White Pearl

Serie: Saṃsāra


NELLA PUNTATA PRECEDENTE: Ancora, ancora, ancora. Perché io da quella sera, non ho fatto più l'amore senza te! E non me ne frega niente, senza te. Anche se incontrassi un angelo, direi: "non mi fai volare in alto quanto lui"...!

La donna, tornando nuovamente ad osservare il mio viso, risponde: «Eh si, amore mio… avevo bisogno di rilassarmi visto che ho dormito poco e niente, ho pensato che magari pure a lui avrebbe fatto bene un po’ di musica. Anche se non capisce le parole, le vibrazioni e il potere di queste canzoni non possono che dargli piacere, o almeno, io credo sia così. D’altronde già dai primi mesi di vita nei bambini che iniziano a sentire le vibrazioni giuste, armoniche, adatte e felici si iniziano ad instaurare sentimenti positivi.»

«Ah, chiaro, certo. Capisco. Hai fatto benissimo!»

«E tu sai bene in che tipo di positività voglio che lui viva» aggiunge.

In tutto questo tempo sono rimasta silenziosa ad ascoltare ogni loro parola.

Stento a creder alle mie orecchie, letteralmente sto a bocca aperta. Quella donna di cui parlano, sono proprio io. Sara. Incidente mortale, due vittime. Tutto risuona in me come il peggior incubo ricorrente che si possa mai sognare.

Quindi, l’uomo nel mio sogno… è… è lui? Il ragazzo di cui parlava la radio? E perché non riesco a ricordare il suo viso?

Maledizione! Voglio strillare con tutte le mie forze, urlare a quei due che sono io Sara!

Non sono Mauro come mi chiamano loro, ed inizio a farlo.

Urlo e riurlo, ma credo proprio che nessuna parola esca dalla mia bocca.

L’uomo si avvicina e mi prende in braccio, in un pessimo momento: non sono affatto pronta per lui, strizzo gli occhi, mi dimeno, stringo i pugni, do calci all’aria. In modo delicato e repentino mi porge finalmente tra le braccia della donna. Ottimo! Adesso posso dirle che quella ragazza di cui hanno parlato sono io, Sara!

La guardo ben dritta negli occhi e lei fa lo stesso, mi sorride. E basta.

M-ma… Ha capito, cosa le sto dicendo?

Oddio, no! Ancora… no, ti prego!

Di nuovo quella strana sensazione di quando volevo saltare giù dal letto e scappare, solo che questa volta il processo dentro di me avviene più velocemente… Sono appena arrivata a raggiunger piena consapevolezza del non sapere come si fa a parlare. Di non riuscire a pronunciare nessuna parola comprensibile.

Non è certo la donna a non capirmi, piuttosto non le arriva proprio nessuna parola udibile.

Non sono più in grado di pronunciarne: nonostante le penso e ci provo… fuoriescono soltanto balbettii inenarrabili.

Io, che delle parole ne facevo gloria. Delle note mio completo possedimento, e sfarzo. Gioco, virtuosismo. Della voce ferma, vibrante, possente e delicata allo stesso tempo non è rimasto più nulla.

Tutto quel potenziale innato e quegli anni di pratica, allenamenti ed esercizi erano svaniti completamente.

Io, che nel canto facevo ciò che volevo, potevo essere chiunque in qualsiasi momento ed andare ovunque, in qualsiasi posto, senza il bisogno di dovermi muovere davvero. Sapevo rendere eteree le mie stesse parole come fossero sogni sospinti in aria dall’amore cosmico, quello insito nelle profondità di ogni esser umano. Come se l’aria dentro i miei polmoni agisse da magnete, pronto ad accumularlo totalmente. Le corde vocali, invece, il cannone a lunga gittata più lungo al mondo per spararlo più lontano possibile, facendolo arrivare dappertutto in modo che chiunque ne potesse trarre il proprio personale giovamento.

Dunque è questo, ciò che mi aspetta?

Sono davvero destinata a vivere un’altra vita, in un altro corpo? Eppure io forse avrei scelto tutt’altro, o almeno credo.

Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa oltre la morte, ma in effetti non me ne sono preoccupata poi tanto.

Avevo alcune amiche con cui praticavo saltuariamente yoga che in campi come questo erano molto ferrate, praticavano alcune discipline olistiche e cose simili. Ogni tanto parlavamo del fatto che probabilmente nessuna di noi stesse vivendo la sua prima vita, che ce ne sono state altre in passato e ce ne sarebbero state altrettante in futuro. Insomma, discorsi di questo genere che personalmente iniziavano e finivano lì.

Forse ci avrei dovuto prestare più attenzione, ora che ci penso.

O meglio, ora che realizzo di indossare un vestito che non mi appartiene.

Preso da un armadio che io non ho comprato, messo in una casa che non ho mai visto.

Costruita, in una città di cui non so il nome. Anzi, a giudicare da quello che si dicevano i due sdolcinati, è probabile che io sia nata nuovamente nella stessa città di prima.

Oddio. Ma è veramente possibile? Quante probabilità ci sono per cui questo accada?

Mentre mi pongo quest’altra domanda, si risveglia in me come una specie di ricordo, una consapevolezza.

La sua voce narra che in casi di morte accidentale, traumatica, è probabile che l’anima cerchi un nuovo corpo piuttosto velocemente. E se si verifica il caso in cui si sta sviluppando una nascita soprattutto nelle vicinanze, probabile che tale anima ne sia a dir poco attratta. Una specie di istinto di sopravvivenza, ma di tutt’altra razza.

Si, perché l’anima non fa ragionamenti umani, piuttosto attua meccanismi che spesso non presentano la benché minima possibilità di spiegazioni umane, apparentemente razionali.

Finito di ascoltare tale voce, mi stupisco che tutto questo viene da me.

Dal mio profondo, non l’ho dovuto pensare. Era lì e basta.

Come se una luce si fosse accesa nel momento che io ho calpestato una mattonella precisa, e ha illuminato i miei passi. Assurdo. Mi chiedo se la donna che mi accarezza il viso ne sappia qualcosa, ma credo proprio di no.

Altrimenti non mi metterebbe questa diavolo di cuffietta rossa come sta facendo in questo momento, dovrebbe sapere che io le cose rosse non le indosso. A meno che non si tratti di intimo e lingerie, oppure scarpe col tacco.

No, la donna non lo sa proprio.  Ma vabbè, dai.

Credo che adesso, questa odiosa cuffietta sia l’ultima cosa di cui preoccuparmi.

Ciò che mi piacerebbe tanto è riuscire a parlare, comunicare con questa donna.

Ma ora come ora posso solo usare gli occhi, nemmeno queste cavolo di mani funzionano.

Non posso nemmeno indicare, le minuscole dita non ci riescono.

Sento i suoi occhi penetrarmi, una sensazione difficile da spiegare e io stessa la guardo.

La osservo, scavando nella sua pupilla fino a trovar l’acqua e poggiarci poi una perla.

La mia personale perla, appena creata per lei, con il mio nome scritto sopra e contenente un messaggio preciso: sono Sara, grazie per avermi accolta. Ti amo.

Indovinate un po’? Ho di nuovo un enorme sonno… e tanta, tanta fame…

Serie: Saṃsāra


Avete messo Mi Piace3 apprezzamentiPubblicato in Narrativa

Discussioni

  1. Ciao Loris! Credo che questa serie sia sottovalutatissima! L’idea di partenza è molto bella e la storia si sviluppa sempre meglio. Anche il fatto che certe esplosioni di pianto, nei neonati, possano essere i loro tentativi disperati e frustrati di gridarci la verità riguardo alle vite passate è stupenda👏🏻 Samsara merita più lettori e più attenzione!

    1. ‘sera, Nicholas! Si, diciamo che a questa serie ci tengo particolarmente. Tocca delle tematiche a me molto care, con le quali cerco di portare il lettore attraverso più dimensioni, passami il termine. Ti dirò che mi piace anche la selezione naturale con la quale le persone si avvicinano a racconti come questo, da un lato vorrei che i più vi si avvicinassero per poi scoprire dall’altro che invece certe cose son per pochi “eletti”. Non a tutti, interessa attraversare certi ambienti, spero almeno i pochi che ci si ritrovano ne rimangano affascinati, incuriositi e perchè no, ispirati!

  2. Bella l’allegoria della perla, che dà il titolo al capitolo.
    Le sensazioni della donna/neonato sono molto coinvolgenti, le descrivi bene, rendendone partecipe il lettore, tanto che, ad un certo punto, sembra quasi di essere assaliti dalla sua stessa ansia.

    1. Credimi che uno degli obiettivi è proprio quello, cerco di portare il lettore a provare le sensazioni della Sara che ha perso la sua vita, ritrovandosi a viverne un altra improvvisamente. E quindi far sentire il lettore un po’ infantile, impaziente, poco avezzo a certi ragionamenti se non in alcuni momenti di lucidità dove l’anima di Sara prevale e da una mano. I neonati sono eterni incompresi nonché dotti insegnanti, ciò a cui tengo molto in Samșara è proprio (anche) questo palleggio da un estremo all’altro. L’allegoria? Son contento ti sia piaciuta, e, povera Saretta… non sapeva come altro fare, aveva bisogno che un piccolo espediente corresse in suo aiuto!