1 – Arrivo

Serie: Obbedienza


L’incontro tra Felicia e Riccardo accende un legame di potere che erode identità e desiderio. Lei cerca un padrone, lui una vita da piegare. Nella loro casa il silenzio diventa rito, il corpo linguaggio, l’obbedienza il desiderio più grande.

    STAGIONE 1

  • Episodio 1: 1 – Arrivo

L’aeroporto scivola dietro le spalle di Felicia, lasciando sulle mani l’umidità del viaggio. Le luci tagliano la pelle, filtrano tra le ciglia gonfie di sonno, si riflettono sul pavimento come chiazze di latte versato. Felicia avanza trascinando la valigia, sente la stoffa bagnata della manica aderire all’avambraccio, la schiena dritta per non cedere al peso del volo e della stanchezza. Ogni passo nella sala arrivi la spoglia di qualcosa: un po’ di caldo, una lingua che riconosce, il rumore domestico di Manila.

La fila al controllo scorre lenta, quasi languida. Il timbro del passaporto risuona sulla pelle, un suono che dice irrevocabile, che divide il prima e il dopo. Felicia non sorride, il volto resta fermo e attento, l’odore della paura si confonde con quello del sapone del bagno dell’aeroporto. In bocca ha il sapore di qualcosa lasciato a metà.

Riccardo la riconosce da lontano. I suoi occhi non esitano: entrano, osservano, scelgono. Felicia si sente nuda sotto quello sguardo che pesa più delle valigie. Uno sguardo che indaga e accarezza senza toccare. Lui non saluta. Si limita a girarsi, il passo deciso, il corpo abituato a ricevere obbedienza, a non chiedere.

Felicia segue Riccardo nel dedalo di corridoi e scale, fatica a stargli dietro, il respiro breve, la mano che scivola sul trolley, la cerniera che le graffia il polso. Ogni tanto inciampa, lo sguardo fisso sulla schiena di lui che non si volta, che non rallenta. Il freddo le si appoggia sulle ossa, le labbra si seccano.

Nel parcheggio la notte si raccoglie tra le file delle auto, disegna ombre in cui Felicia si rifugia per qualche passo. Riccardo preme il telecomando e il baule si apre, silenzioso, una bocca scura che accoglie la valigia senza peso. Le dita di Felicia tremano sul manico, la stoffa cede, il rumore è sordo.

Il SUV è nero, lucido, l’interno profuma di pelle e qualcosa di maschile, vagamente speziato. Felicia si accomoda sul sedile, la stoffa delle calze si incolla al retro delle cosce, il tessuto la avvolge, la costringe. Allaccia la cintura. Il fiato è ancora corto per la camminata veloce. Chiude gli occhi un istante, la fronte appoggiata al finestrino freddo. Il motore vibra sotto i piedi, la carezza calda dell’aria le scioglie il torpore sulle spalle.

Il viaggio procede in silenzio. Felicia apre gli occhi, osserva il mondo che corre al di là del vetro: scie di auto che brillano, autobus fermi, i volti stanchi illuminati a tratti da luci artificiali. Ogni cosa si muove senza che lei la tocchi, senza che la comprenda. Si chiede quanto le servirà per imparare i nomi delle strade, dei giorni, delle promesse nascoste in ogni cartellone pubblicitario.

Riccardo guida con una calma che non concede domande. Il profilo del volto, tagliato dalla luce della plancia, resta impassibile. Ogni tanto la guarda nello specchietto. Non sorride, non si scusa per la distanza.

La radio trasmette notizie e canzoni. Felicia afferra parole spezzate, frammenti di melodie.

All’arrivo il cancello si apre con un gesto, la ghiaia sotto le ruote scrocchia sottile. La casa li accoglie senza rumore, pareti chiare, vetri grandi, il calore che sale dal pavimento. Riccardo entra senza attendere, Felicia lo segue. La porta si chiude alle loro spalle e il silenzio si fa più denso.

«Togliti le scarpe.»

La voce di Riccardo la raggiunge netta, senza possibilità di equivoco. Felicia si inginocchia sul parquet, sfila le scarpe, l’aria calda le solleva il sudore dai piedi. L’impronta resta per un attimo sulla superficie lucida, una traccia che subito si asciuga. Si sente nuda, inadeguata e fragile.

Il corridoio è illuminato con cura. Felicia segue Riccardo, ne sente il passo sicuro, la presenza che sposta la materia dell’aria. Lui apre una porta, indica la stanza con una mano larga, il gesto abituato al comando.

«Questa è la tua stanza. Domani ti spiego tutto. Ora riposa.»

Felicia annuisce, lo sguardo basso, la voce che esce piano. «Grazie… io provo… domani faccio bene.»

Riccardo la osserva un secondo, la bocca ferma, poi esce, chiude la porta.

La stanza profuma di pulito, di bucato e legno nuovo. Felicia apre la valigia, le mani lente sui vestiti, sistema ogni cosa con un’attenzione che la rassicura. Appoggia la foto della madre sul comodino, la camicia da notte piegata sul letto, il dentifricio nel mobile del bagno.

Si stende sul letto, i muscoli rilasciano la fatica. La coperta la accoglie, la pelle cerca il tepore lasciato dal giorno. Felicia ascolta il proprio respiro, il cuore che si assesta, i rumori della casa che si allontanano dietro le pareti spesse.

Il silenzio è nuovo, intenso, carico di promesse. Si lascia andare, la testa affondata nel cuscino, il corpo che finalmente si arrende.

Nel buio, Felicia sente tutto: il calore delle lenzuola, il profumo del legno, il battito dei passi che si spengono lontano. La notte la abbraccia, la culla. E senza un sogno, si addormenta.

Serie: Obbedienza


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