Villa Torretta

Son nato in cascina. L’era inizio del novecento.

Si chiamava Cascina Torretta e stava lì ne la campagna al confine tra Cinisello e Sesto San Giovanni.

Ah, quando ero piccolo ne ho sentite di storie su la cascina!

I vecchi raccontavano che la casa padronale fosse financo appartenuta alla regina Teodolinda, che io m’immaginavo vecchia come Matusalemme, ché ne parlavano come fosse ancora viva; dicevano che c’era un passaggio segreto che portava da lì fino a Monza, e che la regina lo percorreva per venirci dalla sua corte. Ma per quanto abbiam cercato, cogli amici quando s’era bagaj, non s’è mai trovato il buco d’ingresso.

Non c’era solo la casa padronale. Fin da che mi ricordo, disposte a far quadrato, c’era altre case, e poi le stalle con sopra i fienili. La corte divisa in due parti: una grande che era l’aia dei contadini e una più piccola che era l’ingresso padronale, dove i sciori arrivavano con le carrozze. In un angolo, nell’aia, c’era anche il capanno per gli attrezzi da lavoro. Quando son nato io, il lavoro l’era ne i campi.

E quand che te sé on fioeu, par che tutt el sia gigant, gli spazi che sembra enormi e anche i campi attorno alla cascina arrivavano all’orizzonte.

Dopo, che oramai seri on fiolòt, l’è rivada la Breda: e l’è cambià tutt.

La Torretta l’era ‘na grande cascina e quando ero on bagaj di famiglie ce n’era cinquantasei o cinquantasette… oh, ma di quelle che gli ultimi nati li chiamavano Tredicini! Io nella mia di famiglia stavo nel mezzo, e come una pietra miliare, el mè papà el m’ha ciamà Sisto: e l’è stato preciso, ché alla fine eravamo dodici tra fratelli e sorelle. Anche se, devo dire, che c’ho sempre invidiato il nome al mio amico Olmo, ché lui aveva il nome di un albero che ho sempre amato. Ce n’era uno alto venticinque o trenta metri, fuori la cascina: l’era ona bellezza d’estaa sonnecchiare alla sua ombra.

In definitiva però, quel che volevo dire è che la Cascina Torretta era un piccolo paese.

Alla Breda si faceva aeroplani, per due guerre mondiali. Alcuni proprio belli, altri subito dimenticati. Ma quello che la Breda ha fatto davvero è stato di cambiare le persone che vivevano lì, accanto a quell’aeroporto, che da contadini è diventati operai.

E ne sono arrivati altri di contadini, da farci operai: prima del ’33 c’erano solo i Torrettiani veri, poi son venuti su i terron, che una l’ho sposata io. Nella casa padronale han controsoffittato il salone delle rondini e c’han messo sei famiglie, poi anche il salone degli stemmi, e dentro altre sei famiglie: che si è arrivati a quasi settanta di famiglie con la Breda a pieno regime. Ma dopo, di spazio non è bastato neanche quello, e hanno aperto l’Albergo Breda, ch’el ciamaven “el Cagnaro” con cencinquanta posti da dormire.

Della famiglia di mia moglie eran venuti su solo lei e ‘l papà, eran di Bari. Ricordo che lei diceva che a Cascina Torretta li hanno accettati subito anche se erano “terroni”. Il padre lavorava alla Breda, lei alla Pirelli, ma l’era ammò gent de ‘na cascina: anche se non aveva passato la loro giornata nei campi, ma in fabbrica, la sera ci si trovava sotto il portico a bagolare.

Negli anni sessanta, la proprietà aveva lasciato andare in malora la Cascina e, un po’ come tutti nel dopoguerra, si sentiva di bisogno l’avere una casa propria, privata e confortevole e così nel ‘63 l’è nata la cooperativa che alla periferia di Sesto ha costruito TOR1, la prima di altre che poi han tirato su, di case di dodici piani con un sacco di appartamenti che hanno ospitato le famiglie che aveva aderito. Sotto, al posto dell’aia c’era un giardinetto coi giochi dei bagajin.

La Cascina Torretta, abbandonata: fu sprangata, lassada alla malora del tempo.

Dopo che le ultime famiglie se n’è andate, tra queste la mia, nella seconda metà degli anni 60, quel luogo diventò una discarica: il fantasma di una casa un tempo fiorente e produttiva. L’unico segno di vita era la presenza di sfascia carrozze, qualche orto con le baracche di lamiera. Ah, certamente: c’era anche puttane e spacciatori!

È nel ’75 che l’è rivàa el Parco Nord, ma solo nell’80 han comprato dalla Breda i primi terreni, tra i quali anche la cascina, ma dovrei dire il suo rudere.

El progettista, e allora direttore del parco, diceva che la Torretta al parco “ce l’hanno rifilata” ché il Comune di Sesto, come la Breda, non se ne voleva occupare. Finché un giorno, un disgrazzià colla Cinquecento esce di strada, e va a sbattere contro il vecchio fienile e lo fa crollare. È allora che la “Sovrintendenza delle Belle Arti” fa “un’ingiunzione di ripristino” di tutta la zona. E la Cascina, a l’improvviso, torna a esser ‘na Villa.

C’è volute due guerre e le storie di tanta gente, alcune finite bene come la mia, altre meno fortunate, ma alla fine quella casa l’è tornada com’era. Che può anco esser visitata senza quello che ricordo io: l’odor di piedi e del sudore.

Ma non cercate il passaggio segreto: ché quello non c’è.

Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Bello come io non riesca a decidere se sia proprio quella punta di amaro a rendere tutto così genuinamente dolce. Mi è piaciuta molto anche la scelta del linguaggio. Complimenti Paolo!

  2. Quanta nostalgia in questo bellissimo racconto che diventa emozione e ricordo. Non sono di lì, però i luoghi li conosco bene e un po’ anche, ammetto, li preferisco alla mia Franciacorta. Ne hai quasi fatto un’ode, sicuramente un affresco da guardare con gli occhi oltre che da leggere. Gli inserimenti dialettali e sgrammaticati della parlata popolare arricchiscono ancora di più il tuo racconto. Complimenti, davvero bello ☺️