
Uno scudo sull’anima
Irene non aveva mai creduto di poter provare una tale gioia. Il fiato corto, le gambe tremanti, tutta una vita davanti, una vita che le sorrideva e le faceva l’occhiolino.
Aprì il cancello che introduceva al vialetto, arrivò davanti alla porta verniciata di blu scrostato e si fermò un attimo, solo per riprendere fiato, solo per riordinare le idee e togliersi dal volto quel sorriso felice che avrebbe causato una valanga di domande.
Facendo piano, entrò in casa; strusciando le scarpe sul tappeto consunto, tese l’orecchio. Tutto tranquillo, tutto come al solito.
La porta del salotto, aperta, le permise di intravedere suo padre sprofondato nella poltrona e sua madre addormentata sul divano.
Dallo schermo tutto verde della televisione, arrivavano gli strilli di un commentatore sportivo. Il calcio era il programma preferito del padre e, per nessuna ragione, avrebbe perso una partita della sua squadra del cuore anche se, a conti fatti, guardava tutte le partite che trasmettevano. Ad intervallo regolare, come una nota di sottofondo, si alzava il russare leggero della madre.
Lasciato il salotto alle spalle, Irene salì le scale che portavano alla sua camera e si sentì fortunata.
A lei non sarebbe mai toccata quella sorte, il suo Stefano non l’avrebbe mai costretta a fare quella vita.
Sua madre parlava sempre con orgoglio del marito, quasi lo idolatrava. Ad amici e parenti, raccontava che il marito restava a casa quasi tutte le sere, sorvolando sul fatto che lei non aveva alcuna voce in quel capitolo.
E chissà perché, quando lui usciva, non la portava mai con sé, preferendo trascorrere quelle ore di libertà per conto proprio. Anche in quel caso, la madre finiva sempre per giustificarlo. “A me non piace uscire, preferisco stare a casa e guardare la televisione” ripeteva come un disco rotto e con il tono convinto di chi, ormai, crede alle bugie che ha raccontato per troppo tempo.
“Sarà!” si disse Irene, chiudendo piano la porta della camera.
Dopo essersi tolta le scarpe, arrivò alla finestra con passo felpato. Per difendersi dalla curiosità della madre, Irene aveva imparato, ancora bambina, a muoversi come un fantasma. Meno si faceva notare e minore era la possibilità che venisse tempestata con domande subdole e irrefrenabili.
Come avrebbe trovato il coraggio di guardarla negli occhi e dirle che stava per sposarsi, ancora non lo sapeva.
Non avrebbe sopportato di leggere, nel suo sguardo, il piacere e la convinzione che anche la figlia avrebbe trascorso le sue serate addormentata sul divano, la soddisfazione che anche lei aveva finito con il cedere ad un uomo che le avrebbe fatto fare la sua stessa fine. Nella sua mentalità gretta, quello era il destino di molte donne.
Ma Irene non sarebbe mai stata succube di Stefano.
Almeno in apparenza, Irene aveva un carattere troppo forte e deciso per finire così.
Sdraiandosi sul letto, con la brezza leggera che sollevava le tende e le solleticava la pelle accaldata, permise ad una lacrima di rigarle il volto. Era raro che piangesse. Piangere, era un segno di debolezza, le avevano insegnato, anche se non a parole, fin da piccola e così lei non piangeva mai, almeno non davanti ad altre persone.
In cuor suo, Irene sapeva di non essere forte. Quel carattere deciso e a volte duro era solo una facciata, il retaggio della pusillanimità della madre, uno scudo che aveva costruito con il tempo. In principio, si era servita di quello scudo solo per sfatare la paura di poter diventare come la madre; poi, quello scudo le si era incollato sull’anima, soffocando la sua vera natura, facendola apparire quella che non era.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa
La scrittura di questo testo è molto accurata e pulita. Particolare attenzione all’uso della punteggiatura, che personalmente apprezzo in particolare. Si percepisce l’impegno dell’autrice, l’attenzione dedicata e non può che far piacere a chi legge.
Interessante lo spunto, un approccio psicologico che alla fine resta, in qualche modo, sospeso.
Mi permetto di suggerire, con la massima umiltà, di proseguire in una serie poiché scorgo interessanti potenzialità.
A rileggerti presto, Kristina.
Grazie, Roberto, per il commento e per il suggerimento. Ci penserò.
Per quanto riguarda la punteggiatura, devo confessare che era una battaglia che perdevo sempre.
Odiavo così tanto le virgole che, inconsciamente, le eliminavo tutte. A parte gli scherzi, vorrei dire che mi aiuta molto leggere ad alta voce.
A presto
Un tratteggio puntuale di una quotidianità vicina a molti. Le speranze, il desiderio di non ripercorrere i passi dei genitori e rendere la nostra vita migliore al di là delle ipocrisie e degli “accontentarsi”. Attendo con curiosità i prossimi episodi
“ripeteva come un disco rotto e con il tono convinto di chi, ormai, crede alle bugie che ha raccontato per troppo tempo.”
Una realtà molto triste e diffusa
Salve Micol
grazie per i tuoi commenti.
Speranza, ipocrisia e tristezza sono temi che tratto spesso nei miei racconti, forse perché non è difficile sbatterci il naso.
A presto