Una vita da prima pagina

Serie: Un destino (S)critto male


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Dopo aver lasciato Clara a fare i conti con il suo cuore spezzato, sono volata in Corea. Volevo proprio vedere che razza di "Adone" fosse questo Hyun-woo, capace di mandare in frantumi più cuori di quanto una musa possa contare.

«Nessun uomo può sfuggire al destino che gli è assegnato.»

— Omero, Iliade

Questa volta sarei rimasta nell’ombra, invisibile agli occhi, eppure più vicina di quanto si possa immaginare.

Arrivai nella camera di Hyun-woo prima dell’alba. Mi sedetti su una di quelle poltrone dal design assurdo, scomoda persino per me, e aspettai.

Alle sei in punto, la sveglia spezzò il silenzio e lui balzò giù dal letto come un soldato. Si lavò il viso, bevve un succo di frutta ed uscì, diretto in palestra.

Rientrò solo per una doccia veloce, fece colazione e uscì di nuovo.

Per fortuna non stava lavorando a nessun film, non avrei retto a una tortura del genere; sono abituata a ben altre rappresentazioni…

Lo attendevano, invece, i suoi collaboratori in un ufficio a Cheongdam-dong, per discutere di alcune campagne pubblicitarie, shooting per Vogue Korea, Harper’s Bazaar e persino un’intervista per Elle Men.

Che noia! Nemmeno noi muse, ai tempi d’oro, ci beccavamo giornate così.

A pranzo incontrò i colleghi del prossimo film: sorrisi tirati e battute noiose per spezzare i lunghi silenzi. Quanta formalità, mi stava per venire un attacco di orticaria!

Nel pomeriggio rientrò a casa per studiare il copione e, verso cena, arrivò un amico, un certo Ji-hoon. La prima persona interessante di tutta la giornata.

Si sedette a tavola con un sorriso e una bottiglia di Chianti in mano, mentre Hyun-woo sbirciava il suo piatto di tteokbokki.

«Ti è piaciuta Roma?»

«Ho avuto poco tempo per visitarla. Gli italiani sono molto solari e chiassosi.»

Hyun-woo iniziò ad assaporare i noodles, senza guardarlo.

«Ho visto che hai avuto un incontro ravvicinato con una tua fan.»

«Poverina, l’hanno spinta ed è caduta ai miei piedi. Mi sono limitato ad aiutarla, e la scena è diventata virale.»

Ji-hoon ridacchiò, spostando il bicchiere di vino verso di lui. «Le hai regalato cinque minuti di gloria.»

«Hai letto i commenti di Min-ji Kim?» chiese Hyun-woo, accigliato. «Quella non si lascia mai sfuggire l’occasione di sputare veleno.»

«Min-ji Kim… influencer da milioni di follower, nota per due cose: il contouring e le frecciatine velenose. Beh… sei l’uomo che tutte sognano. Cosa ti aspettavi? Deve trovarti un difetto.»

«Una donna sana di mente ci penserebbe due volte prima di stare con me! Sono anni che non faccio una passeggiata a Myeong-dong o a Incheon. Giro il mondo, ma non ho l’opportunità di conoscerlo.»

Ji-hoon sorrise, inclinando la testa.

«Quando hai detto che volevi fare l’attore, non ti credeva nessuno. Bello, ma già ai tempi del liceo eri un tipo solitario. Quando vedo i tuoi spot per Dior o Givenchy, stento a riconoscerti. Lì sembri sicuro, sexy. Ecco la fregatura!»

Hyun-woo allungò le gambe sotto il tavolo, scivolò un po’ sulla sedia e incrociò le braccia. Si chinò verso l’amico, fissandolo.

«Pensi che, in condizioni normali, nessuna donna mi sopporterebbe?»

Ji-hoon alzò gli occhi al cielo, senza perdere il sorriso.

«Sei noioso. Quando sei libero, o stai leggendo o sei a pesca. Non ti piacciono i locali affollati né i posti rumorosi. Ti ricordi di Hye-rin? Diceva sempre che, quando proponeva qualcosa, tu rispondevi sempre di no. Se lei moriva dalla voglia di vedere Kusama, tu cosa facevi? Scappavi a qualche noiosissima mostra di Hopper. Da solo, ovviamente.»

«Se a lei piaceva Kusama, perché rinunciare solo per farmi piacere? Volevo che capisse questo.»

Ji-hoon alzò le mani in segno di resa.

«Non usarlo come scusa. Non ti piaceva, ammettilo! E non parliamo di Soo-jin. Ti sei fissato per mesi, poi hai lasciato perdere appena si è sparsa la voce che stava uscendo con un altro.»

«Ci vuole più di un bicchiere di vino per farmi parlare di Soo-jin. È la ragione per cui non voglio stare con una donna di questo ambiente.»

Ne avevo abbastanza. Il peso della noia e della frustrazione mi spinse ad alzarmi.

Presi in braccio uno dei suoi gatti, Mocha, e iniziai a girare per la casa.

Viveva in un attico a Hannam-dong, un quartiere esclusivo di Seoul. L’odore del legno di paulownia impregnava l’aria, mescolandosi al vago sentore di carta da libri. Due immense vetrate inondavano la sala di luce opaca, rendendo i confini dello spazio evanescenti.

Una casa perfetta, troppo perfetta. 

Divanetti bassi in tessuto naturale, un tavolino centrale in ceramica smaltata, una libreria a muro con nicchie che custodivano oggetti d’arte e libri, in inglese e coreano.

Una casa priva di calore.

Passai accanto a una piccola scrivania orientata verso il panorama: sopra c’erano fogli sparsi e una penna stilografica abbandonata accanto a una tazza vuota.

Sulla sinistra, la cucina si apriva in un unico spazio con l’isola centrale in pietra scura e gli elettrodomestici a incasso: linee pulite, moderne, troppo fredde per sembrare vissute.

Clara avrebbe saputo riempire questo spazio di risate, di profumi, di colori. Come aveva fatto con la mia esistenza.

Rivolsi un ultimo sguardo ai due amici ancora seduti a tavola e mi diressi verso la camera da letto.

Prima di entrare, mi fermai davanti a uno specchio.

«Moirania, sei sicura di quello che stai facendo?»

«Stavo per farti la stessa domanda.»

Mi voltai di scatto e vidi una delle mie sorelle: Erato. In piedi, appoggiata allo stipite della porta del terrazzo, con la sua tunica bianca e i capelli rossi agitati dal vento.

«Sei un po’ pallida, sorellina. I tuoi occhietti da cerbiatto sono spenti. La permanenza sulla Terra non ti fa bene.»

«Cosa sei venuta a fare?»

Erato scosse la testa.

«Moirania, ti diverti a complicare le cose. Non finirà bene.»

La sua voce era morbida, ma si scorgeva una certa amarezza.

Feci un passo verso di lei, d’istinto.

«Lui vive in una gabbia dorata, si sta spegnendo a poco a poco e Clara sta vivendo un inferno per colpa sua.»

Erato ascoltò in silenzio, poi si avvicinò e mi accarezzò il viso.

«Non metterti contro Calliope. Hai dimenticato la promessa che le hai fatto.»

Esitai un attimo prima di rispondere. «Voglio solo migliorare le cose.»

Lei sospirò.

«Sei sempre stata la più testarda.»

«Meglio testarda che spettatrice indifferente del loro dolore.»

Erato non rispose. Le sue mani si sollevarono in quel movimento sospeso tra resa e ammonimento. Poi, si volse e scomparve come se la notte l’avesse risucchiata.

A quel punto seguii il suo esempio.

La mia parte in questa storia era appena cominciata

Serie: Un destino (S)critto male


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Discussioni

  1. Sono sincera: più che un adone, questo nostro attore mi pare una persona come molte altre. Di quelle ‘ingabbiate’ in una vita che sta loro stretta. Ha tutto, ma sembra che gli manchi il necessario per respirare. Non lo vorrei definire un insoddisfatto, perché in realtà di lui mi sono fatta un’idea positiva attraverso gli occhi della nostra Musa. Direi piuttosto che si ritrova in una situazione tipo ‘centrifuga’ dove viene sbatacchiato di qua e di là, pur non avendone voglia. Insomma, diciamo che io sono dalla sua parte 🙂
    I dialoghi di questo capitolo sono, a mio avviso, condotti particolarmente bene, come un continuo buttarsi la palla fra i due interlocutori. Questa storia si fa leggere davvero bene!

  2. Mi piace tantissimo come si stanno mescolando la parte “mitologica” a quella attuale. Presi come siamo dai vari social, video, posto, ecc ecc, ci stiamo scordando parti importanti di noi e della nostra storia. Queste muse calate in un mondo di influencer oltre ad essere un’invenzione davvero originale, mi stanno apparendo come una sorta di nuove eroine venute da lontano. Una boccata di aria fresca e positiva. Davvero brava, compimenti 🙂

    1. L’ idea è di fare incontrare due mondi: il nostro, dove le opinioni si esprimono con un limite di caratteri, le emozioni con gli aggiornamenti di stato, e le battaglie si lasciano sempre agli altri. Con quello classico, fatto di filosofi, dibattiti e lotte il riconoscimento della propria identità. Con un pizzico di fantasia e i limiti dell’autrice.