Vita con Edo

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Il poeta racconta ai suoi amici del suo arrivo traumatico a Praga, della fuga di suo padre con una cameriera, del suo smarrimento e dell'incontro risolutivo con Edo, un agente della polfer appassionato di letteratura e di poesia, che accetta di ospitarlo per qualche tempo nella sua abitazione.

«Edo cucinava benissimo. Non era soltanto un uomo di cultura e di treni. Io mangiavo tutto con appetito, poi ripulivo le camere, gli facevo i piatti e ritornavo affamato alle mie letture solitarie. Una sera arrivò a casa con dei nuovi libri, che aveva scovato in una vecchia bottega di antiquariato. Cominciai a sfogliarli con avidità. C’erano Pavese, Bufalino, Gatto, Gozzano, Corazzini, Bertolucci, Soldati, Cassola, Sanguineti, Zanzotto, alcuni saggi di Cioran e uno sui poeti Crepuscolari, di un’edizione minore, che divorai in poche ore e che rilessi da capo a fondo, per diversi giorni di seguito. In quel periodo provavo una sorta di sereno diffuso, sempre crescente, appagante, lo stesso che mi prese all’esamino di licenza media, quando sfoderai il mio saggio visionario su Montale, come entrambi ricorderete, soprattutto tu, Ariele. Quando lui era a lavoro, io leggevo e ripensavo a mia madre, alla sua improvvisa follia come a un malinteso che l’avrebbe resa agli occhi degli altri la persona pericolosa che in fondo non era mai stata. Se fosse passata a trovarmi a Praga, le avrei parlato a lungo del mio poetare come di una malattia grave e luminosa come la sua, che alla fine ci avrebbe avvicinati e avvinti, più di quanto ci separavano le nostre distanze, in apparenza incolmabili.

«Uscivo poco. Quando Edo non era in casa mi piaceva rendermi utile e rimanere a leggere e a scrivere qualcosina di mio. Ma le cose che scrivevo non erano belle come le pulsioni che sentivo dentro, dal profondo, prima di buttarle giù, o come quelle che saggiavo leggendo gli scritti meravigliosi degli altri. La sensazione di dover esprimere qualcosa che durava attimi e che non mi godevo mai, perché mi prodigavo subito per dargli una forma e una definizione, era l’unica parte autentica di me, rispetto al prodigio labile dell’impulso ormai consumato, amici, dove compariva una lingua che in automatico detestavo e rinnegavo con tutto me stesso, come la peggiore mai ascoltata, credetemi. A fine sessione tutto da buttare, insomma, e non esagero. Mi sentivo un poeta stupido, inutile.

«Verso sera, quando Edo mi chiedeva come avessi trascorso la giornata, oltre a pulire la casa, a sprofondare nei suoi libri e a preparare la tavola, tentavo di spiegargli la natura del mio malessere, legato sopra ogni cosa al ribrezzo per il mio linguaggio poetico, che avvertivo ancora distante dalla purezza del primo impulso, come gli ripetevo, mentre lui mi rincuorava, dicendomi che era tutto normale e che non dovevo preoccuparmi oltre misura, dal momento che il poetare rimaneva un mistero impenetrabile, spesso doloroso, e che chi non lo trattava con il mio senso di abnegazione e responsabilità, non sarebbe mai diventato un vero poeta, ma solo un poetastro, uno scribacchino, un dilettante da due soldi delle parole scritte. Cercava in tutti i modi di incoraggiarmi, invitandomi a guardare avanti, senza farmi condizionare dal lato cupo e inconsolabile della poesia immaginata, che in fondo mi toccava e al quale avrei dovuto adattarmi. Non avevo scelta. Spesso, di ritorno dal lavoro, mi portava della buona carta, molto ruvida, sonora, adatta per la scrittura in versi per via delle risonanze del tratto, secondo lui, e poi un quaderno a righe per i miei appunti di lavoro creativo. Era felice di avermi come compagno e confidente – in realtà era una persona profondamente sola, me ne accorgevo ogni giorno di più. Oltre al suo lavoro, non vedeva e non sentiva nessuno. Non aveva amici. Una sera mi confessò di aver tentato come me la strada del poetare, e che grazie al nostro incontro gli era tornato il desiderio di riprovarci. Qualche suo verso era stato pubblicato su una rivista di Praga, dal nome Tactus, che si occupava della nuova poesia, ma che dopo quel suo primo contributo non era accaduto nulla di significativo, e allora lui aveva smesso, non trovando più stimoli, ma solo il vuoto dell’indifferenza.

«Perché non me lo hai mai detto?» gli chiesi, e lui, arrossendo, mi spiegò che era un’esperienza passata che gli creava grande disagio e continue apprensioni al solo rievocarla. Mi precisò che aveva preferito conoscermi meglio e approfondire la mia dimensione, prima di aprirsi del tutto ed entrare nel merito del suo desiderio di poesia, che vedeva simile al mio sentimento di resa e di ispirazione che mi caratterizzava.

«Che cosa sarebbe una dimensione, me lo spieghi, Edo?» gli chiedevo, e lui: «Un mondo di una persona, dove si forma la sua voce. La sua voce naturale. Io sono certo che tu la abbia, e non ti nascondo che sarei contento di scrivere al direttore della rivista di Praga, che non sento e non vedo da diverso tempo, prima di smettere di poetare, e di parlargli a lungo di te, della tua voce».

«Le parole di Edo mi misero una grande agitazione. Non riuscivo a saziarmi della sensazione gioiosa che mi evocarono, da quando aveva cominciato a parlarmi della rivista Tactus, della nuova poesia di Praga e del suo misterioso direttore. Provavo una sensazione di benessere diffuso, che si intrecciava allo smarrimento, come alla tensione e alla paura di fallire e deludere le aspettative di un amico speciale e sensibile come lui, oltre al senso di colpa di approfittare del fallimento di una persona così generosa, per prendere il suo posto con le mie timide prove in versi liberi. Gli balbettai delle insensatezze, tra un ringraziamento commosso, un lieve rifiuto, lo scrupolo perché lui preferisse cedere proprio a me uno spazio che gli sarebbe spettato di diritto, insomma, amici, dopo avergli detto troppe cose insieme, e in fondo nessuna, come mio solito, lui mi sorrise e mi rasserenò, osservandomi come un uomo avrebbe guardato il suo primo figlio uscire da scuola e consegnargli una bellissima pagella, dicendomi che sarebbe stato davvero felice se la rivista avesse ospitato i miei versi, e che più avanti ci sarebbe stato anche lo spazio per i suoi, se avesse mai ritrovato il fuoco dello scrivere, ormai estinto, come mi sussurrò a testa bassa, chiudendomi una mano nella morsa della sua.»

Serie: Anatomia sepolcrale di un sogno


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Discussioni

  1. “«Che cosa sarebbe una dimensione, me lo spieghi, Edo?» gli chiedevo, e lui: «Un mondo di una persona, dove si forma la sua voce. La sua voce naturale.”
    Con la figura di Edo, sei riuscito a farmi immaginare esattamente come dovrebbe essere un buon educatore quando fra le mani si ritrova un giovane che sta formando la propria natura. In un certo senso, noi adulti dobbiamo considerarci tutti degli educatori anche se non agiamo strettamente in ambito scolastico. I bambini e i ragazzi ci guardano e imparano da noi. Edo dimostra di avere valori morali molto radicati, rispetto per l’intelligenza altrui, la giusta dose di umiltà e quella voglia di compiere lo sforzo, spesso difficile, di incoraggiare continuamente chi sta crescendo a fare sempre meglio, secondo le proprie predisposizioni e natura. Gli ultimi due capitoli li ho letti come fossero un lungo monologo del protagonista che ho immaginato seduto a quel tavolo, e di fronte a lui due interlocutori che forse non lo sono affatto, quanto piuttosto impegnati a mangiare. La tua serie continua ad affascinarmi e non so dove ci porterai. Complimenti sempre.

    1. Rieccoci in quest’altra camera. La tua inquadratura dimensionale tra i personaggi mi trova concorde. Edo è forse il padre che il poeta non ha mai avuto, e in qualche modo rivela anche dei tratti di maternità soffusi. L’amore per la letteratura e in particolare per la poesia, rappresenta uno strumento di esplorazione e di evoluzione per entrambi, ma è innegabile la forte corrente educativa dell’esperienza maturata dal giovane all’interno della convivenza, che lo segnerà per sempre e da più angolazioni.
      La casa solitaria e silenziosa dove il poeta trascorre le sue lunghe ore del giorno in attesa del ritorno dell’amico, è una zona mistica di incubazione, una culla magica e polverosa, dove riaffiorano i fantasmi del passato e i terrori di un futuro ancora sbiadito, incerto, forse impossibile.
      L’urgenza di raccontare questa fase cruciale ai suoi amici, nella sua camera d’albergo, incontra solo una zona di incantamento fanciullesco e transitorio, la tipica sospensione di incredulità, ma non quella compenetrazione di intimità che il poeta ricercava e che per la prima volta nella sua vita aveva collaudato con una persona come Edo, che si era a preso a cuore i suoi sogni e le sue speranze. Questi elementi condurranno poi verso altre zone di scambio, dove ciascun personaggio troverà delle nuove chiavi di lettura e di visione della sua realtà, offrendo anche e noi delle prospettive inattese. Grazie dei tuoi spunti, sempre fecondi e luminosi. Un saluto.

  2. Particolare l’incontro tra queste due figure, Edo e il poeta, che apparentemente vengono da due mondi completamente diversi, eppure nel territorio della poesia riescono a incontrarsi e trovare terreno comune. I primi esperimenti fallimentari, la vocazione per la scrittura, la profonda solitudine li accomunano e danno loro l’opportunità di crescere, di rimettersi in gioco.
    Devo confessare che la figura del poeta mi è sempre risultata un poco “ostile”. Lo percepivo come una sorta di presenza destabilizzante, venuto a minare l’equilibrio degli altri personaggi. ora, leggendo questa “genesi” inizio a capirlo, a provare per lui una nuova empatia.

    1. Ciao, Dea. Quella tra Edo e il poeta è un’amicizia davvero singolare, che si sviluppa sui territori comuni dell’ immaginazione e della creatività, sopperendo alle distanze più concrete dei loro mondi visibili.
      Sul poeta hai centrato un elemento molto importante: il suo dualismo. Fin dal suo arrivo, il suo comportamento anomalo, difficile da cogliere, rappresenta una nuova focale sui personaggi e sulle loro rispettive interiorità e dimensioni. Una lente trasversale da cui si formeranno dei sostrati paralleli di rielaborazione della realtà oggettiva condivisa, in particolare su uno dei componenti del trio. Lungo il corso della serie accadrà anche un cambio drastico di punto di vista narrativo, che evidenzierà meglio questo singolare processo, oltre all’identità del personaggio che erediterà la funzione di voce narrante.
      In conclusione, la figura del poeta rappresenta il mistero dell’immanenza, il suo costante controluce, o elemento simbolico di trafittura e di rottura, ma nello stesso tempo di tensione progressiva all’integrità. Un grazie sentito per il tuo interesse e una buona serata.

  3. “Un mondo di una persona, dove si forma la sua voce”: che immagine meravigliosa, Luigi! Mi ha colpito anche il modo in cui il protagonista descrive se stesso in preda allo sconforto : “Mi sentivo un poeta stupido, inutile”. Comunque, poeta! Questo è il dettaglio che, a mio avviso, andrebbe sottolineato: un poeta rimarrà sempre e comunque tale, a prescindere dal successo o dai momenti bui. Lui non ha detto semplicemente: “Mi sentivo stupido”, ma “Un poeta stupido”! Ecco, questa consapevolezza che l’arte (in ogni sua forma) sia quasi scolpita in noi, anche quando ci sentiamo inutili, è davvero molto bella.

    1. Grazie, Arianna. Hai colto degli aspetti molto importanti in relazione alla figura del poeta, intorno al quale si concentrano tutti gli snodi e le problematiche del racconto. L’essenza della poesia nella sua vita è indipendente da qualsiasi condizione possa attentare al suo ipotetico compimento, alla riprova della sua funzionalità fattiva, che non intacca la verità della sua natura, è proprio così. A volte il sentirsi poeti è come il sentirsi amati, che non è una connotazione certificabile, ma una dimensione dell’essere, aperta a mille risonanze e prospettive, quasi sempre insondabili, misteriose, come il sentirsi falliti, dimenticati, inesistenti, smarriti, felici, e invisibili – o forse felici perché invisibili. È su questo filo sospeso, con i suoi piani inclinati e contrapposti, che si articola il progetto.
      Un saluto e a presto.

    1. Ciao, M. Luisa. Sono davvero contento che questo episodio abbia fatto breccia nella tua sensibilità di lettrice e di scrittrice. Mi auguro che questo filo sottile continui a tessere il suo ordito dentro di te, anche nei successivi segmenti della serie. Un saluto e un grazie per il tuo commento.

    1. Ti ringrazio molto della tua attenzione all’episodio. Mi fa molto piacere che tu ne abbia saggiato la fluidità, che è stato un elemento che ho curato fin dal principio, in modo da sopperire al magma che contraddistingue le arterie del progetto, con le sue articolazioni, propulsioni e diramazioni labirintiche. Un indispensabile fattore di compensazione, se non di correzione, direi… Buona scrittura e a presto.