Una situazione anomala
Serie: Rimozione
- Episodio 1: Riflessioni di un terapeuta
- Episodio 2: Un bravo fratello maggiore
- Episodio 3: Una situazione anomala
- Episodio 4: Nebbie e incontri
- Episodio 5: La resa dei conti
STAGIONE 1
Confesso che, nei giorni seguenti, quella semplice affermazione di mio fratello mi costrinse a rivedere gli appunti delle sedute con Aida.
Prima di tutto, provai a contarle, per farmi un’idea del tempo che aveva passato a ripropormi sempre lo stesso disperato copione, senza quasi alcuna variazione.
Mi sorprese scoprire che erano passati ormai cinque mesi. Era incredibile che non ci fosse traccia del più piccolo cambiamento di scenario.
Se Aida diceva la verità (e non avevo motivo di credere il contrario) il suo rapporto con Lelù non era né migliorato, né peggiorato. Non solo: non c’era nessuna variazione neppure nei motivi ricorrenti dei loro scontri.
Era come se, dal punto di vista psicologico, Aida non avesse mai iniziato alcuna terapia.
Scoprire questo mi provocò, lo riconosco, un leggero sconcerto professionale.
Lo so che si suppone che, in qualità di loro terapeuta, ogni piccolo disastro nelle giornate dei miei pazienti debba in qualche modo scatenarmi lo stesso panico che scatena a loro; e io sono piuttosto bravo a far sembrare che sia così, naturalmente.
In questo senso, non mi sottraggo mai volontariamente all’empatia.
Ma diciamocela tutta: gli esseri umani sanno essere incredibilmente noiosi, soprattutto quando parlano di ciò che, a loro modo di vedere, li rende speciali.
Perciò sì, sono colpevole: mi capita di selezionare automaticamente, tra le storie che mi sfileranno nelle orecchie nell’arco della giornata, quelle alle quali presterò particolare attenzione.
Il commento di Luca mi aveva appena costretto a rivedere la posizione di Aida nella topten dei miei pazienti preferiti.
“Ho visto ‘Imago Mortis.’”
Non era vero; ma Luca mi aveva promesso di cercarlo, così l’avremmo visto insieme.
Aida mi sorrise stancamente; come se avesse tutt’altro a cui pensare, ma apprezzasse comunque il mio tentativo.
Ci mettemmo comodi, e la seduta si svolse più o meno come sempre; salvo che, questa volta, mi premurai di notare quanto il copione da lei messo in scena fosse ripetitivo.
Una specie di ossessione? Una coazione a ripetere?
Senza farmi notare, cercavo di controllare il suo modo di muovere le mani, e la direzione del suo sguardo, mentre parlava.
Alla fine della seduta, tentai una mossa azzardata.
“Mi piacerebbe molto conoscere Lelù.”
Lo dissi più che altro per introdurre un elemento di sorpresa in quello che mi pareva uno schema fossilizzato, per scuotere quella sua sicurezza, di sapere così bene cosa stesse accadendo tra lei e sua figlia.
Mi aspettavo una reazione fobica.
Se avevo interpretato correttamente i segnali, Aida riteneva di essere la sola persona adatta a stare accanto a Lelù. Nulla, nessun fallimento, avrebbe mai potuto convincerla della necessità di spezzare quel circolo vizioso, inserendo – Dio non voglia! – un terzo giocatore.
Si sarebbe messa in allarme e la sua difficoltà avrebbe assunto inevitabilmente una forma iperprotettiva – all’apparenza, di Lelù; in realtà, del territorio che loro due sole, fino a quel momento, avevano condiviso.
La buona notizia è che io sono un uomo. Fossi stato donna, non avrebbe perso tempo ad innescare una reazione psicologicamente tanto faticosa.
Mi avrebbe semplicemente aperto la gola con il tagliacarte sulla scrivania, l’avrebbe ripulito dal sangue e dalle impronte, e sarebbe uscita di scena.
Non credo che quest’esperienza le avrebbe tolto il sonno. Semplicemente, da lì in avanti, ogniqualvolta un’altra madre avesse affermato, in sua presenza, di essere disposta a tutto pur di proteggere il proprio figlio, avrebbe sorriso e annuito, come chi sa.
A fatica distolsi l’immaginazione dal mio cadavere (femminile) riverso sul tappeto dello studio debitamente imbevuto di sangue, solo per accorgermi che Aida nel frattempo se n’era andata.
Mi ero perso la sua risposta, se mai c’era stata.
Nei giorni successivi, m’imbattevo di continuo nei dati mancanti, una cosa che mi faceva diventare matto.
Di solito sono scrupoloso. Cerco di buttare un’occhiata dietro le quinte del racconto, analizzo in particolare ciò che il mio paziente non dice, ciò che manca alla storia. Spesso è lì, che si nasconde il mostro.
Con Aida, invece, ero rimasto incastrato in quella ripetizione sempre uguale di grida e di insulti, di fughe da casa, cui non faceva mai seguito alcun ritorno…
Dov’era il padre di Lelù? Qual era la sua reazione alle mattane della figlia?
Perché non c’era in Aida alcuna traccia di malcontento nei suoi confronti, o, al contrario, di iperprotezione per la sua figura assente?
Perché non diceva, come fanno tutte le donne che crescono i figli da sole ‘Ha tanto da fare, lavora sempre, quando torna è stanco…’, o qualcosa del genere?
Quella storia stava diventando un po’ troppo strana.
“Hai scoperto come aiutare Mamma Ritardo?”
Luca aveva preso l’abitudine di dare un nickname ai miei pazienti. Il punto di vista interpretativo era offerto dalla sua naturale spietatezza di adolescente.
Aida era diventata Mamma Ritardo in omaggio a quello che lui identificava come il suo tratto più caratteristico, vale a dire l’incapacità di comprendere Lelù.
“Scommetto che non fa altro che ripetere che non la capisce più…”
“Hai vinto.”
Mi versai un altro po’ di birra. Avevamo avuto pizza, per cena, e non mi ero sentito di negargli quella complicità tra maschi che prevede uno scintillare di lattine al centro del tavolo.
Ed eccoci qui.
Luca si portò il bicchiere alle labbra. Sospettavo che non andasse matto per il sapore, a giudicare da come arricciava il naso involontariamente in risposta allo stimolo. Ma la tentazione era comunque irresistibile.
“Perché ridi?”
“Così… Certe volte mi sembri tanto me, quando avevo la tua età.”
Preferì non commentare, cosa di cui gli fui sinceramente grato. Che razza di stronzate mi uscivano, di bocca.
Ero infastidito con me stesso, perciò mi sfuggì l’inizio della frase successiva.
“…perché quelli che dicono così di solito non ci hanno mai capito niente.”
Fui sorpreso dall’astio nella sua voce. Cercava forse di dirmi qualcosa?
“Ci sono parecchie cose strane, in questo caso” dissi, tanto per uscire dalla zona rossa. “Mi mancano un sacco di particolari…”
“Tipo per quale cazzo di motivo al mondo una madre dà a sua figlia il nome di una serial killer schizzata?”
Alzai il bicchiere, in un brindisi silenzioso alla violenza della sua capacità di analisi.
“Tipo. Sì.”
Avevo un piano, ma le settimane passarono e c’infilammo nel tunnel di coda dell’autunno prima che avessi il tempo di metterlo in atto.
Prevedeva, più o meno, di presentarmi a casa di Aida una sera, verso l’ora di cena.
L’ora tarda mi garantiva che, se anche Lelù non fosse stata in casa, di certo Aida mi avrebbe lasciato entrare per spirito di ospitalità. Questo mi avrebbe permesso di prendere nota di tutta una serie di dettagli della loro vita familiare, ai quali, dal mio studio, non avrei mai potuto avere accesso.
C’era sempre qualche rischio oggettivo nell’invadere la privacy di un paziente a quel modo. Ma io ero disposto a tutto; anche a giocarmi la carta della verità, se necessario.
Per essere deciso, ero deciso. Solo che rimandavo.
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Ma non è che allo psicologo è sfuggito qualcosa che succede a casa sua? Tipo tra sua madre e Luca?
non voglio essere iperprotettiva, ma a chi non sfugge quello che succede a casa sua? XD
Non so perché, ma comincio a immaginare che Lelù non sia in qualche modo reale
XD
““Hai scoperto come aiutare Mamma Ritardo?””
😂 😂
Ciao Sara, la tua è una delle serie che aspetto sempre con impazienza, e le aspettative sono sempre consone al risultato. Al prossimo episodio!
grazie mille! 4 in arrivo, e la conclusione è prossima… spero che mi riesca di coprire le tracce dello scioglimento fino all’ultimo… è assolutamente emozionante cimentarsi con un grande topos letterario, e mettici anche che per me è la prima volta in assoluto che oso tanto… mi farai sapere se ho vinto!
Fossi al posto del personaggio del racconto, proverei a capire il motivo di questi improvvisi “buchi” di attenzione. Capitano un po’ a tutti, ma un analista dovrebbe saperne comprendere le cause.
“Medico, cura te stesso…”
Bel racconto, come gli altri della serie. Leggo sempre con piacere questa storia, grazie!
esattamente quello che farei io… non credere che non abbia cercato di spiegarglielo, ma Davide è capoccione… fa quasi sempre di testa sua… XD