
Verità Nascoste
Il ticchettio dell’orologio a pendolo scandiva il tempo con una precisione che pareva minaccia. Nella villa sul lago, le ombre si allungavano sui tappeti persiani e sulle pareti cariche di quadri antichi, trofei, reliquie di una guerra ormai lontana.
Muzio, l’ex partigiano, sedeva nella sua poltrona preferita. Lo sguardo era quello di un uomo che aveva ucciso, nascosto, aspettato. Davanti a lui, il Dottor Caligary, in abito scuro, mani affusolate, occhi troppo lucidi per un semplice accademico.
«È davvero lei, allora,» disse Muzio, accendendosi una Nazionali senza filtro. «Il professore del Politecnico di Zurigo. Dicono che parli sei lingue e che non insegni nulla.»
Caligary sorrise appena. «Insegno a chi sa ascoltare. E vengo da chi ha conservato la memoria.»
«Memoria o segreti?» Muzio soffiò il fumo verso il soffitto. «Quella borsa non è solo storia. È rovina. Sangue, tradimenti.»
Caligary annuì. Non chiese di vedere la borsa. Non ancora.
«So cosa contiene. Ma non è per quei documenti che sono venuto.»
Il professore si sporse leggermente in avanti. La sua voce era un sussurro: «Nascosto nella fodera del fondo. Cucito con filo militare. Un piccolo disco inciso. Celluloide. Lo misi lì io».
Il silenzio che seguì fu pesante come piombo. Muzio schiacciò la sigaretta.
«Lei era a Dongo.»
«A Roma. E quella borsa… doveva finire altrove. Lei l’ha strappata al destino. E adesso il tempo è tornato a bussare.»
Muzio si alzò. Zoppicava leggermente — una vecchia ferita fascista — e andò verso l’armadio blindato. Aprì la cassaforte, prese la borsa. Tornò, la posò sul tavolo. Il cuoio scricchiolò.
«E cosa offrirebbe per questo… disco?»
Caligary aprì una valigetta sottile. Ne estrasse una tela avvolta in una garza di lino. Quando la srotolò, il silenzio si fece ancora più denso.
**L’Isola dei Morti**. Böcklin. L’originale. Quella che stava nel Reichskanzlei, sopra la scrivania di Hitler. Rubata dal Kunstmuseum di Basilea solo poche settimane prima.
«Come l’ha avuta?» chiese Muzio.
«Come lei ha avuto l’oro di Dongo.»
Il vecchio rise senza allegria. «Con la differenza che io l’oro l’ho tenuto. Lei vuole solo riprendersi qualcosa che già le apparteneva.»
Caligary fece un cenno. «Quel disco contiene un codice. Una voce. Una confessione registrata. Mussolini, poco prima della fuga. Non ufficiale, non firmata. Ma autentica. Parla dei patti con Churchill, dei fondi svizzeri, dei conti cifrati. E della vera ragione della sua corsa verso la Valtellina.»
Muzio si passò una mano sulla faccia. Gli occhi, stanchi, si fecero taglienti. «E lei vuole tenerla segreta? O usarla?»
«Ha importanza?.»
«Troppo comodo,» sibilò Muzio. «Io ho tenuto tutto per anni. Ogni tanto, qualcuno bussava. Una volta anche il Vaticano. Ma mai nessuno ha chiesto il fondo della borsa.»
«Perché solo io sapevo dov’era nascosto.»
Muzio prese un coltellino, con calma e incise la fodera interna. Poi infilò le dita e tirò fuori un dischetto scuro, grande come un posacenere.
Muzio guardò la tela. I cipressi, la barca, l’acqua nera. L’eternità dipinta con mani di un morto. Poi guardò il disco.
Disse piano. «Io le do il disco. Lei mi lascia la tela. Ma i documenti restano a me.»
Caligary esitò. Poi annuì.
Il vecchio chiuse il disco in una scatola di metallo. Caligary arrotolò con cura la tela.
Quando fu alla porta, si voltò.
«Sa cosa c’è in quella confessione, Muzio?»
«Parla di un patto per garantire l’impunità. Di nomi. Alcuni… vivono ancora.»
Muzio non rispose. Il professore uscì, inghiottito dal buio.
Il vecchio tornò a sedersi. Guardò la tela. Era inquietante, sì. Ma affascinante. Forse perché, come la verità, non aveva un posto nel mondo dei vivi.
Fuori, il lago si muoveva lento. E nella villa, si senti rimbombare un colpo di pistola, nella stanza piena di storia, ricordi e sangue, l’orologio riprese a battere. Come se il tempo, finalmente, avesse ricominciato a scorrere.
Avete messo Mi Piace1 apprezzamentoPubblicato in Narrativa
Un racconto teso e raffinato, in bilico tra noir e memoria storica. Un dialogo magistrale, carico di sottintesi, che scava nella coscienza e nella colpa, fino a un finale di potente, silenziosa resa.