Una storia impossibile

Serie: L'Adelina


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: "chiedi l'autografo all'assassino." (S. Bersani)

Anche la psicologa aveva approfittato della pausa. La ritrovò alla macchinetta nel corridoio, l’espressione affaticata, pensosa.

“Si tratta di un meccanismo di difesa molto comune” spiegò, stancamente.

“Sì, va bene. Ma cos’è, che ha visto?”

Prima di rispondere, lei bevve un sorso di caffè dal bicchierino. Aveva l’aria esausta.

“Guardi, per ora bisogna prendere tutto con le molle… Il bambino ha una bella fantasia, di suo, capisce? Una buona cosa – una cosa fantastica, in effetti… Però, in questa specifica situazione…”

Gli rivolse un breve sorriso, come per scusarsi.

“Dice che c’era una donna, con un martello. La donna stava addosso al padre – anzi: a Papi, come dice lui… Ci doveva essere un rapporto molto stretto, fra padre e figlio, e questo non aiuta…”

“Sì, sì” la interruppe Luciano, affannosamente. “Ma la donna, chi è? L’ha riconosciuta, il bambino?”

La psicologa sorrise di nuovo.

“L’ha riconosciuta, sì – nel senso che l’aveva già vista da quelle parti… O, almeno, così dice.”

Bevve un altro sorso di caffè. Luciano fu quasi sopraffatto dall’intensità del desiderio che provava di strangolarla, lì, sui due piedi. Strinse i pugni e attese, stoicamente.

“Lui la chiama l’Adelina. Dice che è un fantasma.”

Alle otto e un quarto, la madre di Fausto piombò sulla caserma come un’aquila furiosa.

Non è mai una buona idea mettere nella stessa frase le parole figlio e polizia.

Il povero Sermonti stava facendo del suo meglio; ma Luciano, che ancora ciondolava per il corridoio in attesa di notizie dalla Scientifica, si precipitò a salvare la situazione.

“Signora? Sono l’agente Collalto. Ho effettuato io il sopralluogo alla cascina…”

“Dove cazzo sta mio figlio?! Dove lo tenete!!”

Doveva essersi fatta l’idea che fosse in arresto.

“Il bambino è di sopra, con gli agenti…”

Aveva calcato apposta sulla parola bambino, nel tentativo di trasmetterle la certezza che nessuno si sarebbe mai azzardato a fargli del male.

Chissà come, ottenne l’effetto contrario.

“Ha detto bene: bam-bi-no! Mio figlio è minorenne, agente! Se gli avete torto anche solo un capello…”

Una terribile intuizione si fece strada nella mente di Luciano. Bastò, da sola, a fargli spuntare decine di capelli bianchi.

“Signora, guardi che non siamo mica più negli Anni Settanta!” precisò, con la dovuta durezza.

Lei parve placarsi per un attimo. Evidentemente, ci aveva visto giusto: un’ex sessantottina.

Approfittò di quel rallentamento nel fiume di urla per dire in fretta ciò che aveva da dire.

Parlò del ritrovamento di Fausto, del fatto che il bambino era in evidente stato di shock, e della necessità di verificare le sue affermazioni. Le indagini erano già in pieno svolgimento.

“Suo figlio l’aspetta di sopra. Abbiamo pensato che non fosse un bene, per lui, restare qui in ufficio…”

“Indagini per cosa? Mi vuole spiegare che diavolo è successo?!”

Rammaricandosi disperatamente di aver lasciato andare la psicologa, Luciano cercò di darle la notizia con il maggior tatto possibile.

Era ormai metà pomeriggio.

Fausto era andato a casa con sua madre e Luciano era salito a riposare un paio d’ore, nella branda di Scianna.

“Serviti pure, tanto io tengo il turno di mattina…”

Ma non era riuscito a prendere sonno. Mentre trafficava con la macchinetta del caffè, erano rientrati dalla pattuglia.

Avevano una donna, tra loro. Ammanettata. Coperta di sangue, ghiacciata dalla nebbia e dallo shock. I suoi occhi incontrarono per un attimo quelli di Luciano, che per poco non lasciò cadere il bicchierino del caffè.

Uno degli agenti reggeva un sacchetto di plastica, di quelli per conservare gli alimenti.

Dentro c’era un martello da carpentiere, coperto di sangue.

Un ciuffo di capelli scuri, incastrato nel metallo, dalla parte aguzza, premeva contro la plastica del sacchetto, come la faccia di un prigioniero contro la sbarre della sua cella.

Scianna era l’ultimo della fila.

“Ma che è, Scianna?” chiese Luciano, avvicinandosi.

“L’hanno trovata nascosta in una delle vecchie stalle abbandonate, quasi in paese… Sembra che stesse cercando di venire in caserma, ma non sapesse la strada…”

“Ma… è la tizia che ha visto Faustino?”

Scianna sembrò attraversarlo con lo sguardo. Deglutì, prima di rispondere.

“Madonna du Carmine, Colla’… Che brutta storia…”

Avevano portato la ragazza in ospedale. A occhio e croce, ci sarebbe dovuta restare un po’.

Non era ferita; ma disidratata e affamata, questo sì.

“L’ho toccata, per aiutarla a salire in macchina… C’erano rimaste solo le ossa…”

Scianna si era seduto in uno degli uffici vuoti. Al riparo da occhi indiscreti, singhiozzava come un bambino. Luciano assisteva sconcertato alla scena, senza sapere cosa dire.

Era come se il suo cervello si fosse preso le ferie.

Scianna fu costretto a bere un bicchiere d’acqua, prima di proseguire.

Non poteva avere più di diciassette anni, la ragazza.

“È di queste parti?”

Scianna fece segno di no con la testa. Russa, forse, o polacca. Non avevano approfondito.

“Dell’est, insomma.”

“Documenti?”

“Niente. Glieli hanno tolti.”

“Una prostituta?”

Scianna fece segno di sì.

“Ma come, scusa! Perché ridurla a quel modo, allora?”

“Aspetta, Colla’! Questa qui è una tragedia in due atti…”

Via via che Scianna parlava, assumeva un’aria sempre più stralunata. Ma Luciano ascoltò, dal principio alla fine.

Ad una storia del genere, si doveva almeno questo.

Era arrivata tre anni prima. Solito copione: le sequestrano i documenti e la sbattono in strada.

C’era da crederle, quando ripeteva di non aver pensato che potesse andare così.

Insomma: era finita in strada, e c’era rimasta un bel po’.

“Almeno un paio d’anni. Batteva dalla parte di Rivadosso, in quelle frazioni lì. Una sera, la prende su un tizio. Gentile, le sembra. Paga in anticipo. Le offre da bere, in uno dei bar lungo la strada. La mattina, lei si sveglia in una specie di sotterraneo, con le catene ai polsi. Con lei, ce ne sono altre due.”

Luciano batté le palpebre. Era come se il mondo stesse tutto storto davanti ai suoi occhi.

Tipo film espressionista.

“Come, altre due?”

“Ma cosa sei, rincoglionito, Colla’?!” scattò Scianna. Picchiò la mano aperta sul tavolo. “Altre due donne!”

Luciano sussultò.

“Le altre due vittime di quest’estate?”

“Non proprio, no. Dice che una è rimasta là, quando lei è scappata… Non ha voluto provarci.”

“E come ha fatto a scappare?”

“Dice che la terza – la terza donna, dico… Quella è scappata prima di lei, e poi è tornata a prenderla.”

“Ma… quand’è successo?”

“E quand’è successo, Collalto? La notte scorsa, è successo…”

“Ma come, la notte scorsa! Ma… quella noi l’abbiamo trovata più o meno a metà dell’estate, con la gola tagliata!”

Gli occhi di Scianna parevano due pozzi neri. Era chiaro che era già arrivato alle stesse conclusioni.

Per qualche minuto era calato un silenzio pesante. Poi Scianna aveva scosso le spalle.

“È evidente che ci stiamo sbagliando… Ce n’è stata un’altra, ovvio… Magari prima…”

Scianna allargò le braccia, con aria incredula. “Minchia, Colla’! Va bene che è un posto di merda, ma mica siamo a New York City!”

Un’obiezione sensata. Il suo cervello la evitò e scartò di lato, lanciandosi su un’altra pista.

“Ci doveva essere qualcun altro, là fuori, che le ha dato una mano… Ma dov’era, mentre ammazzava quel poveraccio a martellate? Perché non l’ha portata subito qui, oppure in ospedale?”

“E io che minchia ne so, Collalto!”

“Ma, senti, Scianna, ragioniamo… Perché non è venuta subito qui, dopo che è scappata? Perché ha perso tempo ad andare fino alla cascina, ad attaccare il padre di Fausto?”

“Ce l’ha portata l’altra. Dice che, quando è entrata nel cortile, la porta di casa era aperta, e il martello stava per terra, davanti all’ingresso. La donna invece era sparita.”

“Sparita? Sparita dove?”

“Sarei più tranquillo, se lo sapessi.”

Di sotto, la caserma era in subbuglio. Il capitano stava sulla porta del suo ufficio, e organizzava la squadra incaricata di perlustrare la zona alla ricerca dell’altra donna prigioniera.

Luciano si mise a disposizione.

“Dovrei attaccare tra due ore… Tanto vale che resti.”

Lui annuì, serio.

“Va bene, ma te lo dico già: soldi per gli straordinari, non ce ne sono. Se sei ancora dell’idea, vai all’ospedale, dalla ragazza. Cerca di capire un po’ i dettagli, di questa faccenda. M’interessano soprattutto i tempi.”

‘A chi lo dici!’

“Comandi” rispose meccanicamente, battendo i tacchi.

“Resta in borghese, Collalto” aggiunse il capitano. “Ne ha già passate tante, poveretta…”

Gli parve di vedere una piega di compassione, nella bocca del superiore.

In portineria, mostrò il tesserino e chiese di lei. Ljuba, aveva detto di chiamarsi.

Un infermiere lo accompagnò fino alla porta della stanza.

“È inutile, sa? Ci abbiamo provato anche noi, a capirci qualcosa…”

“Parla così male?” chiese Luciano, sorpreso.

Di solito le prostitute dell’est imparavano in fretta l’italiano. Ma l’infermiere stava scuotendo la testa.

“Non è questo. È che la storia fa acqua da tutte le parti…”

Luciano bussò piano, prima di entrare.

Il viso di Ljuba era così pallido che risaltava contro il biancore del letto.

Luciano esibì nuovamente il tesserino. Gli occhi di lei erano vuoti di interesse. Sembrava che non si aspettasse più niente da nessuno.

“Sei qui per arrestarmi?” domandò.

Fece segno di no, con la testa.

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Discussioni

  1. E’ un passaggio ricco di movimento, azioni e battute ad effetto, tuttavia mi sento di dire che hai messo troppa carne al fuoco per essere un singolo episodio. Molti passaggi sono originali e creativi, ma si spengono se usi una sola frase per descriverle. A volte scrivere di più significa scrivere di meno. Meditiamo.