
WALLY
– Estate 1980 –
Stavo passando davanti alla stazione, con la mia motocicletta rossa, acquistata da poco; due lucenti tubi cromati rombavano per la strada. Ma andavo piano, mi piaceva guardarmi intorno, e nemmeno avevo una destinazione.
E così vidi quella ragazza farmi dei gesti con le mani; era sola, alla fermata dell’autobus, sotto al sole di luglio. Mi avvicinai, senza spegnere il motore.
“Vai verso la città?” mi chiese.
“Posso andarci. Vuoi un passaggio?”
“Oh, mi farebbe piacere, il bus passa tra mezz’ora. Saresti molto gentile.”
Salì senza difficoltà dietro di me, tirando su la gonna già corta. Si accomodò la piccola borsa al collo, e si attaccò ai miei fianchi.
Mi diressi verso il centro e le chiesi dove abitasse.
“No, ma non voglio andare a casa, con questa bella giornata; portami a vedere il fiume.”
“Il fiume?” ripetei, girando un poco la testa.
“Al ‘Boschetto’, vicino al maneggio dei cavalli. Lo conosci?”
Ci fermammo lì, dove iniziava un sentiero tra gli alberi, e già si sentiva il rumore dell’acqua.
“Non lascio la moto incustodita” le dissi “non mi fido, anche se il posto sembra tranquillo.”
“Va bene, mi basta sentire il fiume che passa, e poi da qui si può anche vedere. Mi piace qui.”
“Come ti chiami?” le chiesi.
“Wally. Ho trent’anni appena compiuti.”
“Sembri una bambina.”
“Ho un figlio di sei anni. Lo tengono i servizi sociali; vado a trovarlo una volta alla settimana. Forse me lo restituiranno, ma dovrei sposarmi.”
“Ce l’hai un uomo?”
“Ne ho tre” rispose sorridendo “il padre di Eric a trecento chilometri di distanza, verso nord; uno nel mio quartiere, che mi aiuta a tirare avanti; ma quello di cui sono innamorata ha fatto perdere le tracce, non so più dove sia.”
“Perché non puoi tenere il bambino?”
“Ho preso quaranta pastiglie, quando era più piccolo: mi sentivo sola e disperata. L’ospedale mandò una segnalazione alla polizia. Tutto qua.”
“Quindi vivi da sola?”
“No, con un’amica, ma è da tre giorni che sono in giro. Non avevo voglia di vederla” e poi, sorridendo “sono tre giorni che non mi lavo, ma sono profumata… senti…” Si sollevò la maglietta e mi fece annusare il seno.
“Sei come un fiore” le dissi con sincerità.
Il pomeriggio terminò in fretta. Volle darmi il suo numero di telefono, scritto dietro a un conto di trattoria, unto e spiegazzato.
“Mi trovi solo alla mattina” disse dandomi un bacio sulla guancia, vicino alla bocca “ma non chiamare troppo presto.”
La rividi la sera seguente, sempre nei pressi della stazione: era in una macchina ferma vicina al marciapiede, con le portiere aperte, assieme ad una donna bionda e vistosa.
Non si accorse di me, e proseguii sulla strada.
Non la incontrai mai più. Mi restò soltanto nel ricordo il profumo del suo seno, per molto tempo ancora.
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Meraviglioso. Una delicatezza davvero rara.
Grazie Dea.. ero molto giovane, allora.. ma il mio rispetto incondizionato verso la donna non è mai cambiato
È molto vero il tuo racconto e lo si sente dal trasporto con cui lo hai scritto e da come ti poni nei confronti di Lei. Una gentilezza, la tua, d’altri tempi che fa bene al cuore di chi legge. Una donna vera, non patinata e nemmeno da copertina di rivista. Quasi sconcertante nel suo essere ‘bambina’. Una buona scrittura, anche quella vicina al vero e senza fronzoli. Mi è molto piaciuto.
ti ringrazio, Cristiana.. la tua sensibilità riesce sempre a metterti in sintonia con le mie scritture.. è veramente un piacere, per me..
p.s.: questa storia esce dal pozzo dei miei ricordi.. come la prossima, che sto preparando.. a presto..
E noi aspettiamo. Io aspetto un’altra poesia se vorrai ☺️
Un ricordo molto intenso, ben trasportato nelle parole del testo, con il quale riesci a portare il lettore a vedere la scena con i tuoi occhi.
Molto bello.
grazie, Giuseppe.. il tuo commento mi piace molto.. quello che cerco di ottenere, in certi racconti, sono proprio fotografie, prese dalla pellicola dei miei ricordi
“e mi fece annusare il seno”: più che un tentativo di seduzione, pare un gesto di corteggiamento genericamente animale, dove l’odore segnala l’ epoca giusta per l’accoppiamento.
Grazie per la lettura.
Ho sempre pensato che l’abbia fatto senza nessun secondo fine: non ne aveva bisogno.