta caddi. Più forte, ora, arrivava quel pianto alle mie orecchie, e sempre meno chiaro, il suono a festa di quelle campane. Il cielo si era fatto grigio, pronto a piovere, il sole era scomparso, ma lei era sempre là. Mi asciugai la fronte. La mia maglietta bianca era intrisa di sudore, ed il mio cuore aveva accelerato i suoi battiti. Basta, non avrei più corso.
Ma d’improvviso un raggio di calore e luce si abbatté sul mio corpo. Guardai in alto, ma il cielo ora tornato azzurro era orfano del sole. Soltanto guardando quel ciliegio vidi che il mio sole era lì sotto i suoi rami.
Con un balzo mi rimisi in piedi, di colpo ritrovai le gambe leggere e una svelta corsa. Sparì quel pianto e potevo udire solo un canto di gioia. La distanza, ora, era annullata e stringevo tra le braccia quella fonte di luce.
Mentre il ticchettio delle lancette della mia sveglia continuava imperterrito, io stringevo ancor più forte a me il mio cuscino.
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Ciao Massimo, hai davvero fatto viaggiare la mia mente! Mi fai fatto essere nel tuo racconto, farne parte. Mi sembrava di essere lì ad ascoltare la tua delicata narrazione. Complimenti!
Grazie mille davvero! Mi ha fatto davvero un grande piacere il tuo commento!